"Ogni perfezione di
struttura è vana se i professori sono scelti con metodi non
buoni". Lo scrisse Luigi Einaudi negli anni Venti. Difficile non
concordare. La qualità del personale scolastico è, da sempre, la leva
necessaria al miglioramento degli apprendimenti.
Che il metodo di scelta dei docenti italiani sia non buono, sia il
lettore a giudicarlo. Nel 1999/2000 si tenne l'ultimo concorso e per
l'ultima volta fu data una opportunità a giovani e meno giovani di
mettersi in gioco alla pari. Da quel giorno, in attesa di una qualche
palingenetica riforma, i docenti sono stati immessi in ruolo attraverso
due graduatorie, chiamate salomonicamente a spartirsi i posti. La prima
formata da chi, nel concorso del 1999 o, per alcune discipline, in
quello del 1990, aveva raggiunto anche solo la sufficienza. La seconda
(le famose o famigerate «graduatorie permanenti», oggi «ad esaurimento»
- GAE) formata anche dal personale reso variamente idoneo dal
Parlamento, dagli abilitati attraverso le Scuole di specializzazione
per l'insegnamento, il corso di laurea in Scienze della formazione
primaria e i bienni accademici riservati ai docenti di materie
artistiche e musicali. Quest'ultima
graduatoria è stata chiusa nel 2008, in attesa che il governo
rivedesse, tramite decreto, la formazione iniziale e il reclutamento
dei docenti. Mentre la prima delega ha fruttato il decreto 249
del 2010 sulla Formazione iniziale, la seconda, ancora aperta,
rappresenta una strada possibile per dare risposta all'ammonimento di
Einaudi in attesa delle decisioni eventuali del
Parlamento.
Personalmente, mi sono fatto alcune idee, variamente confrontate
in questi anni, che ritengo possano essere utili al dibattito. Innanzitutto, occorre muoversi nell'ambito
della normativa vigente, che assegna il 50% dei posti «vacanti e
disponibili» alle GAE. È questo un meccanismo criticabilissimo,
ma intoccabile, pena la violazione dei diritti acquisiti e delle
legittime aspettative di chi in quel percorso, volente o nolente, è
entrato. Inoltre, il canale
concorsuale dovrebbe essere aperto a tutti coloro i quali vantano i
titoli di accesso: sia chi è nelle GAE, sia chi si è abilitato dopo la
loro chiusura, sia chi si abiliterà con il nuovo sistema. Ciò
consentirebbe di ottenere due risultati: dare uno sbocco immediato alla
nuova formazione iniziale docenti e
creare una «corsia di sorpasso» destinata a tutti quei docenti inseriti
nelle GAE, che la procedura attuale condanna, a prescindere dal
merito e senza scampo, a lustri di supplenze e di raccolta punti. Sul come procedere, mi sento di gettare sul
piatto alcune ipotesi.
Primo, occorre evitare la
costruzione di nuove graduatorie: a bando dovrebbero essere messi il
50% dei posti disponibili per le assunzioni (il resto è patrimonio
delle GAE) e, sul modello francese, dovrebbe essere garantita una
cadenza fissa delle tornate concorsuali.
Secondo, le prove dovrebbero
essere strutturate in maniera rigorosa e moderna, in modo da valutare
tanto la preparazione disciplinare quanto le competenze necessarie
all'insegnamento.
Terzo, la scuola dell'autonomia
richiede forme di incontro tra le caratteristiche professionali dei
docenti e le caratteristiche che le istituzioni scolastiche hanno
costruito nel tempo. Quarto,
l'anno di prova dovrebbe diventare qualcosa di diverso rispetto a un
mero adempimento burocratico, stabilendo che debba essere svolto nella
sede di futura «titolarità», che la commissione chiamata a valutarlo
sia rafforzata come competenza e autorevolezza e possa poggiare il
proprio giudizio su indicatori chiari e condivisi.
Un mix equilibrato tra normativa, oggettività concorsuale e
partecipazione delle scuole al processo di selezione potrebbe fornire,
in tempi brevi, una risposta alle esigenze del sistema istruzione.
di Max
Bruschi da ItaliaOggi
redazione@aetnanet.org