Etimologicamente
parlando, il sostantivo PENSIONE viene dal lat. pèndere e
il suo participio pensus col significato di pesato, pagato. Gli
antichi, prima del conio delle monete, pesavano il metallo da dare come
forma di pagamento. Il verbo pèndere si traduce meglio con: soppesare,
sospendere e pendere da una bilancia. Un sinonimo di pensione è
quiescenza. Sempre dal latino, è la condizione dei dipendenti di
ruolo collocati a riposo con diritto di liquidazione e assegno di
pensione.
Storicamente dissertando - in Italia - l’assicurazione per l'invalidità
e la vecchiaia da volontaria (1898) divenne obbligatoria nel 1919,
sotto il governo del siciliano Vittorio Emanuele Orlando, grande
giurista. Mussolini poi migliorò e potenziò il sistema previdenziale.
Difatti nella “Carta del lavoro” del 1927 si legge: “La
previdenza è un’alta manifestazione del principio di collaborazione. Il
datore e il prestatore d’opera devono concorrere proporzionalmente agli
oneri di essa. Lo Stato, mediante gli organi corporativi e le
associazioni professionali, procurerà di coordinare e di unificare,
quanto è più possibile, il sistema e gli istituti di previdenza”. Nel
1933 nacque l’INFPS (Istituto Nazionale Fascista della Previdenza
Sociale) costituito in ente di diritto pubblico dotato di personalità
giuridica e a gestione autonoma, che nel 1939 cominciò a gestire
interventi a sostegno del reddito (assicurazione contro la
disoccupazione, assegni familiari, integrazioni salariali per i
lavoratori sospesi o ad orario ridotto). Nel 1943 tale ente assunse la
denominazione attuale di INPS, senza l'aggettivo "Fascista". La
costituzione repubblicana, con l’articolo 38, accolse gli obiettivi
della sicurezza sociale come diritti fondamentali dei cittadini per le
loro esigenze di vita. L’ente pubblico INPS si occupa da allora di
previdenza e soprattutto di pensioni. La protezione offerta
dalla previdenza è realizzata per mezzo di assicurazioni
obbligatorie per le quali il datore di lavoro versa dei contributi,
mentre il lavoratore ha delle trattenute sullo stipendio. Se sei
dipendente statale , lo Stato mette da parte i contributi destinati
alla tua pensione e sul cedolino ti vengono fatte le trattenute
mensili. Le mie attuale ritenute previdenziali sul cedolino di luglio
ammontano a 293 €. Calcolate voi quanti soldi lo Stato ha avuto da me
ogni mese e da 35 anni, senza dimenticare gli interessi maturati su
questo capitale personale. Il pensionato in quiescenza, quindi, non
vive il suo tempo come un parassita dell’assistenza pubblica, ma come
creditore delle somme accantonate nel tempo di una vita di lavoro. Per
favore, non consideriamo i pensionati una spesa passiva nel bilancio
dello Stato! Semmai sono i veterani di un lungo servizio per l’Italia.
Se fino ad oggi il numero di contribuenti nel sistema previdenziale ha
garantito ai pensionati rendite nette molto prossime allo stipendio
mensile, la situazione nel futuro tende a cambiare in misura notevole e
purtroppo in senso peggiorativo. Il crollo della natalità (meno futuri
lavoratori = meno contribuenti), l’allungamento della speranza di vita
(più pensionati = più spesa pensionistica), il rallentamento della
crescita economica (retribuzioni costanti = meno contributi) concorrono
a minare gli equilibri del passato e del presente. Ad aggravare
la difficile situazione dei futuri pensionati statali arrivano le
ghigliottine delle ultime finanziarie e il datore di lavoro (lo Stato),
tramite il governo, decide di sospendere il tempo (che è denaro!)
a danno dei suoi lavoratori, ibernando il CCNL del 2006-9, bloccando
gli scatti di anzianità per 4 anni, sia dal punto di vista economico ma
soprattutto giuridico. Il governo, ladro del tempo, per le nuove
assunzioni ha posto la condizione è in un “rallentamento” della
progressione di carriera. In applicazione dell’art. 18 della legge
98/2011, l’incipit della quiescenza è un po’ più lontano anche
per chi ha 40 anni di lavoro e di contributi, mentre chi inizia ora a
lavorare potrà andare in pensione a 69 anni (anche le donne) nel 2052.
Vengono aumentati in modo unilaterale i doveri dei dipendenti e si
perdono diritti maturati nel tempo. Il blocco degli scatti di
anzianità, porta conseguenze anche agli aspiranti pensionati: coloro
infatti che al 31 dicembre 2014 raggiungono la soglia dei 40 anni di
servizio, si ritroveranno nei conteggi finali anni in meno di
anzianità. Per questo motivo ci si chiede, oggi, se i sindacati
sono in grado di difendere i diritti e gli interessi, sia economici che
professionali, dei lavoratori! L’art. 18 della 98/2011 è un taglia
taglia di denaro sudato e il calcolo del tempo di lavoro viene
“elasticizzato” al limite dell’esistenza in vita.
Anni fa, andava in pensione un docente e
con gioia subentrava un altro in quella cattedra. Quest’anno, in
Sicilia, vanno in pensione 2.284 proff; ma siccome sono
state tagliate 2.534 cattedre, inizierà a settembre la mobilità
(l’èsodo!), il nomadismo, il turismo scolastico dei “perdenti posto”,
il… randagismo.
Giovanni Sicali
giovannisicali@gmail.com