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Umanistiche: Giuseppe Verdi, l’opera lirica “Oberto conte di San Bonifacio” e il catanese Giacomo Sacchero

Redazione
Il passato è, per definizione, un dato non modificabile. Ma la conoscenza del passato è una cosa in fieri, che si trasforma e si perfeziona incessantemente.” (Marc Bloch, Apologia della Storia o mestiere di storico)

La storia dà torto e dà ragione…anche ai più solerti ricercatori! Mai fermarsi alle dicerie, alle apparenze, al già visto! Per conoscere veramente la storia, bisogna cercare, indagare, studiare! Bisogna scendere in profondità! Bisogna, ancora una volta, guardare il mondo da diversi punti di vista!
Tutto ha inizio, per la studiosa Francesca M. Lo Faro, con un viaggio a Napoli nel Conservatorio Musicale di San Pietro a Majella, alla ricerca di Giacomo Sacchero, catanese, patriota, esule e, soprattutto, librettista d’opere liriche.
Dopo aver visionato libri d’epoca e spartiti musicali, un lampo di esultanza e, quasi, di incredulità, colpisce la nostra ricercatrice: non vuole credere ai suoi occhi! Ma cosa ha visto di così tanto sconvolgente? Francesca Lo Faro ha tra le mani dei libretti di un’opera di Giuseppe Verdi, stampati nel 1840 e nel 1841, conservati a Napoli, appunto, nel Conservatorio di San Pietro a Majella. Inoltre, dopo ulteriore ricerche, la studiosa, scopre che una copia dell’analogo libretto esiste anche in Germania, nella Biblioteca Statale di Monaco di Baviera. Cosa accomuna questi volumi? Il fatto di essere i libretti dell’opera lirica, Oberto conte di San Bonifacio, musicata dal grande Giuseppe Verdi ed andata in scena, nel 1839, al Teatro alla Scala di Milano. Cosa rende speciali le copie? Il fatto di essere attribuite alla penna del letterato catanese, Giacomo Sacchero (1813-1875). E dov’è la notizia eclatante? La novità, degna di rilievo, è che, a tutt’oggi, ancora, non si sa con assoluta certezza, chi sia l’autore del testo di Oberto.
La vicenda, di particolare interesse per gli studiosi di storia della musica ed in generale per i cultori della lirica, ha dei risvolti di portata nazionale e di notevole valore storiografico e scientifico.
Giuseppe Verdi non palesò mai chiaramente il nome di colui che ne ideò il testo. Silenti, al riguardo, furono pure i giornali e i critici teatrali dell’epoca. Muti anche i frontespizi dei libretti di sala che, ristampati tutte le volte che l’opera andava in scena, non recavano indicazioni utili.
Lo Faro, però, ha constatato che, “nella biblioteca napoletana, annessa al celebre conservatorio, vi è, difatti, un antico schedario in cui, con grafia ottocentesca, è scritto che l’autore di Oberto è proprio il catanese Giacomo Sacchero. Lo stesso cognome, manoscritto, si legge sui frontespizi di due libretti, quando l’opera verdiana venne rappresentata, rispettivamente, nei teatri di Torino (1840) e Napoli (1841)”.
La studiosa, inoltre, dichiara, che “le due pubblicazioni sono, ancora adesso, consultabili; ma, chi non può o non ha voglia di andare sino a Napoli per accertarsi di quanto ho affermato, può entrare nel sito internet della Biblioteca di Stato di Monaco di Baviera e visionare la versione digitale di un testo gemello, giacché anche la copia “tedesca” dell’Oberto è schedata sotto il nome di Giacomo Sacchero – librettista, e Giuseppe Verdi – compositore. Inoltre, dopo ulteriori ricerche, ho individuato un’altra copia del libretto nella Biblioteca Nazionale di Napoli. A questo punto le copie diventano quattro”.
L’attuale responsabile della biblioteca di San Pietro a Majella, Francesco Melisi, però, si limita ad osservare che, secondo lui, è sbagliato attribuire il libretto a Sacchero, in quanto, è “comunemente accettato” che fu, invece, Temistocle Solera, l’autore del testo. Anche se il bibliotecario, “per onestà intellettuale”, non si sente di sottoscrivere tale paternità e, difatti, nel suo monumentale Catalogo dei libretti, alla voce, Oberto conte di S. Bonifacio, riporta il nome di Temistocle Solera tra parentesi quadra, proprio a segnalare che non ha alcuna certezza, che ne sia stato l’autore.
