«Sei
competente? Le tue competenze sono certificate? Perdi il posto!».
Questo sta avvenendo nei Licei Classici, ai danni dei Docenti di
lettere, greco e latino. Infatti, con una semplice Nota Ministeriale
(la n. 272 del 14 marzo 2011), il Ministero dell’Istruzione, Università
e Ricerca ha stabilito che l’italiano, la storia, la geografia e il
latino nel Ginnasio (materie tradizionalmente insegnate nel biennio
ginnasiale solo dagli abilitati anche all’insegnamento del greco)
saranno insegnate pure da chi il greco non può insegnarlo perché privo
di abilitazione. In tal modo i Docenti più titolati, gli unici che per
legge hanno diritto ad insegnare Lettere nel Ginnasio (come prescritto
dal Decreto Ministeriale n. 39 del 30 gennaio 1998, tuttora vigente),
saranno relegati all’insegnamento del solo greco. La storia greca sarà
spiegata agli studenti ginnasiali da Insegnanti laureati in Lettere
moderne. La cultura latina, figlia di quella greca, verrà insegnata nel
Ginnasio da Docenti con conoscenze non approfondite di cultura e lingua
greca: Docenti magari bravissimi e molto preparati, ma con competenze
diverse da quelle richieste nel Liceo Classico.
Risultato: già da oggi la quasi totalità dei precari abilitati per il
greco è a spasso. Le cattedre disponibili per loro si contano in ogni
provincia sulle dita di una mano monca. E l’assurdità maggiore consiste
nel fatto che d’ora in poi viene loro improvvisamente precluso anche di
insegnare le altre materie letterarie nei Licei Scientifici e
Linguistici, negli Istituti Tecnici, nelle Scuole Medie Inferiori. “Sai
il greco? Insegni solo il greco!”. Ciò significa non avere più uno
stipendio, per trentacinquenni con una o più lauree ottenute con il
massimo dei voti, specializzati, abilitati all’insegnamento, spesso
dottori di ricerca, i quali finora avevano sempre lavorato nel
Ginnasio; un Ginnasio che aveva bisogno di loro, gli unici a potervi
insegnare le materie letterarie. Per i Docenti “a tempo indeterminato”
(quelli che un tempo erano definiti “di ruolo”) significherà sempre più
perdere la titolarità nel Liceo di appartenenza, a vantaggio di
colleghi meno titolati, ai quali la legge prescrive di insegnare in
altri tipi di scuole. Per il Liceo Classico significa diventare un bel
calderone all’italiana, in cui tutti possono insegnare un po’ di tutto.
Per il nostro Paese significa degradare ancora di più il rigore e la
serietà della cultura: la quale, come si sa, “non serve per vivere”,
come pensano alcuni degli illuminati statisti che siedono sugli scranni
del nostro Governo. Cosa se ne fa della cultura classica un demagogo
che sa esprimersi solo mostrando il dito medio e grugnendo parolacce
contro un microfono?
Insegnare cultura greca, oggi, ad uno studente imbevuto di consumismo e
di disimpegno, vuol dire metterlo in condizione di comprendere a fondo
concetti non più tanto di moda: quello di democrazia come
partecipazione diretta, di politica come cura dell’interesse
collettivo, di filosofia come esercizio del pensiero libero, di scienza
come ricerca libera da dogmatismi e pregiudizi di carattere religioso.
Studiare la cultura greca significa affondare le proprie radici
nell’humus che ha dato origine alla civiltà moderna. Ecco perché lo
studio della cultura greca non può essere separato dallo studio della
civiltà latina, che dal mondo greco ha tratto linfa vitale; non può
essere scisso dallo studio della storia, che nel Ginnasio riguarda le
civiltà antiche; dallo studio della cultura italiana, nata dalle
medesime civiltà; dallo studio della geografia, strettamente connessa
alla storia.
Tutto ciò, agli illuminati politicanti di cui sopra, non interessa. E
nemmeno alla maggior parte dei sindacati. Soltanto il sindacato
Unicobas ha organizzato un ricorso al TAR, tuttora in esame, dopo aver
già bloccato il medesimo obbrobrio nel maggio 2010, con
un’interpellanza parlamentare presentata dall’Italia dei Valori. Per il
resto, assistiamo a una strenua e pilatesca difesa dell’esistente. Il
motivo principale è il seguente: i prof non abilitati in greco sono in
numero maggiore, e più pesantemente colpiti dai tagli (perché le ore di
latino sono state falcidiate da quella marmellata che qualcuno si
ostina pomposamente a definire “riforma Gelmini”). E poi in Italia,
paese clericale e mammone, parlare di onore al merito risulta
impopolare. Un anglosassone calvinista non avrebbe dubbi su una
questione così lapalissiana. In Italia, invece, le persone più titolate
quasi si vergognano di reclamare i propri diritti, perché ci sarà
sempre qualcuno pronto a definirli “antipatici”, “secchioni”,
“presuntuosi”. Quanto alla difesa dei precari, i sindacati confederali
sono pronti a difendere “prima di tutto il personale di ruolo” (parole
che ho sentito con le mie orecchie da una sindacalista CGIL): proprio
quei sindacati confederali che sin dal lontano 1993 hanno accettato che
il personale di ruolo fosse degradato a “personale a tempo
indeterminato” (dizione che prima indicava i precari). “Difendere il
personale di ruolo”, negandone comunque la professionalità certificata
e quella acquisita in decenni di insegnamento, non è rendere un buon
servizio ai Docenti, né alla qualità della Scuola Statale, agli
studenti e alla collettività. Lo sarebbe, piuttosto, rispedire al
mittente quella operazione di smantellamento che qualcuno spaccia per
“riforma scolastica”. Lo sarebbe denunciare con coraggio quel
neoliberismo alla Pinochet che autorizza la classe politica a
mercanteggiare sui beni comuni (Scuola, Sanità, risorse strategiche),
svendendoli al migliore (?) offerente. Ma questa denuncia, questa
coerenza, questo coraggio, si sa, richiederebbero un Paese differente,
un popolo più cosciente, una classe dirigente e politica più onesta.
Non ce li abbiamo, dunque dobbiamo accontentarci. Teniamoci pertanto la
croce di questi ineffabili “governanti”, che si riempiono la bocca di
parole altisonanti come “meritocrazia” mentre licenziano i meritevoli o
rendono loro la vita impossibile, fino a farli pentire di esser nati.
Gli insegnanti grecisti, pieni di gratitudine per questi mecenati, non
smetteranno facilmente di ringraziarli: con ricorsi, sit-in, lettere ai
giornali, appelli ai professori universitari, interventi nelle
trasmissioni radiofoniche, manifestazioni e tutto ciò che sarà
necessario per affermare pacificamente il loro diritto. Nell’attesa che
tutto il Paese si risvegli dal sonno della ragione per scacciare i
mostri e scuotersi dall’incubo in cui è immerso.
(da http://www.periodicoliberopensiero.it/)
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