Nello storicismo
hegeliano- si sa - c’è sempre conciliazione, sintesi e armonia
degli opposti. Ma non sempre, ahimè, il progresso della
storia è prodotto automaticamente migliore, per
dialettica sintesi, di ciò che c’ è stato prima; guai, quindi, ad
assolutizzarlo, esimendoci dal darne un giudizio di valore!
Se escludiamo ogni metro di valore, avremo davanti solo lo
spettro di una filosofia della storia corrosiva e disumana, che
tutto giustifica e razionalizza secondo l ‘ “adagio” che
“tutto ciò che è reale è razionale”: i fatti, in quanto
inscritti nell’orizzonte della storia, anche se mostruosi, e
irrazionali, avrebbero comunque una loro intrinseca necessità
logica e, quindi, vanno compresi, ma non giudicati! Ma è poi vero che
dare ragione dei fatti significhi anche dare ragione ai fatti? Dubito.
Io credo , piuttosto, che nell’insegnamento della storia, la
scuola debba ribadire con forza che tale disciplina è semplice
ausiliaria rispetto agli apprezzamenti valoriali e va
considerata solo come supporto per una più critica e
articolata e responsabile fruizione dei fatti medesimi. E
questo, per la semplice ragione che le ragioni della storia non
coincidono sempre con le istanze e le ragioni ideali più profonde
del nostro essere umano; la storia è passione, amore , odio,
interessi: un dramma il cui protagonista è l’uomo: signum
contradictionis !. Bisogna, perciò, diffidare
dell’affermazione che “la storia del mondo è il tribunale
del mondo”: lo spazio dell’orizzonte storico
entro cui si snodano i fatti, non sempre include quello delle nostre
esperienze valoriali. Giusto dunque il resoconto storico, sacrosanto lo
studio del manuale di storia, ma senza dimenticare che la storia
ci chiama in causa, e può soddisfare certe esigenze
esistenziali di arricchimento interiore , di pienezza vitale e di
progettualità e creatività soltanto iscrivendosi dentro, e non
ponendosi al di fuori delle dimensioni valoriali cui tali esigenze si
richiamano.
Nuccio Palumbo
antoninopal@katamail.com