Adesso, però, la “rivoluzionaria” scoperta compiuta dalla Lo Faro, apre scenari inediti per i tanti studiosi e cultori delle opere di Verdi. È doveroso chiedersi, infatti, come mai il nome di Sacchero risulta legato all’Oberto. Chi furono i bibliotecari che attribuirono al poeta catanese quel libretto? A quando risale questa attribuzione? Si tratta soltanto di un errore colpevole oppure di una svista? Si può ipotizzare che Sacchero contribuì alla stesura del testo? Quando cominciò a diffondersi tra i musicologi l’opinione che il libretto dell’Oberto fu scritto da Temistocle Solera?
Lo storico ha solamente il compito di fare domande e di avanzare ipotesi sulla base di documenti e di testimonianze accreditate. Infatti, Francesca Lo Faro, esamina attentamente le dichiarazioni accreditate del milanese Rovani, che, nel 1858, scrivendo dell’Oberto, affermava: «Verdi ebbe il buon senso di cercarsi un libretto nuovo, e di cercarlo ad uomini d’ingegno che si unirono e fecero una colletta delle loro idee, di cui pare che l’oblatore principale sia stato Solera» (G. Rovani, Storia delle lettere e delle arti in Italia giusta le reciproche loro rispondenze, vol. 4, Milano, F. Sanvito, 1858, p. 497), e, successivamente, avanza le sue tesi: “Il testo dell’Oberto è opera collettiva, creata a più mani da diversi letterati. Ecco spiegato perché nessuno rivendicò mai, a chiare lettere, la paternità dell’Oberto; ecco spiegato perché il nome del librettista fu taciuto dai critici musicali dell’epoca; ecco spiegato perché sono senza nome anche i frontespizi dei libretti di sala, ristampati tutte le volte che l’opera andava in scena; ecco spiegato, infine, perché né Sacchero, né Solera, che pure morirono, rispettivamente, nel 1875 e nel 1878, cioè, quando Verdi era già celebre, non ebbero, a quanto pare, la soddisfazione di poter dire: “è mio il libretto dell’opera prima del sommo maestro Verdi!”.
L’ipotesi che l’Oberto fu scritto a più mani, per la verità, in passato è stata già timidamente avanzata, ma adesso prende maggiore consistenza, dopo la recente scoperta della Lo Faro, per la presenza di ben quattro copie del libretto, attribuito alla penna di Sacchero, già all’indomani della prima messa in scena dell’opera.
Sacchero, dunque, probabilmente, fece parte del novero dei poeti che aiutarono il giovane Verdi, all’epoca ancora in cerca di affermazione.
Per la verità, in una missiva del 1879, Verdi afferma che l’Oberto è stato “modificato da Solera” (e così dicendo, lascia adito ad ulteriori dubbi); mentre in una lettera giovanile, del 15 novembre 1843, riferendosi alla sua collaborazione con il Solera, per il quale musicò le liriche L’Esule, il Nabucco e i Lombardi alla prima crociata, non sembra che assegni l’Oberto a quel librettista. (Gerusalemme, Quaderni dell’Istituto di studi verdiani, n.2, 1963, pp. 17-18).
Giuseppe Verdi, smentisce anche l’apporto di un suo concittadino, il poeta bussetano, Luigi Balestra, ma – come afferma lo storico Budden – «non c’è da fidarsi della memoria di Verdi» (J. Budden, Le opere di Verdi: da “Oberto” a “Rigoletto”, vol. I, Torino, EDT, 1985, p. 50).
Quest’ultima constatazione vale oltremodo per le lettere scritte dal grande compositore in età avanzata.
Ma la scoperta di Francesca Lo Faro, ricercatrice e autrice del saggio storico, “Le scienze, la politica, la città – La botanica a Catania in età risorgimentale”, pubblicato di recente da Giuseppe Maimone Editore,  come tutte le novità e le scoperte storiche e scientifiche, ha già scatenato, tra gli studiosi e appassionati di storia della musica lirica, un acceso dibattito con una scia di polemiche, che, come sempre, si scioglierà…nello spazio d’un mattino d’estate, come chicchi di granita alle mandorle.

Angelo Battiato  (inviato speciale a ...... per adesso do chianu a duca)
angelo.battiato@istruzione.it








Postato il Lunedì, 15 agosto 2011 ore 12:18:45 CEST di Angelo Battiato
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