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Riforma: Per salvare la scuola voti alla qualità e se fallisse la scuola fallirebbe la nazione

Rassegna stampa
Mi propongo di distrarre i lettori dalle priorità del momento: l'attenzione ai debiti pubblici (e privati) e all'equa ripartizione dei sacrifici per onorarli. In materia di deficit ricordo che, confrontato ai Paesi più avanzati, il nostro è un Paese con un altro pesante deficit: quello di istruzione. Viviamo in un Paese ad alto tasso di ignoranza: il 48% della popolazione dai 25 ai 64anni (dati Ocse) possiede al massimo la licenza media (nei Paesi avanzati il 15-25%) e solo il 35% dei cittadini ha un adeguato patrimonio di competenze (contro il 50-70% dei Paesi con cui competiamo). Ma gli italiani sono così: una popolazione con scarse conoscenze e cultura, sempre a rischio di facili manipolazioni. Non credo di caricare le tinte se affermo che l'ignoranza dovrebbe essere considerata quasi una "malattia" da curare, visto che esclude dall'esercizio responsabile dei diritti e dei doveri e ormai anche dal lavoro.
Ora, guardando agli insegnanti (oltre un milione, precari inclusi) è evidente che formazione, selezione, reclutamento, condizioni di lavoro, incentivi a migliorare e riconoscimento dei meriti dovrebbero essere al centro dell'attenzione dei decisori pubblici. Perché non dedicare agli operatori della scuola almeno altrettanta attenzione di quella riservata al destino dei metalmeccanici della Fiat? Se la Fiat malauguratamente fallisse sarebbe gravissimo per tutti, ma si potrebbe pur sempre comprare una Volkswagen.
Se invece fosse la scuola italiana a degradare per la colpevole incuria verso i suoi operatori, che ne sarebbe
delle nuove generazioni?
Sul tema degli insegnanti purtroppo saltano all'occhio tre preoccupanti paradossi:
1°) tutti concordano che l'istruzione-educazione è sempre più cruciale per la vita e per il lavoro, ma al contempo il loro prestigio e il loro status è in continuo declino, nell'assenza di provvedimenti radicali;
2°) gli insegnanti passano gran parte del tempo lavorativo a valutare le prestazioni degli studenti, ma poi molti sono resistenti quando si tratta di sottoporre a valutazione la propria qualità professionale;
3°) la maggioranza degli insegnanti lamenta l'assenza di un sistema di incentivazione che premi le professionalità meritevoli, ma poi gli stessi sono critici riguardo all'introduzione di procedure di valutazione senza le quali vengono a mancare i criteri con cui elargire gli incentivi che pure invocano.
Non è una provocazione affermare che le scuole pubbliche italiane sono luoghi molto "privati", visto che di loro nessuno sa alcunché. In tutti i Paesi avanzati i governi (di destra o di sinistra) sono impegnati alla costruzione di un Sistema nazionale di valutazione del servizio scuola perché l'opinione pubblica e i decisori pubblici hanno il diritto di avere una bussola per sapere «dove siamo e dove stiamo andando» e confrontare l'efficacia del proprio sistema scolastico con quello di altri Paesi. In questa prospettiva il ministro Gelmini, procedendo sulla strada avviata dai ministeri Berlinguer e successivi, ha potenziato l'Invalsi per monitorare in modo più oggettivo (con test nazionali) gli apprendimenti degli studenti. Ha anche realizzato due serie e originali sperimentazioni su piccola scala volte a stimolare miglioramenti e a premiare i meriti: una per la valutazione dell'efficacia delle singole scuole e un'altra per l'individuazione, in ogni scuola, di una fascia (20-30%) di insegnanti meritevoli di «generale e comprovato apprezzamento professionale». Sulle due sperimentazioni sono in corso ricerche affidate dal ministero a istituzioni scientifiche indipendenti (Associazione TreeLLLe, Fondazione per la scuola della Compagnia di San Paolo, Fondazione Agnelli) che prevedono anche di raccogliere critiche e suggerimenti dagli operatori delle scuole coinvolte.
Nessun metodo di valutazione per le scuole o per gli insegnanti sarà mai perfetto, ma un priorità deve prevalere: superare da un lato la mancanza di ispezioni e valutazioni dei punti di forza e debolezza dell'operato di ciascuna scuola (per l'Ocse, tra 33 Paesi esaminati, ciò avviene solo in Italia, Grecia, Lussemburgo e Messico), dall'altro la grave iniquità di un egualitarismo retributivo, privo di riconoscimenti dei meriti e di prospettive di carriera. E ciò che non si valuta mai, perde fatalmente valore. È questo che vogliamo per la scuola italiana e che vogliono i suoi principali attori? (da Il Sole 24 Ore )
Presidente Associazionte TreeLLLe
oliva_at_treellle.org









Postato il Lunedì, 26 settembre 2011 ore 14:55:00 CEST di Pasquale Almirante
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