Le liste
studentesche universitarie dei quattro atenei marchigiani (Obiettivo
Studenti Macerata, Student Office Ancona, Student Office Urbino, Lista
per il Diritto allo Studio Camerino) aderenti al CLDS (Coordinamento
Liste per il Diritto allo Studio) intendono informare l'opinione
pubblica della preoccupante situazione relativa all'abilitazione e al
reclutamento degli insegnanti. Nella giornata del 30 giugno, infatti, è
stata diffusa una lettera aperta al Ministro dell'Istruzione,
dell'Università e della Ricerca Maria Stella Gelmini che denuncia
fermamente la grave mancanza per la quale i nuovi posti previsti dalle
tabelle ministeriali per ottenere l’abilitazione all’insegnamento
ammontano sostanzialmente a zero fino al 2015. (da
http://www.informazione.tv/)
Il ministro Mariastella Gelmini
Infatti il governo ha deciso di coprire il fabbisogno esclusivamente
con gli abilitati non ancora immessi in ruolo e inseriti nelle
graduatorie a esaurimento, a discapito di coloro che si sono laureati
dopo il 2007.
Chi vuole fare l’insegnante se lo scordi, almeno per dieci anni. Se
tutto andrà bene. Chi sta frequentando o vorrà iscriversi il prossimo
anno a un corso di laurea in matematica, lingue, lettere, filosofia,
scienze motorie, ecc., con l’intenzione di insegnare, sappia che non
sarà possibile, perché i nuovi posti previsti dalle tabelle
ministeriali per ottenere l’abilitazione all’insegnamento – anche nelle
principali classi di concorso – ammontano sostanzialmente a zero fino
al 2015. “Zero tituli”. E presumibilmente si discosteranno di poco
dallo zero fino al 2018.
Il governo ha compiuto la sua scelta (calcolata o subita): sta dalla
parte dei già abilitati non ancora immessi in ruolo e inseriti nelle
graduatorie a esaurimento. Una scelta, è inutile nasconderlo, che
soddisfa pienamente le richieste dei sindacati e privilegia i “diritti
acquisiti”. Il tempo di smaltimento delle suddette graduatorie è
stimato dagli uffici ministeriali in sette anni (ma alcuni bene
informati dicono dieci o quindici), perciò prima di quella data non vi
saranno nuovi ingressi. E i giovani? Si arrangino. Del resto, quelli
che vogliono insegnare rappresentano un modesto serbatoio di voti e
sono alla fin fine innocui. Siano loro il capro espiatorio!
Un minino di dati. Con il Regolamento, datato 10 settembre 2010 e
pubblicato in Gazzetta ufficiale il 31 gennaio 2011, il governo ha
ridisegnato l’iter per ottenere l’abilitazione all’insegnamento dopo la
chiusura delle SSIS (Scuole di Specializzazione per l’Insegnamento
Secondario), avvenuta nel 2008. Il nuovo percorso prevede: per la
scuola dell’infanzia e primaria, il conseguimento della laurea
magistrale a ciclo unico quinquennale in Scienze della Formazione; per
la scuola secondaria, bienni magistrali ad hoc per ogni classe di
concorso, più un anno di Tirocinio Formativo Attivo (TFA), durante il
quale, alle 475 ore da svolgere in una scuola sotto la guida di un
insegnante tutor, si affiancheranno corsi e laboratori
pedagogico-didattici da istituire presso una sede universitaria.
Nel regolamento era annunciato il carattere “programmato” dell’accesso
ai nuovi percorsi. Il numero di posti disponibili doveva essere
calcolato in base al fabbisogno di insegnanti in ciascuna regione. Ma
le prime stime del fabbisogno nazionale e regionale per i prossimi tre
anni scolastici – già comunicate agli uffici regionali e alle
università – riportano numeri che lasciano attoniti: poche manciate di
persone per regione, anche per le classi di concorso più grandi. È il
caso delle classi di Lettere (A050, A051, A052, A061) in diverse
regioni di Italia, tra cui la Lombardia e il Lazio. Per la scuola
secondaria di primo grado è addirittura nullo l’intero fabbisogno
nazionale di insegnanti di Lettere.
Il governo, per voce dei suoi consulenti, si giustifica con fermezza e
candore: a) il fabbisogno nazionale previsto per i prossimi anni,
considerando tutti gli ordini di scuola, è pari a circa 230 mila
insegnanti; b) il numero di docenti abilitati tramite i vecchi concorsi
pubblici (l’ultimo è del 1999) o le più recenti SSIS, e non ancora
entrati in ruolo, è di 230 mila (tanti sarebbero i “precari” inseriti
nelle graduatorie a esaurimento che attendono l’immissione in ruolo);
c) gli accessi alla abilitazione all’insegnamento saranno pressoché
nulli fino a quando non verranno riassorbiti tutti i precari. È
semplice: basta sottrarre al fabbisogno dichiarato il numero dei
precari abilitati e il risultato è zero o qualche sparuta unità (ciò
viene per di più affermato nonostante le norme –Testo Unico D.L.vo
297/94 c. 1 art. 270 – dicano con chiarezza che il reclutamento deve
proseguire secondo il cosiddetto “doppio canale”: 50% dai titoli
acquisiti – graduatorie – e 50% dai concorsi).
Ad aggravare la situazione contribuiscono poi i provvedimenti della
riforma scolastica Gelmini e i tagli di Tremonti, il cui effetto
combinato è, da una parte, l’innalzamento fino a 30-32 del numero
minimo di studenti per classe, dall’altra, la riduzione del monte ore
settimanale, con conseguente ulteriore perdita di posti per
l’insegnamento.
