Il piglio è
quello dell’ «adesso parlo io». Sono giorni che gliene dicono di tutti
i colori, o che ne dicono di tutti i colori sulla scuola, che per lei è
la stessa cosa. E così Mariastella Gelmini ha una gran voglia di
replicare a quella che ritiene un’opera di disinformazione. «Sembra che
la scuola sia partita nel caos - dice - e che il governo abbia pensato
a fare una sola cosa: tagliare».
E lei naturalmente dice che non è così.
«È ovvio che far partire una “macchina” con un milione di addetti e
otto milioni di studenti non è semplice. Ma la verità è che lunedì
l’anno scolastico è cominciato regolarmente. E mi permetta di
aggiungere: è partito regolarmente anche grazie a uno sforzo
eccezionale della pubblica amministrazione».
Perché eccezionale?
«Perché quest’anno ci sono stati 67.000 nuovi ingressi tra insegnanti e
personale amministrativo. Lei immagina che cosa vuol dire assegnare una
sede a ciascuno di questi 67.000, convocare tutti i vincitori dei
concorsi, prendere atto delle rinunce eccetera eccetera, e tutto questo
in poco più di un mese? Gli uffici centrali e periferici della scuola
hanno fatto un lavoro straordinario di cui non parla nessuno».
Ma la contestazione che vien
fatta è un’altra, signor ministro. Non crede che dopo tanti tagli sia a
rischio la qualità della didattica?
«Credo che la crisi che stiamo vivendo sia drammatica, e che sacrifici
siano stati imposti a tutti i settori, non solo alla scuola. Ma, detto
questo, si leggono autentiche leggende metropolitane».
Ad esempio?
«La storia delle classi pollaio. Sembra che in Italia ci siano solo
classi con più di trenta alunni! Sa quante sono, in realtà, le classi
con più di trenta alunni? 2.108 su 350.000, lo 0,6 per cento».
Non è che le altre classi sono a quota 29, o giù di lì?
«Proprio oggi l’Ocse ha diffuso il suo rapporto sulla scuola, e sa che
cosa dice? Che la media Ocse è di 23 alunni per classe, e la media
italiana di 22. Io capisco le critiche politiche, ma ci sono dati che
non possono essere ribaltati».
Il rapporto che lei cita, però, dice anche che in Italia per
l’istruzione si investe il 4,8 per cento del Pil, mentre la media Ocse
è del 5,9; quella di Stati Uniti, Norvegia e Corea è superiore al 7 per
cento.
«È vero, ma il rapporto dice anche che in Italia, a differenza degli
altri Paesi che hanno una percentuale di Pil superiore, nella scuola ci
sono pochissimi investimenti privati. Per questa carenza l’Ocse ci
rimprovera, e ha ragione. Ma guai a parlare, in Italia, di investimenti
privati nella scuola! C’è una resistenza ideologica fortissima».
Torniamo alle critiche di questo inizio d’anno. Gli insegnanti di
sostegno?
«Altra leggenda nera. Dicono che li abbiamo ridotti. Rispondo solo con
un dato: quest’anno sono 94.430, il numero più alto nella storia della
scuola italiana. Non c’è altro da aggiungere, credo».
I precari?
«Sono calati di sette punti percentuali».
La riduzione delle ore di lezione?
«Alle superiori le abbiamo ridotte perché le ricerche hanno certificato
che erano troppe, e che oltre un certo limite cala la soglia di
attenzione degli studenti. Se poi facciamo un discorso generale, le
leggo un’altra frase testuale del rapporto Ocse: “Gli studenti italiani
beneficiano di classi relativamente meno numerose e di tempi di
istruzione più lunghi”. In Italia gli studenti dai 7 ai 14 anni fanno
8.316 ore di lezione; la media Ocse è di 6.739 ore».
Ma perché sono calate le ore di storia dell’arte?
«Anche questa è disinformazione, mi creda. Sono rimaste invariate nelle
medie e nei licei umanistici, e calate solo negli istituti tecnici
perché l’indirizzo di quelle scuole dev’essere un altro. E comunque
siamo sopra la media Ocse».
E il fatto che non ci siano più soldi per i servizi? Che molte scuole
debbano chiedere alle famiglie un contributo volontario?
«Le cosiddette spese di funzionamento erano state ridotte negli anni
scorsi, perché il precedente governo aveva voluto salvare certi
organici gonfiati, così mancavano i soldi per la gestione ordinaria. Ma
ormai da due anni siamo tornati agli stanziamenti di prima del 2007,
quindi a cifre superiori ai settecento milioni di euro. Chi chiede un
contributo alle famiglie, lo fa per attività particolari, non per la
gestione ordinaria».
Torniamo all’Ocse. Dice che per l’università la spesa pro capite è
molto più bassa della media europea.
«Sì, ma l’abbiamo aumentata di otto punti. All’università c’erano molti
sprechi, li abbiamo eliminati e ora molti atenei stanno migliorando i
loro bilanci. La strada è ancora lunga ma l’abbiamo imboccata nel senso
giusto».
Perché gli insegnanti italiani guadagnano meno che nel resto d’Europa?
«Perché sono i primi a pagare le scelte degli anni scorsi, e cioè
l’aumento indiscriminato di ore e di cattedre per fare della scuola un
ammortizzatore sociale. Noi ora, grazie ai risparmi, abbiamo recuperato
gli scatti di anzianità.Ma la nostra sfida è quella di superare la
logica dell’anzianità e di premiare il merito, perché non è giusto che
tutti gli insegnanti guadagnino lo stesso stipendio. Non sarà facile
cambiare, in un sistema ingessato come quello della scuola: ma non c’è
altra via».
Che cosa l’amareggia di più in questi giorni?
«Certo vorrei che si parlasse anche delle tante novità positive
introdotte dalla riforma, degli investimenti per le nuove tecnologie,
dei nuovi indirizzi delle superiori che stanno avendo molto seguito...
Ma la cosa più triste è che si alimenta nelle famiglie l’illusione che
si possa tornare alla scuola di prima, quella che dava l’impressione di
essere ricca ma spendeva tanto e male. Quella scuola non tornerà,
perché anche se cambiasse il governo, chi verrà dopo di me dovrà fare i
conti con questa realtà». (di Michele Brambilla da La
Stampa)
redazione@aetnanet.org