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Precariato: Il pettine e i nodi

Opinioni

I “modelli”, si sa,hanno una loro forza intrinseca che proviene dalla coerenza assennata eprevista tra le parti che li compongono, le economie interne che sirealizzano nel loro equilibrio, la possibilità reale di agirne levariabili costitutive con buona “predittvità” dei risultati.
Sono, ovviamente, “descrizioni approssimate” della realtà, dunque anchela loro “forza interna” non elimina la persistente aleatorietà dellarealtà, la variabilità che richiede l’intervento mirato, insomma illoro “governo”.
Dunque non basta definire i modelli, ma occorre sempre sviluppare sulleloro coerenze e forze interne la esplicita capacità di “guida” e“decisione”, semmai di ”correzione” permanente della loro dinamicareale (il “governo” appunto: tenere la barra con correzioni successiveemisurate).                  
Ciò che non si può fare è “mescolare” diversi modelli e le lorologiche, sperando che si sommino le loro intrinseche forze. In realtà,così facendo se ne sommano le approssimazioni e gli inevitabili difetti.
L’autonomia scolastica, nel suo impianto prefigurava una diversa“modellizzazione” del sistema scolastico: ad un “produttore unico” delservizio di istruzione, che rimetteva il suo comando operativo dalcentro (il “superiore” Ministero) alla periferia, attraverso lastruttura tradizionale “prefettizia” (i Provveditorati), si sostituivauna “pluralità di produttori” autonomi; e al “comando” distribuitolungo l’algoritmo amministrativo avrebbe dovuto sostituirsi “laregolazione” attraverso funzione di “service” che tenessero conto, intermini isomorfi, del parallelo processo che (per sintetizzareimpropriamente) prese l’etichetta ambigua del “Federalismo”. (In realtàrevisione della distribuzione territoriale dei poteri,deconcentrazione, decentramento, devoluzione.. processi affrontati intutti i paesi europei, compresa l’accentratrice Francia, ma da noiriassunti in modo bastardo e dunque inefficace nel termine difederalismo).
 
