La dirigente di una
scuola secondaria decide di punire in blocco gli studenti della sua
scuola per il danneggiamento vandalico di un estintore imponendo un
rimborso collettivo. Uno studente modello (9 di media) si rifiuta di
pagare la sua quota in quanto non si ritiene colpevole di alcunché. La
dirigente propone al consiglio di classe di assegnargli un 6 in
condotta. Una insegnante vota contro e si vede punita dalla dirigente
con 10 giorni di sospensione senza retribuzione. È un fatto – riportato
ampiamente dalla stampa – che testimonia la cronica incapacità di
trovare nella scuola il giusto equilibrio tra gestione democratica “dal
basso” e gestione autoritaria.
Si tratta forse del riflesso di una carenza italiana di cultura
autenticamente democratica dopo che per qualche decennio sono prevalse
culture totalitarie? Lasciamo pure aperta la domanda. Ma, di certo, le
follie populistiche della scuola del successo formativo garantito in
cui sono garantiti i diritti ma non i doveri – la scuola della
“customer satisfaction”, in ginocchio davanti all’“utente” – non si
correggono conferendo un potere consolare incontrollato ai dirigenti
scolastici “manager” sul modello fallimentare delle ASL. Questa
mancanza di senso dell’equilibrio si è espressa anche nella
sperimentazione della valutazione del merito dei docenti in cui il
potere di decidere chi siano gli insegnanti migliori di un istituto
scolastico è stato conferito a una commissione composta dal dirigente e
da due docenti “eletti” dai loro colleghi. Magari in questa particolare
sperimentazione le cose saranno andate in modo corretto, ma è alla
portata di chiunque capire che una scuola in cui un dirigente ha una
mentalità autocratica e si è creato una propria consorteria – per i più
svariati motivi, da quelli personali a quelli politici, ideologici,
ecc. – la medesima consorteria può autopremiarsi penalizzando gli
sgraditi, che magari sono i migliori.
Ecco un altro episodio, tra i tanti che si potrebbero raccontare. Un
insegnante si distingue per la sua incapacità di tenere l’ordine in
classe e per la sua ignoranza. Le sue castronerie – del genere «oggi vi
imparo» – si sprecano e sono anche documentate. Un gruppo di genitori
stufi protesta per iscritto con il dirigente. Ma l’insegnante è molto
amico del dirigente e anche di altri genitori – cui fa comodo che i
loro cocchi facciano quel che più garba loro e che abbiano pochissimi
compiti a casa – con cui intrattiene rapporti personali, per esempio
andando a farsi ogni tanto una pizza con loro. Così parte un
contrappello in difesa dell’insegnante e contro le famiglie che hanno
protestato. Il dirigente si schiera con l’insegnante e i genitori suoi
amici e, per gli altri, l’unica alternativa è tentare di cambiar
scuola. L’esito è così riassumibile: «Ve lo imparo io che succede a
protestare contro il mio insegnante».
È chiaro che non esistono sistemi perfetti ma bisogna proprio andarsi a
scegliere un sistema che presenta controindicazioni tanto plateali? Se
poi si definisce un simile metodo come “oggettivo” si sconfina
nell’incoscienza. È elementare capire che il minimo di garanzia di
ottenere una valutazione seria è affidarla a un giudizio esterno e
indipendente.
Ora, la premiazione dei migliori scelti a quel modo – in una
trentina di scuole faticosamente pescate dopo una raffica di rifiuti -
viene sbandierata come un successo. Mi dispiace, ma non sono d’accordo.
Non esistono ragioni al mondo, di alcun tipo, che possano indurre a
condividere scelte che confliggono con il più elementare buon senso e
che possono avere implicazioni pratiche distruttive.
Giorgio Israel http://gisrael.blogspot.com/2011/07/non-sara-un-dirigente-manager-liberarci.html