In una pluralità di
interventi di grande valore apparsi su www.educationduepuntozero.it,
www.scuolaoggi.org e su www.edscuola.it Maurizio Tiriticco e Franco de
Anna sono entrati nel problema fondamentale del nostro momento storico:
come inserire la scuola dentro una rinascita italiana capace di
anticipare il declino. Sia la visione fortemente manichea di Tiriticco,
che considera la politica Tremonti-Gelmini solo come una “nuvola
devastatrice”, sia il realismo critico di De Anna, che comunque
considera ineluttabili i tagli all’istruzione dato l’immanente pericolo
di default, sono animati da un forte entusiasmo nelle possibilità
insite nel sistema scolastico italiano. Senza tentare neppure per un
attimo di alzarmi al loro livello mi permetto di fornire alcune brevi
opinioni per alimentare il dibattito.
Da Scuola
Oggi
Valore d’uso e valore di scambio. C’è un’evidente crisi nel sistema
scolastico italiano perché il valore d’uso prodotto (la cultura, in
senso generale: Kultur e Zivilisation insieme) è nel complesso modesto,
tradizionalista, italianocentrico e poco spendibile (anche nei quiz
televisivi) e il valore di scambio in assoluta crisi, visto che anche
l’aggrapparsi italico al valore legale del titolo di studio non ferma
la disoccupazione o sottoccupazione intellettuale e visto anche che non
c’è la corsa ad
assumere stabilmente nel nostro “Sistema Italia” neppure i laureati
migliori (le Università continuano a preferire ai “geni” i “parenti”).
La crisi della scuola come soggetto di cultura e professionalizzazione
che oggi produce valori d’uso e di scambio deboli (insieme ad
esperienze umane e di crescita molto forti, pervasive ed
insostituibili) dovrebbe far riflettere coloro che sono fautori di un
“conservatorismo progressista” secondo cui per progredire meglio non
bisogna cambiare (quasi) nulla.
La politica scolastica della destra. Uno degli errori più comuni che
vedo fare è quello che assegna alla destra governativa
(Tremonti-Gelmini) intenti di “taglio” e non di “progetto”. “Dio acceca
chi vuole perdere”, dice la Bibbia e la sinistra cieca ha sempre perso.
La destra governativa persegue un obiettivo molto chiaro: diminuire la
spesa per una scuola statale considerata da tutto il mondo catastrofica
e aumentare le possibilità per una scuola pubblica gestita dai privati.
Dov’è lo scandalo, visto che questo modello prospera in buona parte del
Mondo? Perché la destra non ha diritto di cambiare un modello che
nessuno ci invidia? Lecito e doveroso per la sinistra
contrastare questo modello, ma non snobbarlo, deriderlo, consideralo
insistente.
Credo sia ora che anche in Italia si perda il vizio di scambiare il
concetto di “pubblico” per quello di “statale” e cominciare a ragionare
su un sistema di istruzione pubblica, che contempli l’opzione statale
(oggi l’unica in alcuni settori – scuole dell’infanzia, molte scuole
primarie, alcuni licei - di qualità) accanto a quella privata (oggi
molto modesta praticamente dappertutto).
Pier Paolo Pasolini. Il 18 ottobre 1975 sul Corriere della sera propose
di abolire la televisione pubblica e l’obbligatorietà della scuola
(Aboliamo la tv e la scuola dell’obbligo). L’idea che descolarizzare
avrebbe aiutato non è di oggi.
Diciamo che se oggi la Rai fosse in mano a un soggetto privato e la
scuola non rilasciasse titoli di studio con valore legale (con
susseguente abolizione degli Ordini) forse la nostra società sarebbe un
po’ più avanti.
Tagli orizzontali e valutazione del sistema. Penso che poche persone di
buon senso non abbiano capito che senza i tagli (alla scuola) di
Tremonti oggi staremo tra Grecia e Portogallo e non dove stiamo. Il
disastro di quei tagli non è stata la loro entità, ma la loro linearità
ingiusta, punitiva e arbitraria. Se però ci domandiamo se oggi è
possibile in Italia un taglio mirato, dobbiamo rispondere no. Questo
perché ci sono resistente al controllo reale del sistema da parte dei
sindacati e del ministero e alla valutazione del personale. Se il Miur
non riesce a valutare noi 8.000 dirigenti scolastici in servizio come
si può pensare di valutare oltre un milione di dipendenti e
diecimila scuole (44.000 plessi con complessità mai mappate)?
