Da qualche settimana si
è creato un vasto movimento di sostegno ai circa 100 docenti che in
tutta Italia continuano a svolgere la funzione di “presidi incaricati”
o, come comunemente definiti, di “precari della dirigenza”.
L’istituto dell’incarico di presidenza sembrava “defunto” con le ultime
tornate concorsuali a posti di dirigente scolastico, nell’ottica del
perseguimento della via maestra, indicata all’art. 97 della
Costituzione, di “super concorsi” salvifici, rapidi e capaci, secondo
l’idea del legislatore, di risolvere i gravosi problemi che affliggono
la dirigenza scolastica.
E’ necessario allora ripercorrere brevemente, senza tediare più di
tanto, la storia normativa recente dell’istituto di cui sopra.
Il D.Lgs. n. 59/1998, nel ribadire la linea secondo la quale fosse
negata la possibilità in via ordinaria di conferire posti dirigenziali
a chi non avesse conseguito la relativa qualifica mediante concorso,
stabilì pure che essa dovesse decorrere dallo svolgimento della prima
tornata di concorsi dirigenziali e dalla redazione delle conseguenti
graduatorie.
Fino a quel momento l'art. 28 bis, comma 3, di quest'ultimo decreto
stabilì che non solo fosse possibile nella scuola conferire incarichi
di presidenza, ma che anzi essi sarebbero stati titolo valutabile
proprio ai fini concorsuali. L'art. 28 bis è poi divenuto l'art. 29 del
D.Lgs. n. 165/2001, ed è tuttora vigente.
Il legislatore, dunque, nel prevedere l'anzidetta eccezione
all'impianto giuridico complessivo della dirigenza, ha tenuto presente
le particolari necessità delle istituzioni scolastiche, che esigono, in
ogni caso, la continua presenza di un responsabile.
L'incarico di presidenza è regolato contrattualmente dall'art. 69 del
CCNL/1995, espressamente richiamato nell'art. 146 del CCNL/2007.
Tuttavia, la legge 43 del 31/03/2005, art. 1/sexies ha previsto che, a
decorrere dall'anno scolastico 2006/2007, non siano più disposti nuovi
incarichi di presidenza, fatta salva la conferma degli incarichi già
assegnati. I posti vacanti di dirigente scolastico sono conferiti con
incarico di reggenza.
L’impianto normativo vigente ha tuttavia consentito a chi ne avesse
titolo di continuare a svolgere la funzione, anche in mancanza della
“idoneità” concorsuale, da conseguire negli ultimi concorsi banditi, di
cui uno in corso, che, come è noto, sono infarciti di errori, sconvolti
dalle inchieste giudiziarie e dagli annullamenti disposti dalla
Magistratura Amministrativa.
Nel caos determinato da concorsi mal gestiti, dichiarati illegittimi, o
dall’uso indiscriminato dell’istituto della reggenza, che comporta
l’assegnazione senza scrupoli ai dirigenti scolastici(pochi) di una
pluralità devastante di istituti scolastici, i “presidi incaricati”
rimasti hanno garantito la stabilità, l’efficienza, la continuità di
direzione in molte scuole, talvolta nelle sedi più disagiate.
Esistono dunque ancora dei “precari della dirigenza”, dei presidi a
termine illegittimamente utilizzati dal legislatore per coprire le
falle di un sistema ormai in cancrena.
Questi soggetti hanno dimostrato competenze sul campo e continuano a
svolgere degnamente, nel rispetto di una professione ormai bistrattata,
le funzioni ad esse per legge assegnate.
Recentemente sono state presentate due interrogazioni parlamentari, di
cui una alla Camera dei Deputati(on. Di Giuseppe, Atto n. 4-13296) e
una al Senato della Repubblica(sen. Salvo Flores, Atto n. 4-05950),
nelle quali si fa riferimento alla problematica dei presidi incaricati
e si pone l’attenzione sulla illegittimità della reiterazione dei
contratti a tempo determinato di tali soggetti, che si perpetua, per
alcuni, addirittura da quasi un decennio.
