Sarebbe stato
difficile immmaginare, fino a poco tempo fa, prevedere l'aggressione
ciellina - virtuale, per carità, ma vibrante e ragionata - alla
ministra Gelmini. Una dura presa di posizione che spariglia i
pregiudizi circa le geografie politiche della galassia in cui gravitano
“i ragazzi del don Gius” e che, nelle scorse ore, ha incassato il
sostegno deciso di un nutrito gruppo di personalità del mondo
dell’istruzione, del giornalismo e dell’impresa. Non si tratta dunque
della liturgia annuale, umida e stanca, delle proteste dell’Onda, né di
un fendente sguainato dai precari (o dai ricercatori) che lo scorso
autunno invasero i tetti delle Accademie italiane.
È fuoco amico, il più temuto. All’indice è il decreto che la ministra
lombarda starebbe per approvare nel prossimo mese di ottobre, salvo
ripensamenti. Un provvedimento «di stampo conservatore» che impedirebbe
ai neolaureati, per almeno un decennio, di salire in cattedra. Di cosa
si tratta? Occhio al trucco: il Governo ha lasciato intendere che,
prima di avviare la nuova abilitazione all'insegnamento (l'accesso alle
graduatorie è stato interrotto nel 2008) si dovrà attendere
l'inserimento in ruolo degli oltre 230 mila precari che negli ultimi
anni sono stati accumulati nelle gloriosamente note “graduatorie ad
esaurimento”. Questo meccanismo, che evidentemente strizza l’occhio ai
sindacati di categoria (i cui stakeholder, che ve lo diciamo a fare,
sono ovviamente parecchio in là con gli anni), parrebbe inoltre
comportare l'esclusione dall'insegnamento, almeno per i prossimi 5
anni, di tutti quegli studenti laureatisi dopo il 2008. Eppure il
ministro Gelmini ha dichiarato pubblicamente che, nel calcolo dei posti
disponibili, il 50 per cento di posti sarebbero stati riservati ai
giovani e il 50 per cento ai precari. Verissimo. Il problema però è
alla radice: non esistono “nuovi” insegnanti, dunque quello slot non
verrà mai saturato. In una regione come la Lombardia, esemplificano sul
blog del fogliante Vietti, «i giovani insegnanti fino al 2016 saranno
poche manciate. Tutto il resto ai precari». I ragazzi del movimento
studentesco legato a CL si son mossi da luglio, con un mail bombing
endogeno prima, qualche spiazzante intervento sul Sussidiario, magazine
d’area, e con una protesta plateale nelle ultime settimane. Nell'ultima
settimana, il tema principale delle Scuole di Comunità - il vero
focolare ecclesiale del movimento di Don Giussani - è stato proprio il
contrasto al decreto. L’esercito ciellino è davvero tutto mobilitato:
tanto che anche in Bocconi - Università che non sforna certo plotoni di
insegnanti delle scuole superiori - si discute accesamente, nei gruppi
ciellini. Gli altri, francamente, se ne infischiano.
Di cosa si tratta? A parlare è Francesco Magni, studente
dell’Università degli Studi di Milano e presidente del Coordinamento
delle Liste per il Diritto allo Studio (il contenitore che raccoglie
tutte le liste di ispirazione ciellina all’interno dei diversi atenei
italiani): «Abbiamo promosso un appello perché crediamo sia iniquo e
miope far pagare il prezzo di una situazione stratificata da decenni
solo alle giovani generazioni». Sebbene la ministra non sia
direttamente arruolabile tra le milizie del movimento cattolico di
stanza nei palazzi romani, il feeling c’è stato: per questo il tono
delle dichiarazioni oggi suona affatto conciliante: «Tutto ciò per via
di un ministro che sembra più preoccupato di ascoltare i sindacati
“organizzati” anziché perseguire il bene degli studenti italiani».
Bordate inattese, e dunque pericolosissime. Rammaricati, preferiscono
non «tacere ciò che la realtà ci dice: pane al pane e vino al vino. I
numeri circolati in questi giorni ci dicono che per i prossimi anni
nessun giovane che uscirà dalle università italiane (se non qualche
risicata unità) potrà abilitarsi all'insegnamento: avremo perciò una
classe di insegnanti sempre più vecchia, una progressiva svalutazione
delle nostre Facoltà umanistiche e scientifiche, con un conseguente e
prevedibile disastro culturale». Conclude con l’inflazionatissima
citazione del capolavoro dei fratelli Ethan e Joel Coen: «Sembra
scontato dirselo, ma un Paese che non investe nell’educazione dei
giovani e nello sviluppo non guarda al futuro e rischia di diventare
sempre di più “un Paese per vecchi”».
A Meeting concluso, hanno aperto il sito - www.appellogiovani.it - ed
hanno avviato una sorta di petizione popolare con si chiede alla
ministra di ripensarci. A scongiurare, insomma, quello che parrebbe un
dispetto generazionale a danno dei più giovani. Nella homepage, pochi
righi dopo le accuse, si passa anche alle proposte – che paiono un
salvagente lanciato tra le braccia ministra all’ultima spiaggia.