Un “servizio alla cittadinanza”, necessariamente “molecolarizzato” sulterritorio, come non può non essere l’istruzione,  se affrontatale rimodellizzazione, “deve”, preliminarmente, interrogarsi sulle“economie di scala” che rendano agibile e “forte” il modello stesso.
Non l’abbiamo fatto se non con le iniziali proposte di dimensionamentodel Regolamento dell’autonomia, del tutto insoddisfacenti, sotto ilprofilo delle “economie di scala” (più soddisfacenti sotto quello dialtre variabili di cui sarebbe bello tacere come il numero di“presidenze”…).
Ne scaturì un modello “piccolo è bello” particolarmente “diseconomico”(e politicamente debole nel confronto tra “poteri”), sia per ladistribuzione dei costi, sia, soprattutto, per lo sviluppo dellepotenzialità interne.
Per esempio sotto il profilo dello sviluppo della “autonomia di ricercae sviluppo” che pure rappresenta(erebbe) un elemento di forza dellaautonomia scolastica.
Ha ragione Stefanel: la ricerca ha bisogno di economie di scale.
Quali risultati si possono mai chiedere sul piano della ricerca e dellasperimentazione a Collegi dei docenti di cinquanta persone? Un buonlavoro e degnissimo per l’impegno che esplicita, non è “ricerca”.
La ricerca, per definizione, ha bisogno di massa critica di risorse perpotersi sviluppare (del resto è analogo il ragionamento che si fa per imodelli di Piccola e Media Impresa: efficaci e flessibili nellarealizzazione concreta, ma insufficienti a produrre autonomamente knowhow innovativo).
Questo nodo viene al pettine, ora, e nel modo peggiore.
Non in  nome della necessità di rinforzare la composizione internadelle economie e delle risorse (tutte) delle scuole autonome, diretta apotenziarne l’efficacia e dunque l’autonomia stessa; ma in nome dellacomposizione dei “costi esterni” nella stagione della necessità deitagli. Dunque come limitazione alla autonomia e “riconcentrazione” delcomando economico.
Giuste le proteste, ma occorre che ricordiamo tutti, autocriticamente,ciò che non abbiamo fatto ( e spesso delle ragioni è bello tacere)negli oltre dieci anni di avvio e poi consolidamento dell’esperienzadell’autonomia. Non hanno proceduto le scuole, non le Regioni e gliEnti locali, non l’amministrazione, non la politica scolastica….
Si può recuperare? Credo di si, a patto che la reazione di fronte allanovità non sia ancora una volta la mera preoccupazione conservativa…Occorrerebbe “rilanciare”, sparigliare le carte, per esempio scambiandorazionalizzazione dei costi (attraverso il dimensionamento)  conaumento dell’autonomia, attraverso una “diversa alleanza” con leRegioni, ecc… se ne potrebbe discutere, se ci fosse, o fosserintracciabile una qualche “politica scolastica”. Altrimenti ci silimita  resistere riottosi e scontenti, e ad ogni inevitabilearretramento, sempre più frustrati…    
Il secondo “nodo” che viene al pettine è la sconnessione con il disegnodi rimodellizzazione territoriale del governo del sistema che eracoerente con l’autonomia (rileggere la Bassanini di cui essa èfiglia…).
Rimane invece la struttura prefettizia dei Provveditorati (cambiamopure i nomi: ma le strutture, l’assetto dirigenziale, alcune competenzechiave come gli organici, rimangono le medesime…). Le strutture delledirezioni regionali sono sostanzialmente appendici territoriali delMinistero, sconnesse dalla ripartizione e deconcentrazione dei poteri edalla regionalizzazione dello Stato…
I protocolli messi a punto dalla Conferenza Stato Regioni sull’assettodel sistema di istruzione in oltre quindici anni dalla Bassanini e apiù di dieci dalla riforma costituzionale, sono, sotto il profilo dellerealizzazioni pratiche, ancora al palo…. Con buna pace degli sloganfederali…
Nessuno ha elaborato una assennata ipotesi di “costi standard” per ilservizio di istruzione, ne tanto meno di un sistema di definizione deiLivelli Essenziali di Prestazione che rendano fondati e giustificati icosti standard (altrimenti essi sono solo rielaborazione delle mediedei costi storici…).
Siamo, appunto, alla sovrapposizione di due modelli: quello che sivorrebbe “nuovo” e la persistenza di quello precedente. Dunque allasomma dei difetti di entrambi
Infine il terzo nodo al pettine è quello delle strutture dirigenziali.
Come ovvio il problema è “isomorfo” a quello della definizione delle“economie di scala”. Una “piccola impresa” non ha la struttura digestione di una grande impresa… Ben vengano le esercitazioni “discuola” sulla “leadership educativa” (mi piacerebbe che alle etichettecorrispondessero contenuti effettivi e semantiche certe “di che cosastiamo parlando”).
Ma non possiamo sganciarle da quel primo livello di discussione: chetipo di organizzazione è la scuola autonoma, quali dimensioni ha, che“economie” e composizione dei costi e risorse interni realizza (nonsolo di tipo economico)?
Altrimenti si tratta di esercitazioni di riflessioni preziose, ma senzaesito. Anzi con sovrapposizioni semantiche curiose: se non è del tuttochiaro che cosa sia la “leadership educativa” lo è ancora meno sul checosa sia la “leadership manageriale”.
Management e Leadership sono costrutti e concetti diversi e per qualcheverso opposti. A quale opacità si perviene miscelandoli?
Il manager “sa fare le cose”; il leader “sa cosa va fatto”. Il primo satenere il timone, il secondo decide la direzione. Guidare l’equipaggioe stare materialmente al timone possono essere attività svolte dallamedesima persona se si tratta di una barca (e di piccole dimensioni),ma se si ha a che fare con una flotta…
Abbiamo a suo tempo fatta la scelta di far coincidere funzioni di management e leadership nella medesima persona con la definizione deiDirigenti scolastici. Una scelta discutibile (connessa alle altreiniziali dell’autonomia) ma probabilmente inevitabile nella fase diavvio.
Anche se, pure in tale caso, caricata da equivoci: un obiettivocorretto come quello individuare livelli retributivi pertinenti, perchési è espresso attraverso le “equivalenze” indicizzate con i dirigentidella Pubblica Amministrazione, invece che attraverso una franca edaperta contrattazione sindacale? Le responsabilità sono più cheindividuabili, hanno nomi e cognomi. Derive da pubblico impiego…
Come è noto e ricordato da altri interlocutori, in altri Paesi si èscelto di distinguere le figure tra le responsabilità della guidaeducativa e quella della responsabilità gestionale. O comunqueattraverso un articolazione della funzione dirigenziale interna allascuola, parallela alla “complessificazione” qualitativa e quantitativadelle strutture autonome..
Pur considerando in parte inevitabile, in fase iniziale dell’autonomia,quella scelta di unica figura dirigenziale, in questi oltre dieci anniavrebbe pure potuto essere esplorato il campo della correzione, dellasperimentazione, della complessificazione, se l’insieme delle“variabili del modello” autonomia fosse stato affrontato all’insegnadella preoccupazione fondamentale di rafforzarne la “filosofia” el’operatività interna (le coerenze e la governabilità della variabili).
A tutto ciò si aggiunga che la revisione del “modello di governance”interno alla scuola, è questione anch’essa ancora al palo: le scuolehanno il medesimo modello di governance definito con i Decreti Delegatidel 1974. Se trentacinque anni vi sembran pochi…
I nodi (ma sono solo quelli essenziali) non affrontati e risolti inquesto decennio, sono oggi sotto il pettine (fitto) delle esigenze delbilancio pubblico e dei suoi ancora più stretti vincoli.
E si sa, in questi frangenti, e con questa direzione politica  sitagliano risorse con la medesima approssimazione e assenza divalutazione con la quale, in altri anni, si sono spese.
Il rimpianto di Tommaso Padoa Schioppa e delle sue ipotesi di sviluppodella spending review è più che fondato, di fronte alle strettoie della“veduta corta”.
Se fossi più ottimista di quanto mi sento, oserei dire che potremmoancora avere la possibilità di riaprire oggi quei capitoli diintervento lasciati dormienti per oltre dieci anni.
Ma le condizioni riposano interamente sulla possibilità di una“politica scolastica” che sappia “riunificare” il suo “popolo”, al dila degli slogan accomodanti, delle derive conservative, delleindignazioni tanto facili quanto passeggere e senza sbocco.
E quando dico “politica scolastica” non mi riferisco né tanto, né solo,alle “forze politiche” in quanto tali, ma, anche e soprattutto, alleforme di autonomia organizzativa del “popolo della scuola”, dalsindacalismo all’associazionismo culturale e professionale.
E’ possibile procedere, nel rispetto di tutte le competenze, leispirazioni culturali, le vocazioni associative, procedere ad una“convenzione” che tracci una “piattaforma comune” capace di superareantichi e inutili costrutti e categorie puramente difensive, eriproporre i paradigmi fondanti del “modello” dell’autonomia nellaattuali condizione  dopo una storia decennale da porre al vaglioanche spietato della critica e autocritica?
Se sì, allora c’è speranza….


Franco De Anna - (Inviato da Libero Tassella)









Postato il Martedì, 19 luglio 2011 ore 11:39:31 CEST di Pasquale Almirante
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