Sul tema della qualità dei docenti è in
gioco non solo un accordo sindacale o un ragionamento su pregi e
difetti degli insegnanti, bensì il futuro dei nostri figli e del nostro
paese. Riformare adeguatamente questo aspetto è una priorità
irrinunciabile per chiunque abbia a cuore il bene comune.
Il recente appello “L’Italia è un paese per vecchi?”
(appellogiovani.it) ha avuto il merito di mettere al centro del
dibattito il delicato tema del reclutamento dei docenti nelle scuole
italiane. I provvedimenti del Governo avevano lo scopo di affrontare il
problema dell’elevato numero di docenti precari sia attraverso un loro
graduale “assorbimento” nei prossimi anni, sia mediante una forte limitazione del
numero di laureati abilitati attraverso percorsi formativi ad hoc,
denominati Tirocini Formativi Attivi (Tfa). Come sottolineato
dall’Appello, quest’approccio avrebbe penalizzato le speranze dei
giovani che decidono oggi di intraprendere la carriera di insegnante.
Una soluzione “parziale” è stata trovata, qualche settimana fa,
attraverso la negoziazione di un numero maggiore di posti per
l’abilitazione alla professione di docente, ma presto si dovrà tornare
a discutere nel merito del problema. Anche
l’Ocse (Education at a Glance 2011) ha messo in luce come una delle
criticità chiave del sistema educativo italiano sia proprio la scarsa
valorizzazione dei propri docenti.
La pur meritevole battaglia condotta attraverso l’Appello ha
solo sfiorato il tema essenziale per una riforma del sistema scolastico
italiano: quello del reclutamento.
Il grande equivoco che si cela dietro la discussione sui Tfa è proprio
la coincidenza tra abilitazione dei
docenti e loro reclutamento. Nella tradizione del nostro sistema
scolastico è scontato che le scuole debbano reclutare i propri docenti
attraverso una graduatoria (non una lista) di abilitati. In questo
modo, le scuole non possono effettuare scelte di merito sulla
composizione del corpo docente e sul piano formativo; accade piuttosto il contrario, con i
docenti in testa alla graduatoria (tipicamente, quelli con più
anzianità di servizio) che possono decidere dove insegnare.
In un sistema scolastico che non è in grado di premiare il merito
attraverso l’applicazione di (complesse, ma ineludibili) attività di
valutazione dei docenti, questo meccanismo non solo non garantisce la
possibilità di selezionare i docenti migliori, ma anzi ne assicura
l’impossibilità. Da questo punto di
vista, come può realizzarsi l’autonomia scolastica se questa forma
essenziale di scelta dei responsabili delle scuole è istituzionalmente
negata e addirittura considerata un tabù?
In realtà, la separazione tra riforma degli ordinamenti, reclutamento
del personale e governance ha finito con il creare un groviglio di
condizionamenti reciproci fra le diverse questioni. Fino a quando si continuerà a considerare
intoccabili punti quali l’attuale assunzione del personale docente
sulla base di graduatorie e la dipendenza gerarchica dai diversi
livelli dell’amministrazione, l’autonomia delle scuole non farà passi
in avanti e, per restare al tema, sarà impossibile stabilire una
relazione fra l’offerta formativa che la scuola vuole/deve garantire ed
il profilo dei docenti.
I docenti non sono tutti uguali e,
quindi, deve essere possibile per le scuole scegliere con procedure
trasparenti quelli che meglio corrispondono alla propria offerta
didattica. La letteratura e l’esperienza hanno evidenziato che
alla base della qualità dell’istruzione vi è la qualità dei docenti.
Per riformare davvero il nostro sistema scolastico, pertanto, occorre affrontare il nodo del reclutamento
dei docenti in modo innovativo.
La nostra
proposta è separare, concettualmente ed operativamente, i momenti e le
forme dell’abilitazione da quelli del reclutamento.
Il Ministero dovrebbe definire le
procedure per l’abilitazione mediante titoli e curriculum su scala
regionale. Alle scuole, invece, andrebbe attribuita la responsabilità
della selezione dei docenti all’interno delle liste degli abilitati,
con modalità trasparenti e flessibili definite ex ante.
Un corollario della proposta è
l’introduzione di ampi margini di autonomia anche nella definizione
delle modalità di retribuzione dei docenti stessi. Se
affiancato da un più ampio quadro di informazioni disponibili per le
autorità, le scuole e le famiglie, un tale sistema stimolerebbe una
competizione virtuosa tra le scuole per l’attrazione dei migliori
docenti, favorendo una loro crescita professionale. Al contempo, i
singoli docenti sarebbero incentivati a investire maggiormente nella
qualità e nella reputazione della loro formazione e attività.
Nella consapevolezza che, nel breve periodo, una tale riforma potrebbe
generare un cambio di direzione radicale, il processo potrebbe essere
introdotto gradualmente, ad esempio sperimentando questi cambiamenti a
livello locale/territoriale (Regioni e/o Comuni) e attraverso reti di
scuole “pilota”. Tuttavia, sarebbe importante da subito definire
l’obiettivo finale e gli step da intraprendere per il suo perseguimento.
(di Giorgio Vittadini, Tommaso Agasisti,
Vittorio Campione, Giuseppe Catalano da http://www.ilsussidiario.net/)
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