La partenza del TFA transitorio, data per imminente (novembre di
quest’anno), che dovrebbe fare da battistrada all’avvio dei nuovi
percorsi formativi abilitanti (costituiti dai bienni specialistici + il
TFA), rischia di tradursi in una tragica farsa senza attori. Essendo i
numeri dei posti così vicini allo zero, le università non potranno
certo predisporre corsi per due o tre studenti. Recenti affermazioni
del Ministero paventano pertanto un TFA che non sarà nemmeno su base
regionale, ma inter-regionale o addirittura nazionale (corsi e
laboratori pedagogico-didattici si svolgeranno in una unica sede per
tutta la Penisola).
La sostanza è che il tanto agognato TFA transitorio è chiuso con un
enorme lucchetto per dieci anni.
Non solo coloro che frequentano o frequenteranno corsi di laurea
(matematica, lettere, lingue, filosofia…) che hanno tra gli sbocchi
naturali l’insegnamento non potranno accedere ai nuovi percorsi
formativi in vista della abilitazione (dato il numero quasi nullo di
posti disponibili, potranno venire aperti solo pochissimi corsi
specifici per l’insegnamento); ma anche i neolaureati che, in questo
periodo di vacanza normativa, sono entrati a tutti gli effetti nel
mondo della scuola, attraverso supplenze annuali nelle scuole statali o
contratti nelle scuole paritarie, non potranno accedere al TFA per
conseguire l’abilitazione. La loro prospettiva è drasticamente
troncata. Cambino mestiere. Questo è un Paese per vecchi.
Sia chiaro, siamo perfettamente coscienti che la situazione di
sovraffollamento di abilitati precari che si è venuta a creare in
Italia ha qualcosa di anomalo, forse di mostruoso (anche se le liste
delle graduatorie dovrebbero essere sottoposte a un esame più rigoroso
e attento: verosimilmente una certa quota avrà ormai trovato altri
impieghi, intrapreso altre carriere…). Non abbiamo niente da obbiettare
sulle legittime aspettative della legione degli abilitati precari.
Conveniamo sulla necessità di dare una decisa sterzata a tutto ciò, di
mettere paletti, confini, soprattutto di ripensare seriamente il
sistema di abilitazione e di reclutamento degli insegnanti (magari
ispirandosi a modelli più riusciti, come quello tedesco, per fare un
esempio).
Ma non possiamo condividere che il prezzo di questa stratificata e
annosa situazione lo debbano pagare unicamente i giovani, cioè noi. È
inaccettabile, per non dire folle, la decisione di bloccare di fatto le
abilitazioni, cioè di salvaguardare unicamente i diritti acquisiti di
chi è già “all’interno del sistema”, impedendo l’ingresso di nuove
forze, di giovani motivati, preparati, desiderosi di costruire,
disposti anche a tutti i sacrifici necessari in questo tempo di crisi.
Questo significa uccidere il futuro, frustrare le aspirazioni di tanti
studenti e di tanti laureati usciti dopo il 2007 dalle università
(senza abilitazione, e non per loro colpa), mortificare la professione
insegnante in generale e creare un buco generazionale nel corpo
docente, con evidenti ricadute anche sulle nostre università, su tutti
i corsi di laurea che hanno tra gli sbocchi naturali l’insegnamento.
Tanto vale che i Presidi o i nuovi Direttori di Dipartimento avvisino
debitamente gli studenti e i potenziali iscritti: «lasciate ogni
speranza voi ch’entrate», se pensate di insegnare.
Per questo noi diciamo che la direzione intrapresa dal Ministero deve
essere corretta. Meglio fermarsi in tempo. Bisogna ricominciare ad
abilitare! E bisogna distribuire gli oneri. Il processo di
riassorbimento degli abilitati precari non può essere realizzato a
danno delle giovani generazioni. Niente patti di ferro del governo con
una parte a scapito dell’altra, niente guerre tra generazioni o guerre
tra poveri: occorre tenere aperta la possibilità per i giovani di
abilitarsi.
Che cosa si può fare? Anzitutto confermare quello che la legge già
prevede: la distinzione della abilitazione dal reclutamento e dalla
immissione in ruolo. Abilitarsi non significa necessariamente avere il
ruolo, i due momenti sono e devono essere separati. Ciò consente di
abilitare con margini più ampi, necessari ad una procedura che non si
trovi improvvisamente senza aspiranti. Gli abilitati potrebbero poi
entrare a far parte di “albi regionali” (senza alcuna formazione di
graduatorie, rivelatesi a sufficienza rovinose), dai quali le scuole
possano attingere direttamente i docenti tanto per le supplenze
temporanee o annuali, quanto per le immissioni in ruolo con proprio
concorso di istituto o di reti di istituto. Perché una simile
prospettiva diventi possibile occorre evidentemente mettere mano a una
vera e propria riforma del reclutamento dei docenti, che eviti gli
automatismi del passato.
Se nel frattempo, per l’immediato, si dovesse o volesse ricorrere alla
classica macchina dei concorsi ordinari, che prevedevano come requisito
di ammissione la sola laurea (DM 39 del ’98), si rispetti almeno la
norma che riserva il 50% dei posti ai vecchi abilitati inseriti nelle
graduatorie e il 50% ai nuovi laureati.
Fermi la macchina, Ministro, ci ripensi!