Si riapre così il
dibattito sull´opportunità di condividere bacheche, foto private,
conversazioni virtuali tra chi sta in cattedra e chi dovrebbe imparare,
dopo che quest´estate una legge identica era stata approvata in
Missouri provocando proteste e ricorsi.
Il rapporto online tra chi insegna e chi studia continua a far
discutere. Questione di opportunità, ruoli, privacy e libertà, dicono
studenti e insegnanti. Divisi tra chi considera il social network solo
un altro mezzo di comunicazione - come il preside torinese che ha 899
amici tra gli alunni - e chi teme di «perdere autorevolezza in cambio
di una impossibile amicizia reale». Mentre molti ragazzi, se non lo
usano per continuare le lezioni dopo scuola via web, lo vivono come un
«mezzo di controllo da parte dei prof sulle nostre vite». Perché, come
dice lo psichiatra Pietropolli Charmet, favorevole al social network
per motivi di studio, «la relazione con gli studenti deve essere
educativa, il controllo è sull´apprendimento, non sulle
emozioni».
Il nodo resta sempre quello: in rete o in classe, al centro c´è
il legame tra insegnanti e alunni. Come deve essere, cosa vogliono i
ragazzi e cosa si aspettano i docenti. «Non bisogna creare confusione
di ruoli né fingere un´impossibile parità: perché il rapporto è
sbilanciato visto che noi diamo i voti». Tiziana Sallusti è preside del
liceo Mamiani di Roma e il suo "non amore" per Facebook condiviso, non
significa distanza, anzi: «È rispetto per i ragazzi, per il loro mondo,
che non deve essere invaso dagli adulti, genitori compresi». E a
confermare la sua ipotesi arrivano i commenti dei ragazzi sul web:
temono di essere inquadrati, giudicati, vittime di pregiudizi dei loro
insegnanti per commenti, politici e non, letti sulle loro bacheche. E
mamma e papà su Facebook non li vorrebbero mai. A differenza di
Federica Cenci, 17 anni, presidente della consulta provinciale degli
studenti laziali, che ha parenti e professori sul network. «Perché non
ho nulla da nascondere e poi mica racconto i fatti miei! I rapporti con
i docenti possono migliorare, senza contare che la mia classe usa
Facebook per fare lezione».
Tino Pessina, preside del liceo milanese Berchet, è della scuola di Don
Milani: severità, rispetto e partecipazione. «La nostra generazione
voleva abbattere la vecchia scuola e abbiamo condannato il concetto di
autorità, ma l´autorevolezza è fondamentale. Si può essere amichevoli,
ma l´amicizia come in ogni rapporto asimmetrico, è impossibile. E poi i
ragazzi non vogliono docenti amici, stimano chi insegna con passione
anche se è severo, chi li rispetta. Io per capire come sta un alunno ho
bisogno di guardarlo negli occhi».
Un altro professore, precario, ha rifiutato l´amicizia degli studenti
in rete. Ermanno Ferretti è autore del libro "Per chi suona la
campanella" (Fazi). «Non voglio vedere quello scrivono, sono ingenui
non si rendono conto cosa rischiano se leggo che saltano scuola per un
compito in classe o scrivono che si fanno le canne». Preferisce quattro
chiacchiere in corridoio piuttosto che navigare in rete Mario Rusconi,
vicepresidente dell´associazione nazionale presidi che insegna al liceo
Newton di Roma, ma di colleghi e professori che hanno rapporti con gli
alunni su Facebook ne conosce schiere. «L´importante è che prevalga la
ragionevolezza dell´adulto, la capacità di non confondere i ruoli».
Anche perché, racconta Nina studentessa di quarta ginnasio, a lei
interessa che la prof insegni «in modo che io capisca, che mi
interroghi senza essere spietata. Non voglio sapere se è stata mollata
dal fidanzato». Così, tra allievi e docenti chi decide di essere amico
in rete, deve comunque autocensurarsi un po´. E nascondere un pezzo di
sé agli altri. (di Caterina Pasolini da Repubblica)
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