Le
trattenute previste dal decreto Brunetta che vengono applicate ai
docenti e agli Ata in caso di assenze per malattia potrebbero essere
incostituzionali. Secondo il giudice del lavoro di Livorno, ridurre la
retribuzione al dipendente pubblico è contro il principio di
uguaglianza, perché non è previsto per il lavoratori del settore
privato.
E in più viola il diritto alla salute, il principio di retribuzione
sufficiente e il diritto di assistenza del lavoratore inabile. Insomma,
ce n'è abbastanza per interrogare la Corte costituzionale. Che se
dovesse dare ragione al giudice di Livorno potrebbe cancellare con un
colpo di spugna l'articolo 71 del decreto Brunetta: una delle
disposizioni più odiate dai dipendenti pubblici, perché riduce la
retribuzione , anche se solo per la aprte accessoria, quando il
lavoratore si assenta per malattia. Una disposizione che interessa
tutto il pubblico impiego e la scuola in particolare, che è il settore
statale più corposo con il suo milione di dipendenti. L'ordinanza di
rimessione, di cui si è avuta notizia solo in questi giorni, porta la
data del 5 agosto scorso (1330/2010 r.g.) ed è motivata facendo
riferimento a 4 norme costituzionali: gli articoli 3, 36, 32 e 38 della
Carta.
Il principio di uguaglianza
Il giudice di merito ha posto l'accento, anzi tutto, sul fatto che la
decurtazione della retribuzione, che consiste nella mancata
attribuzione del compenso accessorio per i primi 10 giorni di ogni
episodio di assenza (poche decine di euro), è prevista solo per il
personale della pubblica amministrazione e non per i dipendenti del
settore privato. Il tutto nonostante entrambe le tipologie di personale
siano caratterizzate da un identico vincolo di subordinazione. E ciò,
secondo il giudice rimettente, viola il principio di uguaglianza di cui
all'art. 3 della Costituzione.
La retribuzione sufficiente
Il giudice ha fatto presente inoltre che, per effetto dell'art. 71, il
lavoratore legittimamente ammalato si trova privato di voci retributive
che normalmente gli spetterebbero in funzione del suo lavoro, subendo
pertanto una riduzione del corrispettivo in busta paga. «Riduzione che,
dati gli stipendi che percepiscono ad oggi i lavoratori del comparto
pubblico», si legge nell'ordinanza «diventa tale da non garantire al
lavoratore una vita dignitosa. Di fatto la malattia diventa un lusso
che il lavoratore non potrà più permettersi, e ciò appare in contrasto
con l'art. 36 della Costituzione che prevede che sia garantita una
retribuzione proporzionata ed in ogni caso sufficiente a garantire
un'esistenza libera e dignitosa».
Il diritto alla salute
L'art. 71, inoltre, sempre secondo il Tribunale di Livorno, incidendo
pesantemente sulla retribuzione del lavoratore malato, crea di fatto un
abbassamento della tutela della salute del lavoratore che, spinto dalle
necessità economiche, viene di fatto indotto a lavorare aggravando il
proprio stato di malattia. Il tutto in violazione dell'art.32 della
Costituzione, che qualifica il diritto alla salute come diritto
fondamentale.
Il diritto all'assistenza
Il giudice rimettente, infine, ha fatto riferimento anche all'art. 38
della Costituzione. Che risulterebbe violato per effetto del
trattamento deteriore previsto dal decreto Brunetta, perché la
Costituzione garantisce i mezzi di sostentamento al lavoratore inabile
al lavoro. La violazione deriverebbe, appunto, dalla decurtazione
stipendiale, che priverebbe il lavoratore parzialmente inabile di parte
della retribuzione utile al proprio sostentamento. Sulla base di queste
considerazioni il giudice ha sospeso il giudizio ed ha trasmesso gli
atti alla Consulta. La palla passa dunque alla Corte costituzionale
che, se dovesse dare ragione al giudice rimettente, potrebbe cancellare
la norma che dispone le decurtazioni e tutto ritornerebbe come prima
della riforma. (da ItaliaOggi
di Antimo di Geronimo)
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