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Spesa pubblica: Considerazioni sulla lettera del Governo alla UE e sul capitale umano

Rassegna stampa
Il piano d’azione che il Governo italiano ha promesso all’UE  nella “celebre” lettera del 26/10/2011, e che dovrebbe essere definito entro il 15 novembre, reca al primo punto la “promozione e valorizzazione del capitale umano”. Il ruolo del capitale umano viene, da parecchi anni, considerato centrale nella crescita economica di un paese. Non stupisce quindi che esso figuri al primo punto del piano di sviluppo del nostro Paese, perché così ha chiesto, si potrebbe dire dettato, l’Europa.
Prima di addentrarci nell’analisi e nel commento del capitoletto ad esso dedicato, è opportuno  spendere alcune parole sul concetto di capitale umano.
Che cos’è il capitale umano
Il termine “Capitale Umano” è di uso relativamente recente, fu coniato negli anni Sessanta dall’economista Theodore Schultz, vincitore del Premio Nobel nel 1979. Egli ha messo in rilievo come i concetti tradizionali dell’Economia non avessero fino ad allora preso in considerazione questo aspetto molto importante.     
    Il termine “Capitale Umano” è di uso relativamente recente, fu coniato negli anni Sessanta dall’economista Theodore Schultz, vincitore del Premio Nobel nel 1979. Egli ha messo in rilievo come i concetti tradizionali dell’Economia non avessero fino ad allora preso in considerazione questo aspetto molto importante.
Fino agli anni 60 si consideravano come determinanti della crescita solo l’occupazione, il capitale fisico e il progresso tecnico. Si è capito però che queste variabili non erano sufficienti a spiegare per intero la crescita, ma ne fornivano solo una rappresentazione parziale. Dagli anni 60  si è così iniziato a considerare un altro fattore determinante per la crescita economica: il capitale umano.
Il termine ha avuto una rapida ed ampia diffusione negli ultimi vent’anni. Il capitale umano viene ora incluso nelle risorse economiche insieme all’ambiente e al capitale fisico. Mentre il capitale fisico è costituito da prodotti materiali durevoli utilizzabili per la produzione di altri beni materiali o immateriali, il capitale umano è costituito dall’insieme delle facoltà e delle risorse umane, in particolare conoscenza, istruzione, informazione, capacità tecniche, che danno luogo alla capacità umana di svolgere attività di trasformazione e di creazione.
Nonostante il concetto di capitale umano sia più ampio, solitamente è fatto coincidere con quello di livello d’istruzione.
Lo UNDP  (United Nations Development Programmme, Programma delle Nazioni Unite per lo Sviluppo) elabora da qualche anno indicatori specifici che cercano di misurare il capitale umano, come
istruzione obbligatoria,
istruzione tecnica,
studenti e studiosi all’estero,
scienziati e tecnici in istituti di ricerca,
indicatori del bilancio statale relativi alla istruzione pubblica
Esempi di Paesi che hanno fatto leva sul capitale umano
L’esempio più lampante di crescita legata alla promozione del capitale umano ci viene dalla Finlandia. Agli inizi degli anni Cinquanta la Finlandia era poverissima e stava peggio dell’Italia. Le organizzazioni internazionali segnalarono alle autorità finlandesi che si doveva cambiare marcia per uscire dalla povertà. Tutto l’arco politico finlandese, dalla sinistra alla destra, decise unanimemente di investire nel capitale umano, anche perché il Paese non era dotato di molte materie prime. La Finlandia è stato uno dei primi Paesi occidentali a scommettere sul capitale umano per rilanciare l’economia, nella consapevolezza che questa era la sola via possibile per sopravvivere in un sistema economico basato sulle conoscenze. La trasformazione di tutto il sistema politico, scientifico, economico, culturale finlandese è durata più di un ventennio ed ora tutti sanno a che punto si trova la Finlandia.
