Nel primo
libro di Leonardo Sciascia, Favole della
dittatura, le favole sono ventisette, tutte brevissime. La
quinta si risolve in due frasi «Il cane abbaiava alla luna. Ma
l'usignuolo per tutta la notte tacque di paura» sufficienti per mettere
in moto una causalità trasversale: la paura nasce da un malinteso
consentito a sua volta da un contesto che il testo ci tace.
«I topi, le talpe e le faine, tutti gli animali che rosicchiavano ai
margini di quella che costituiva la legalità di una fattoria
progettavano una rivoluzione. I topi erano accesissimi. Ma fu una talpa
a preoccuparsi della data. «In inverno», disse. «Ci sono state cose
favorevoli, in inverno». E qui diventò eloquente e precisa; fu
acclamata. Nessuno dei topi pensò che, d'inverno, le talpe
profondamente
dormono».
Questa aspra barzelletta era la numero undici: nelle favole di Sciascia
si avverte la presenza di un retropensiero: chi agisce nel testo la sa
più lunga di chi legge e chi scrive la sa più lunga di tutti. Non
sappiamo quando siano state scritte (il libro esce nel 1950), ma certo
dopo la fine della guerra.
Chi invece compose apologhi antifascisti mentre Mussolini era tuttora
al comando fu Italo Calvino che aveva due anni meno di Sciascia (classe
1923) e che a partire dal marzo 1943 produsse una ventina di brevi
racconti. Subito dopo la guerra meditò di raccoglierli: «L'apologo
nasce in tempi d'oppressione. Quando l'uomo non può più dar chiara
forma al suo pensiero, lo esprime per mezzo di favole. Questi
raccontini corrispondono a una serie d'esperienze politiche o sociali
d'un giovane durante l'agonia del fascismo». Alla fine non si decise a
pubblicare, ma se lo avesse fatto avrebbe accompagnato i testi con le
date di stesura: «Si deve guardare a queste date, e per giustificare
certi apologhi che oggi non avrebbero senso, e per seguire l'evolversi
della concezione dello scrittore, come egli dallo scetticismo più
pessimista riesce a poco a poco a trovare qualche punto fermo, l'avvio
per una fede positiva».
A differenza di Calvino, Sciascia non dà informazioni sulla cronologia
dei testi. Fa bene, perché le sue favole non perdono significato col
mutare del quadro politico e perché non rispondono a una condizione di
«scetticismo pessimista» da superare. Sono, semmai, un addio alla
propria giovinezza e un rito di fondazione della propria scrittura.
Superior stabat lupus: e l'agnello lo vide nello specchio torbo
dell'acqua. Lasciò di bere, e stette a fissare tremante quella
terribile immagine specchiata. «Questa volta non ho tempo da perdere»,
disse il lupo. «Ed ho contro di te un argomento ben più valido
dell'antico: so quel che pensi di me, e non provarti a negarlo». E d'un
balzo gli fu sopra a lacerarlo. (di Domenico Scarpa da
IlSole24Ore)
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