Scrive l’on. Di Giuseppe: “…alla luce del nuovo orientamento
giurisprudenziale, potrebbero partire dei ricorsi per la trasformazione
del contratto e il risarcimento danni alla pubblica amministrazione,
che risulterebbe soccombente in quanto i presidi incaricati svolgono a
tempo determinato da 10 anni la funzione, senza che sia mai stata
determinata un'esigenza eccezionale, così come invece vorrebbe
l'articolo 35 del decreto legislativo n. 165 del 2001…” e, ancora: “i
contratti a tempo determinato sono stati posti in essere secondo gli
interroganti in violazione della normativa che regola la materia e, in
particolare, del decreto legislativo 6 settembre 2001 n. 368 con il
quale l'ordinamento italiano ha inteso dare attuazione alla direttiva
1999/70/Ce relativa all'accordo quadro sul lavoro a tempo determinato
concluso dall'UNICE, dal CEEP e dal CES (che si applica alla pubblica
amministrazione in forza della clausola 2 del medesimo accordo quadro)”.
Il sen. Fleres punta inoltre l’attenzione sulla capacità professionale
degli incaricati, sottolineando che: “i suddetti presidi incaricati,
svolgendo tali funzioni da diversi anni, hanno acquisito capacità,
competenze ed esperienze messe a disposizione di un'amministrazione che
li ha, peraltro, incaricati, formati ed aggiornati con spese a carico
dello Stato”.
Bisogna però specificare che nel pubblico impiego, in merito alla
illegittima reiterazione di contratti a termine, la norma di
riferimento è il comma 5, art. 35 del d.lgs. 165/2001:
“5.In ogni caso, la violazione di disposizioni imperative riguardanti
l'assunzione o l'impiego di
lavoratori, da parte delle pubbliche amministrazioni, non può
comportare la costituzione di rapporti
di lavoro a tempo indeterminato con le medesime pubbliche
amministrazioni, ferma restando ogni
responsabilità e sanzione. Il lavoratore interessato ha diritto al
risarcimento del danno derivante
dalla prestazione di lavoro in violazione di disposizioni imperative.”
Dunque, sebbene, forse, non sia ipotizzabile una mera conversione del
contratto, in rispetto anche al disposto dell’art. 97 della Carta
Costituzionale, è altamente probabile che la P.A. sia colpita da più di
100 ricorsi per il risarcimento danno.
La giurisprudenza recente è molto propensa, soprattutto per quanto
riguarda la reiterazione dei contratti a termine dei docenti, ad
accordare risarcimenti danno faraonici, parametrati sulla retribuzione
globale di fatto, in media sulle 15 mensilità lorde.
Fatto un breve calcolo ciò potrebbe costare al Miur circa 40000 euro
netti a preside incaricato, per un totale di 4000000 euro per tutti
questi “precari della dirigenza” rimasti.
Naturalmente tutto a carico della comunità che dopo le recenti manovre
finanziarie è vessata da tassazioni già a livelli esponenziali!
Alcune sigle sindacali, su tutte la Dirpresidi, ma anche l’Uglscuola e,
ultima, l’Unicobas, stanno avviando procedure di vertenza a tutela di
questa categoria di lavoratori.
Che fine hanno fatto i Confederali( Cgil, Cisl e Uil)? Il loro silenzio
assordante sulla vicenda sembra un’acquiescenza non molto celata alla
volontà di continuare ad ignorare questa forma di precariato.
Quanto conviene ancora allo Stato disprezzare, umiliare, gettare e
riusare i presidi incaricati? E quanto conviene economicamente, per una
volontà incomprensibile, rischiare risarcimenti milionari a carico dei
contribuenti, al solo scopo di evitare l’assunzione di 100 docenti che
hanno dimostrato in un decennio di essere preparati, formati sul campo
e disposti, a capo chino, a servire la Pubblica Amministrazione?
Nell’era della meritocrazia valutata in base a quiz, test di puro
nozionismo, il legislatore farebbe bene, ogni tanto, a compiere gesti
legittimi di riparazione a errori del passato, in favore del merito
dimostrato giorno dopo giorno sul campo.
Salvatore M.