Altri esempi sono riscontrabili in Giappone, India, Taiwan, Corea del Sud, Hong Kong, Cina. Alcuni di questi Paesi sono poveri di risorse naturali e nelle loro esportazioni devono tener conto delle barriere economiche imposte dai Paesi occidentali. Eppure, nonostante questo, hanno avuto uno sviluppo economico estremamente veloce e ciò è dovuto in gran parte ad una forza lavoro istruita, aggiornata e molto operosa.
Afferma l’economista americano Gary Becker,  premio Nobel nel 1992, “Naturalmente le attrezzature, gli impianti in un’impresa sono necessari, ma è altrettanto fondamentale che ad utilizzare gli strumenti di lavoro ci siano persone capaci, sia fra i lavoratori, che fra gli imprenditori (…). La crescita risulta impossibile in assenza di una solida base di capitale umano. Il successo dipende dalla capacità di una nazione di utilizzare la sua gente”.
E in Italia?
In Italia  è successo poco o nulla di tutto questo. Il miracolo economico degli anni Sessanta ha permesso di uscire dalla povertà, ma l’industrializzazione del Paese è stata pagata a caro prezzo e ha ingannato molti. I nodi sono venuti al pettine nel corso degli anni Novanta.
Gli avvertimenti delle organizzazioni internazionali non sono mancati. In Italia si è fatto finta di recepirli, ma nulla, o quasi nulla, è cambiato rispetto a nuove vie di promozione del capitale umano. Si veda per esempio l’assenza di un settore terziario non universitario che formi tecnici specializzati nelle scienze applicate.
Come noto solo ora questo settore sta timidamente e molto parzialmente prendendo avvio, fra mille contraddizioni.
Il capitale umano nella lettera del Governo alla UE
Il governo nella lettera d’intenti all’Unione Europea non tocca nessuna delle questioni fondamentali, e scarica sulla scuola in termini assolutamente generici e fuorvianti la responsabilità della situazione. Vediamo nello specifico quali indicazioni vengono fornite per la  “promozione e valorizzazione del capitale umano”.
Ecco il testo del capitoletto ad esso dedicato:
Promozione e valorizzazione del capitale umano.
 L’accountability delle singole scuole verrà accresciuta (sulla base delle prove INVALSI), definendo per l’anno scolastico 2012-13 un programma di ristrutturazione per quelle con risultati insoddisfacenti; si valorizzerà il ruolo dei docenti (elevandone, nell’arco d’un quinquennio, impegno didattico e livello stipendiale relativo); si introdurrà un nuovo sistema di selezione e reclutamento.
Si amplieranno autonomia e competizione tra Università. Si accrescerà la quota di finanziamento legata alle valutazioni avviate dall’ANVUR e si accresceranno i margini di manovra nella fissazione delle rette di iscrizione, con l’obbligo di destinare una parte rilevante dei maggiori fondi a beneficio degli studenti meno abbienti. Si avvierà anche uno schema nazionale di prestiti d’onore.
Ci occuperemo solo del primo paragrafo relativo alla scuola, tralasciando quello, certo non meno importante, relativo all’università.
Esegesi delle righe della lettera del Governo su promozione e valorizzazione del capitale umano, riferite alla scuola
Il governo pone due temi:
1. la rendicontazione da parte delle scuole del loro operato (“accountability”) e la riconversione delle scuole con risultati insoddisfacenti:
2. il ruolo degli insegnanti, innalzamento degli impegni didattici e delle retribuzioni, selezione e reclutamento
1) Rendicontazione, prove INVALSI e riconversione delle scuole insoddisfacenti
In questo primo punto si chiama in causa un sistema di accountability, ossia di rendicontazione, da attuarsi attraverso le prove INVALSI, e si prospetta la riconversione delle scuole con risultati “insoddisfacenti”. Per capire cosa ciò significhi si può fare riferimento alla riforma americana del 2002, “No Child Left Behind”. Essa prevede, per l’appunto, l’uso dei test in matematica e inglese per imporre a ogni singola scuola un ruolino di marcia da seguire anno dopo anno per migliorare i risultati scolastici. La legge contempla un ventaglio di punizioni per le scuole che non cambiano rotta (“Turnaround” nel linguaggio politico USA) e la chiusura della scuola se dopo cinque anni non ci sono miglioramenti sostanziali. Cosa c’è da dire al riguardo?
