Comincia un nuovo
anno, ma i problemi sono sempre gli stessi. Tagli agli istituti
pubblici, docenti poco motivati, studenti abbandonati a sé stessi. E
mentre aumenta la divisione fra tecnici e licei d'élite, gli insegnanti
statali si preparano a un anno di battaglie (da Repubblica)
Suona la campanella, si torna sui banchi: dopo le vacanze prende il via
un nuovo anno scolastico. Ma studenti e docenti sono alle prese con i
problemi di sempre. Il calendario della pubblica istruzione in Italia
sembra essersi fermato a molti anni fa: la scuola statale sembra
perdere la sua funzione educativa e propulsiva. E' più ripetitiva e
meno capace di formare cittadini consapevoli. Un universo nel quale gli
insegnanti sono perennemente in cerca di status e gli alunni vedono
assottigliarsi i propri diritti, mentre il governo continua con i tagli
e delegittima l'istituzione. Lo confermano i racconti degli studenti e
dei docenti, i protagonisti che tutti i giorni animano le aule e
faticosamente portano avanti i loro compiti.
Zero in condotta. Mariano Di Palma, coordinatore nazionale dell'Uds
(Unione degli Studenti), è netto: "Non si fa alcun investimento nella
scuola pubblica: i fondi per l'edilizia scolastica sono insufficienti,
il diritto allo studio non è garantito alle fasce più deboli e c'è un
enorme tasso di abbandono scolastico dovuto a ragioni
economico-sociali". In questa legislatura, dice, il voto in condotta
viene utilizzato come "arma non convenzionale" per punire chi contesta:
"Con il ministro Gelmini è tornato in auge l'autoritarismo del passato:
le sanzioni disciplinari per chi svolge attività politica a scuola sono
all'ordine del giorno, come l'inasprimento del voto di condotta, usato
come arma per colpire il dissenso". E fin dal primo giorno di scuola i
ragazzi dell'Uds hanno deciso di mobilitarsi contro la crisi e le
politiche "restrittive" in classe: "i conti li fate con noi" e
"valutato, non schedato" sono le parole d'ordine.
Insegnanti a metà. Il corpo docente, intanto, è alle prese con antiche
questioni economiche e nuovi problemi di ruolo, come sottolinea Rino Di
Meglio, coordinatore nazionale della Gilda degli insegnanti: "Le
difficili condizioni economiche in cui versa la professione sono
arcinote. Oggi purtroppo è diventato pessimo anche lo status di
docente. L'autonomia scolastica è stata portata avanti basandosi
sull'aziendalismo. Un obiettivo che rovina il nostro lavoro". Un
modello a cui guardare, secondo Di Meglio, è quello tedesco: "In
Germania i docenti hanno un buon trattamento economico (prendono circa
il doppio dei loro colleghi italiani, ndr) e non sono vessati da
compiti burocratici". Da noi, invece, la crisi della scuola va a
braccetto con la mortificazione della docenza: per questo la Gilda,
l'associazione professionale degli insegnanti, chiede un'area
contrattuale specifica per i docenti e l'istituzione di un Consiglio
Superiore della Docenza, battaglie che porterà avanti nel corso
dell'autunno.
Scuola di classe. Docenti in cerca di status, a causa di una scuola
sempre meno autorevole. Girolamo De Michele, insegnante e autore del
libro "La scuola è di tutti", individua l'inizio del declino negli Anni
Ottanta: "La scuola ha perso il suo ruolo formativo, almeno in parte, a
causa dei modelli promossi dalla televisione commerciale di quegli
anni, con programmi come Drive-in e Colpo grosso. Oggi la scuola è
guidata da chi ha creato questa cultura, figlia del berlusconismo".
Secondo De Michele il governo sta mettendo in atto un disegno preciso:
"Vogliono indirizzare le famiglie verso le scuole private, che da noi
sono le peggiori d'Europa: veri e propri diplomifici dove spesso ti
puoi comprare la promozione. Si tende a un modello che mantiene la
cultura a livello d'élite, escludendo la maggior parte delle persone".
A farne le spese, afferma De Michele, sono soprattutto gli studenti che
frequentano gli istituti tecnici: "Il governo sta abbattendo
l'istruzione professionale: non fornisce ai ragazzi gli strumenti
minimi per decodificare la realtà e segna il loro futuro, condannandoli
a subire la cultura di massa".
Cattiva maestra televisione. Il tema delle scuole di "serie A" e di
"serie B" è condiviso anche dal regista Valerio Jalongo, autore del
film "La scuola è finita" e docente in un istituto
tecnico-professionale di Roma: "I liceali rappresentano un 30% di
privilegiati rispetto al 70% dei loro colleghi che frequentano gli
istituti tecnici. La scuola è lo specchio di quello che sta succedendo
nelle fibre più intime del nostro Paese. Questo governo di destra
insegue un modello anglosassone: non crede più nella possibilità di
riformare la scuola pubblica e sovvenziona le scuole private". E la
televisione, sostiene Jalongo, ha finito per sostituirsi alla scuola:
"I ragazzi italiani passano più tempo davanti alla televisione che sui
libri: ormai è questa la loro agenzia formativa, con modelli come il
gioco dei pacchi e il Grande Fratello. La nostra scuola, di stampo
materno e cattolico, appiattisce tutto: il bravo professore non è
valorizzato e questo appiattimento si riverbera anche sui ragazzi, con
atteggiamenti di rinuncia e un abbassamento del livello medio
d'istruzione".
Il talento che non conta. Molti insegnanti, secondo Jalongo, non sono
però esenti da colpe: "I sindacati hanno stretto un patto deleterio con
una classe docente demotivata: il punteggio per le graduatorie e gli
scatti di carriera è formato dall'anzianità e dalla situazione
familiare. L'aggiornamento è facoltativo e non porta niente in busta
paga. Negli Stati Uniti gli studenti valutano i loro professori e il
preside ne tiene conto. Nella scuola pubblica francese i docenti che si
aggiornano hanno dei benefici e uno stipendio migliore. Un paese cresce
se investe in cultura e in formazione, che al momento sono le nostre
uniche possibilità di salvezza. Ma le risorse vanno spese bene: che
cosa fa la nostra scuola per valorizzare il talento dei ragazzi?". Ben
poco, almeno guardando i rank internazionali: alle elementari stiamo ai
primi posti, alle medie scendiamo a metà classifica e gli studenti
escono dalle superiori peggiori di come sono entrati. Un declino che
rispecchia lo stato della scuola pubblica italiana.
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