«Sganciare l'abilitazione dal reclutamento, come già avviene per le
altre professioni: abilitarsi non significa, infatti, ottenere di
diritto il posto d'insegnante in ruolo, ma conseguire un titolo
spendibile sul mercato del lavoro, sul modello delle idoneità (come già
avviene in tutto il resto d'Europa). Rendere disponibile per le lauree
magistrali e per le abilitazioni all'insegnamento un numero di posti
sufficiente a garantire un effettivo ricambio generazionale e una
risposta alle reali necessità della scuola. Avviare con urgenza una
ridefinizione delle modalità di reclutamento dei docenti che assicuri
selezione e qualità e che garantisca sia i diritti acquisiti di chi è
già iscritto in graduatoria, sia le aspettative dei giovani abilitati
di inserirsi nel mondo del lavoro». Trai primi firmatari dell’appello:
giornalisti (Bechis di Libero, Cusenza del Mattino, Tarquinio di
Avvenire e Grasso del Corriere), deputati (Cazzola, dello stesso
partito della ministra, e Volontè dell’UdC, ma anche Violante del PD),
rettori (quello della LUMSA, quelli delle Università del Salento, di
Trento, di Macerata), capitani d’impresa (Passera di Intesa, Ricci di
PoltroneSofà, Massari di ConfCooperative).
A Roma, lo scorso 8 settembre, il CNSU – il Consiglio Nazionale degli
Studenti Universitari, un organo meramente consultivo che, di fatto,
rappresenta una sorta di parlamentino degli studenti – ha approvato una
mozione che scotta, già dalle premesse. Queste: «considerata la poca
trasparenza nel calcolo del fabbisogno di docenti nelle scuole di ogni
ordine e grado» e «considerata la consequenziale confusione in cui
l'opinione pubblica versa, data la totale disinformazione in merito ai
posti disponibili, operata anche nel corso dell'ultima conferenza
stampa del 31 agosto (quella tradizionale del ministro ad
inaugurazione del nuovo anno scolastico: qui al minuto 13:00, ndr)».
Detto ciò, il Consiglio «esprime vive preoccupazioni per la situazione
creatasi dopo la chiusura delle Scuole di Specializzazione
all'Insegnamento Secondario del 2008». Chiedono che il Ministro
rielabori «l'impianto del decreto, tenendo conto non solo delle giuste
aspirazioni dei precari inseriti nelle GaE, ma anche concedendo la
possibilità alle giovani generazioni, secondo un numero congruo, di
conseguire l'abilitazione». Eppure: ciellino è il presidente del CNSU,
Mattia Sogaro, ma non è ciellina la maggioranza in consiglio. Occhio ai
numeri: sono solo nove i rappresentanti riconducibili a CL – eletti in
liste con logo identico ma nome differente, una decina di
rappresentanti provengono dalle file dell’UDU, la sigla universitaria
di sinistra vicina alla Cgil, e le contraddizioni all’interno
dell’organizzazione sindacale evidentemente si sprecano, nove quelli
eletti sotto le insegne del gruppo Azione Universitaria – Studenti per
le Libertà, il movimento degli studenti pidiellini, ed anche qui le
contraddizioni stridono.
La ministra ha replicato dalle colonne del quotidiano della Cei,
Avvenire: «Abbiamo fatto una scelta fondamentale che è trasversale ai
vari ministeri. Dopo decenni nei quali ai giovani sono state vendute
molte illusioni, come l’idea che vi fossero posti infiniti nella
scuola, si è interrotta questa pratica, introducendo la programmazione
degli ingressi nella scuola. Questo non significa chiudere le porte ai
giovani ma renderli consapevoli delle reali possibilità di occupazione
nella scuola e consentire loro di fare scelte ponderate». Cioè, un
“aprite gli occhi” conseguente alle ultime sforbiciate tremontiane.
Secca la replica degli universitari: «A guardare bene i dati, riportati
su tabelle ufficiose (chi glieli avrà passati? ndr), non è vero che non
c’è “nessuna certezza sul posto di lavoro” per i giovani, una certezza
c’è: che solo qualche manciata di loro nei prossimi tre anni accademici
potrà ambire ad un posto di lavoro, perché agli altri sarà negato
l’accesso all’abilitazione». Continuano decisi: «Il Ministro infatti
dovrebbe rispondere: è vero che durante il prossimo anno accademico in
tutta Italia verranno formati 202 insegnanti di Lettere per tutte le
classi di concorso (A050, A051, A052, A061)? Vero che in Lombardia
verranno formati tre insegnanti di Lettere (zero per alcune classi di
concorso)? Due in Piemonte? E perché il Ministro afferma di avere
riservato il 50% di posti disponibili ai precari e il 50% ai giovani
quando in un solo colpo ha recentemente immesso in ruolo 67mila precari
(di cui 37mila personale ATA, ossia bidelli) mentre nei prossimi tre
anni accademici verranno abilitati in tutto 829 insegnanti di Lettere?».
Sullo sfondo, lontana ma non troppo, c’è una partita politica
nazionale. Tra Gelmini e Formigoni, in realtà, i dissapori risalgono
agli anni in cui la Ministra era coordinatrice regionale. “Col compito
di stoppare un po’ l’invadenza di Roberto”, confidava a suo tempo. Per
conto di Berlusconi, naturalmente. Adesso che l’impero vede il
tramonto, però, i giochi sono aperti: e in guerra, si sa, tutto è
lecito.
(da Linkiesta.it)