Innanzitutto che questo obiettivo della legge di riforma statunitense è in gran parte fallito, in secondo luogo che questa operazione è costata milioni di dollari stanziati dal Governo federale ai singoli stati per organizzare i test e per premiare le scuole, infine che l’Italia non è gli Stati Uniti. Se anche ci fermiamo all’Europa e guardiamo ad esempio all’Inghilterra, ci rendiamo conto che persino in quel Paese c’è un ripensamento rispetto alla valutazione delle scuole operata dall’OFSTED (con possibile riconversione e/o chiusura delle scuole inadeguate), soprattutto per una questione economica. L’Italia non dispone né di strumenti adeguati per condurre questo tipo di interventi, né dei relativi finanziamenti. Lo sanno tutti che l’INVALSI in questo caso non è che la classica foglia di fico per coprire i “pudenda”. Ben venga un miglioramento e approfondimento delle valutazioni esterne ad opera dell’INVALSI, ma collegare questo obiettivo alla “riconversione delle scuole insoddisfacenti” è oggi pura demagogia.
2) Docenti, impegno didattico, retribuzione, selezione e reclutamento
Nel secondo punto si affronta il tema degli insegnanti,  ma in che modo?
In prima battuta se ne  annuncia la valorizzazione “elevandone impegno didattico e livello stipendiale relativo”. Che vuol dire? Cosa significa “elevare” l’impegno didattico? Migliorarlo o aumentare il numero di ore di servizio? Siamo nel più completo indistinto. Elevare le retribuzioni? “Ma mi faccia il piacere” direbbe Totò. Di che stiamo parlando quando sono bloccati gli scatti stipendiali e i rinnovi dei contratti?
In seconda battuta si allude alla selezione e al reclutamento. Selezione quando, per cosa, come? Per accedere alla formazione? Abbiamo visto l’indecorosa gestione del TFA. Selezione del personale in servizio forse? Ma per cosa? Per i premi, tipo Valorizza?
E … stendiamo un velo pietoso sul reclutamento. Quanto volte si è intervenuti per tenere assieme formazione iniziale e reclutamento? Centinaia e centinaia di volte, ma non se ne è mai fatto nulla. Un nuovo reclutamento rimane un oggetto misterioso, mentre prosperano le graduatorie così dette ad esaurimento, che tutti rivogliono permanenti.
Sul piano internazionale si sanno due cose certe:
a) formazione iniziale: la qualità degli insegnanti è connessa alla qualità della formazione universitaria, a cui si accede attraverso drastica selezione ( in Finlandia è ammesso il 10% degli aspiranti). Noi aspettiamo ancora … .
b) formazione in servizio: la formazione iniziale è solo un aspetto del problema, la parte altrettanto importante dell’iceberg è sommersa ed è quella della formazione in servizio, del supporto professionale, della ricerca educativa. Questi elementi comportano cospicui finanziamenti, mentre in Italia i fondi destinati a questi scopi sono inconsistenti. Ma non è solo questione di fondi. La ricerca educativa non è mai decollata in Italia (si pensi alle vicissitudini dell’INDIRE e degli IRRE), e la formazione in servizio come definita dal Contratto nazionale di lavoro (un diritto,  non anche un dovere) rimane un optional.  Si può impunemente stare 20 anni senza aggiornarsi.
In conclusione
Le intenzioni del governo sono ingannevoli perché sono ancora una volta parole al vento, generiche e imprecise a cui non corrisponde nessuna chiarezza di obiettivi, nessun piano di fattibilità, nessuno strumento operativo, nessun finanziamento.
Vorremmo davvero capire di cosa si sta parlando, e lo diciamo non certo per spirito polemico, ma con grande tristezza e rammarico.
  (da Adi)

redazione@aetnanet.org








Postato il Lunedì, 31 ottobre 2011 ore 18:51:48 CET di Pasquale Almirante
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