La politica scolastica dei tempi migliori. Mentre mi è chiara la
politica scolastica del (centro) destra, mi è molto più oscura quella
del (centro) sinistra che voto. Una volta “sbalzato” il centro destra
dal governo del Paese i primi soldi sulla scuola verranno messi dal
centro sinistra messi per ripristinare l’organico precedente ai tagli
di Tremonti o per dare alle scuole più infrastrutture e più fondi per
autonomia, ricerca e sviluppo? Temo che da (centro) sinistra venga la
solita risposta: tutte e due le cose. Che vuol dire una sola cosa:
posizionarci tra Grecia e Portogallo. Forse le
garanzie sindacali, in contratto nazionale di 400 pagine, “articolesse”
ministeriali trasformate in circolari, un centralismo tenace e altro
ancora a tutti noto non sono gli elementi più utili per competere ed
evitare il declino.
Nota a margine di
Pasquale Almirante
Non vogliamo entrare in conflitto polemico col prof. Stefanel, più
semplicemente rilevare qualche dimenticanza e qualche contraddizione ma
solo perché dice di votare il centro sinistra di cui però non capisce
le scelte mentre afferra il senso strategico della politica scolastica
della neo destra, perché la vetero destra era convintamente
e strenuamente statalista in assoluta simbiosi col residuato fascista.
Ma andiamo oltre. Se la nostra scuola è la più scalcinata in termini di
preparazione rispetto all’Europa come mai sforniamo tanti geni che poi
fuggono dal nostro paese? E chi ha stabilito che siamo carenti? I testi
Ocse-Pisa? Non vorremmo peccare di saccenteria, ma nel resto del
mondo la valutazione è stata fatta sempre, e dicasi sempre, sui quiz,
cosa che, quando frequentavamo scuole estere fin dagli anni 70, ci
faceva sorridere pensando ai nostri temi di letteratura o ai
problemi della vasca che perdeva ma che un rubinetto riempiva di tot
litri al minuto ecc., o alle disquisizioni dei motivi della discesa di
Carlo VII in Italia. Una tradizione, quella dei quiz, che non abbiamo
ma che ci è stata imposta e che sta determinando uno strumentale
putiferio per giustificare certe scelte. Ma dice pure che se non
avessero tagliato saremmo come la Grecia, affermazione che stupisce dal
momento che hanno aumentato di alcuni milioni di euro le spese
parlamentari coi cosiddetti “responsabili” ed è falso (si veda un
editoriale di Stella) che gli stipendi dei nostri parlamentari sono
nella media europea. E quanti altri sprechi non sono stati tagliati? Si
è salvata l’Italia segando sulla scuola? Un po’ difficile da sostenere.
Ma non finisce qui! Perché, suggerisce ancora il prof. Stefanel,
non accettare le scuole private? A nostro parere è per lo stesso
identico motivo per cui egli dice che lo Stato non riesce a controllare
e valutare “gli 8.000 dirigenti scolastici in servizio, gli oltre
un milione di dipendenti e le diecimila scuole (44.000 plessi con
complessità mai mappate).“ Ebbene, meglio mancare di controllare il
pubblico che il privato, anche perché la docenza nel pubblico, nel bene
e nel male, è garantita da titoli e graduatorie, mentre nel privato
dalle amicizie, a parte il fatto che si è sottoposti all’indirizzo
ideologico di ciascuna scuola privata e chi sgarra è, legittimamente in
questa logica, licenziato. L’Italia è la nazione dei campanili, dei
guelfi e dei ghibellini, delle città marinare in lotta fra loro, dei
fascisti e dei partigiani, dei comunisti e dei democristiani ed è
mancato un Lutero che invogliasse a non delegare le interpretazioni dei
dogmi. E alla fine non poteva mancare la solita botta contro il
sindacato che potrà pure avere colpe, ma è stato pure grazie a esso che
siamo usciti dal medioevo, conquistando diritti straordinari, e che non
si può oggi restituire come conservatore, anzi. L’ultima questione è
quella di togliere valore legale al titolo di studio. Siamo d’accordo,
ma certifichiamo le competenze raggiunte, togliendo pure l’esame di
stato così come è oggi concepito; e non solo, non si capisce ancora il
motivo per cui il preside debba essere un dirigente-manager e non più
semplicemente, come in Germania, un direttore del traffico, col
semiesonero, e soprattutto eletto dai colleghi per 4/5 anni come il
rettore delle università. Più risparmi, più efficienza e sicuramente
più democrazia.