Caro
ministro,
dalle pagine del Corriere della Sera lei interviene sulla questione
“abilitazione all’insegnamento e reclutamento nella scuola”. Lo fa
senza entrare nel merito della vera questione che tale problematica
sottende, il lavoro dei giovani. Spiace
moltissimo costatare che i suoi provvedimenti obbediscono ad una
precisa e ricorrente filosofia: è lo stato che dà lavoro, è lo stato
che decide che cosa un giovane debba fare della sua vita. Sembra di
risentire quello che già un precedente ministro ebbe a sostenere di
fronte alla domanda di libertà degli insegnanti: “io stato centrale ti
dico...”.
Lo stato non ha questo diritto;
lo stato deve garantire a tutti le condizioni per cercarsi il
lavoro. Per questo è contro i giovani, checché lei ne pensi, quello che
il suo ministero sta facendo, perché l’identificazione di abilitazione
e reclutamento significa lo strapotere dello stato sulla ricerca di
lavoro dei giovani. Invece si dovrebbe procedere all’opposto,
distinguendo abilitazione da reclutamento. Per analogia a quello che si
fa in molte professioni, come l’avvocato o l’ingegnere, nelle quali
superare l’esame di stato non significa avere un posto di lavoro
assicurato. È compito dello stato dare a tutti i giovani che lo
vogliano la possibilità per abilitarsi all’insegnamento, poi lo stato
stabilisca le forme di reclutamento che ritiene più idonee per chi
voglia concorrere ad un posto di lavoro nella scuola statale. E nello
stabilire queste forme sarebbe ora di prendere la strada dell’autonomia
invece di continuare a calcare quella centralista, che lei a parole
rifiuta, però nei fatti favorisce.
La questione è molto semplice, basterebbe avere a cuore il futuro dei
giovani, lei sembra invece aver più a cuore il mantenimento del potere
dello stato; un errore grave, se pensiamo che la scuola in questi anni
è andata alla deriva proprio a causa dello statalismo.
Mi chiedo per quali ragioni lei non afferri il nocciolo della
questione; e non trovo altra risposta se non nel fatto che lei non
riesca a liberarsi né culturalmente, né politicamente, del ricatto
sindacale che ha sempre usato il precariato come arma di potere. Il
precariato è stato creato proprio identificando abilitazione con
reclutamento, la fine del precariato la si avrà solo con la loro
distinzione. Lei scrive: “quello che non farò mai è prendere in giro i
ragazzi”. Il fatto è che il modo migliore per non illuderli è dir loro
che una cosa è abilitarsi, altra cosa avere un posto di lavoro nello
stato. Il sindacato non vuole questa distinzione, perché sarebbe una
diminuzione notevole del suo potere, e lei che dovrebbe ragionare nel
segno della liberta, che cosa fa? Il ministro-sindacalista. Con questo
pensa di fare il bene dei giovani, di non illuderli. Li delude invece!
Un giovane deve poter percorrere liberamente le sue aspirazioni, deve
poter tentare la strada che ritiene più consona alle sue capacità; lo
stato gli dia le condizioni per farlo, questo è ciò che deve fare uno
stato che non tratti i giovani come numeri ma come persone.
Caro ministro, lei si difende con i numeri del precariato, 200mila
insegnanti in graduatoria che sono in attesa del posto di lavoro.
Innanzitutto un consiglio: prima di dare i numeri faccia fare dai suoi
uffici la necessaria scrematura dei dati dei precari, identificando il
numero esatto degli insegnanti che hanno bisogno di un posto di lavoro
nello stato. Fatto questo proceda a risolvere definitivamente la
questione, dando il posto di lavoro a chi ha le prerogative per averlo.
Dopo di che, basta con le graduatorie! Si chiudano per sempre e si apra
una nuova fase del reclutamento scolastico. Possibilità di abilitarsi
per tutti gli insegnanti che vogliano e reclutamento, questo sì, come
lei dice, in modo meritocratico. Ma sia chiaro che non sarà mai lo
stato a identificare il miglior insegnante possibile: questi anni, e
lei ben lo sa, sono stati un disastro. Più che ad un reclutamento si è
assistito ad una pratica di assistenzialismo diffuso, con un bel numero
di insegnanti incapaci messi in cattedra a vita; se lei vuole il
merito, se realmente vuole in cattedra insegnanti capaci di rispondere
al bisogno educativo di famiglie e studenti, faccia la riforma delle
riforme, metta ogni scuola autonoma e ogni scuola paritaria nelle
condizioni di scegliere l’insegnante di cui ha bisogno.
Da ultimo sarebbe ora di restituire all’insegnante la dignità della sua
professione. Oggi l’insegnamento è considerato una funzione della
scuola, il che porta a non operare nessuna distinzione qualitativa tra
l’insegnante e il collaboratore scolastico. È tanto vero questo che
quando si parla di precariato si intende sia quello degli insegnanti
sia quello del personale Ata, ma insieme, come se fossero la stessa
cosa. È ora di dare all’insegnamento la sua dignità, distinguendolo da
tutti gli altri lavori che pure sono importanti per la vita della
scuola. Un giovane deve sapere che abilitarsi è accedere alla
condizione minima per poter esercitare una professione di grande valore
ideale e in forza della quale rispondere al bisogno di educazione di
tutti.
È una questione grave quella che lei ha toccato, non la si può
risolvere da ragioniere dello stato. I giovani chiedono di più,
chiedono di essere presi sul serio, nel lavoro si gioca la loro
umanità, per questo non può essere calpestato il loro diritto ad essere
messi nelle condizioni migliori per cercarlo.
Spero che lei faccia un passo indietro e riconsideri la questione
dell’abilitazione e del reclutamento, perché non si può giocare sul
futuro dei giovani. Il loro destino e le loro aspirazioni meritano di
essere valorizzati e non solo compatiti.
(di Gianni Mereghetti da Il Sussidiario)
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