Il suo primo anno,
alla scuola Falcone dello Zen, è stato un duro banco di prova. Ha
rischiato di non essere riconfermata perché persino riuscire a fare
l'appello, in quelle classi di scalmanati, non era scontato. Rossana De
Simone, 45 anni, insegnante di Lettere di ruolo, in tre anni di lavoro
allo Zen ha dovuto costruirsi nuovi metodi per esercitare la
professione, dimenticando tutto quello che aveva imparato. Perché alla
Falcone, una delle scuole più a rischio della città, l'insegnante deve
imparare a difendersi, a prevenire gli scoppi di rabbia, a tutelare non
solo la professione di insegnante ma anche la sua incolumità
personale.
E poi bisogna fronteggiare gli altri ragazzi del quartiere, quelli che
stanno fuori e che durante le ore di lezione si affacciano alle
finestre per salutare gli amici seduti dietro i banchi o si divertono a
tirare sassi contro la classe e l'insegnante. Non a caso le finestre,
alla scuola Falcone, sono tutte protette da grate per evitare che gli
alunni scappino dalle aule o che qualcuno entri improvvisamente. E ci
sono docenti che raccontano di avere dovuto perfino piazzare la
cattedra davanti alla porta per evitare un esodo di massa durante la
lezione.
"Tutto quello che ho imparato dalla pedagogia - dice la De
Simone - qui non serve a nulla. Bisogna dimenticare i libri
e fidarsi dell'istinto. Il mio primo giorno di scuola allo Zen è stato
un trauma, non sono riuscita a fare l'appello e ho stilato una nota
disciplinare nei confronti dell'intera classe, ma ho capito che anche
quel provvedimento non li intimoriva. Le note, qui, le prendono tutti e
in quantità".
Allora la professoressa ha costruito un metodo pedagogico semplice ma
efficace, dal momento che gli alunni sopra ogni cosa amano giocare a
pallone. Se un ragazzo non prende note per una settimana, avrà in
premio un paio di pacchetti di figurine dei calciatori; se ha una
condotta esemplare per un mese intero, meriterà l'album della squadra
del cuore e se la disciplina è impeccabile per tutto l'anno, riceverà
un pallone di cuoio. Come è accaduto a Marco, alunno della prima D.
"Ho la borsa - racconta la professoressa -
sempre piena di caramelle, cioccolatini e leccalecca. Per farli stare
buoni e attenti, a volte, basta promettere un piccolo premio, anche una
caramella. Lo so, a molti sembreranno metodi antieducativi, ma qui
funzionano. E i ragazzi, per un album dei calciatori, sono disposti
anche a mettere la testa sui libri e riescono a garantirsi così
l'ammissione all'anno successivo. Alla fine è questo che conta".
La vita quotidiana, in una scuola come la Falcone, ha le sue piccole
regole: l'insegnante non può allontanarsi per andare al bagno se non
trova un collega che lo sostituisca; non esiste la "lezione frontale",
i libri e i materiali didattici si riportano a casa ogni giorno per
timore di furti; gli alunni non acquistano i libri e gli insegnanti
vanno avanti facendo le fotocopie.
Anche se in tre anni di duro lavoro qualche traguardo è stato
conquistato, Rossana De Simone ammette che ogni mattina la prima cosa
da fare è raccogliere gli alunni dalla strada e portarli in classe.
Spesso è necessario chiamare i genitori a casa se gli alunni non
frequentano. A volte però il numero telefonico che i ragazzi hanno
lasciato alla segreteria della scuola è volutamente sbagliato, e allora
la prof-missionaria bussa direttamente alla porta di casa.
Iniziativa non sempre gradita dalle famiglie dello Zen, che ci tengono
a tenere separata la vita della scuola da quella familiare. "C'è stata
la rivolta del quartiere - racconta la De Simone
- quando sono andata a prendere un bambino a casa perché non
veniva a scuola da tempo. Anche lui era scioccato nel vedermi lì,
davanti alla sua porta. Ho rischiato grosso. Qui bisogna essere forti
ed equilibrati, non lasciarsi prendere dall'emotività".
Gli spintoni e il faccia a faccia, in segno di sfida, sono all'ordine
del giorno. E anche i danneggiamenti alle auto.
"Magari sono ragazzi esterni alla scuola - dice la De
Simone - sta di fatto che trovare gli specchietti dell'auto
rotti è la norma". Poi ci sono alcune cose da apprendere in fretta. Per
fare un solo esempio, se due ragazzi litigano e "si afferrano", è
meglio non mettersi in mezzo. Il rischio è quello di finire al pronto
soccorso. Come accadde a quell'insegnante, ricorda il preside Domenico
Di Fatta, che si beccò una testata tentando di sedare una rissa fra
compagni, o a un'altra docente che si vide arrivare una sedia dritta
sulla caviglia.
"Se ci provi - dice la professoressa - ti
becchi certamente un pugno o un calcio: meglio fare smaltire la rabbia.
E poi lo scontro non paga mai con questi ragazzi. La fiducia e il
rispetto si conquistano con altri metodi, percorrendo strade magari più
lunghe che alla fine però pagano. Sembra strano, ma quello che vogliono
gli alunni è sentirsi considerati, in qualche modo amati, importanti
per qualcuno".
Se da un lato insegnare in una scuola del genere è una lotta
quotidiana, dall'altro ti assorbe completamente. Per questi professori,
la scuola è come la famiglia, non esistono orari e non ci si occupa
soltanto delle proprie classi, ma di tutta l'utenza. Per questo la più
grande sconfitta, per un docente della Falcone, è vedere un ragazzo
lasciare la scuola.
"Anche se ne perdiamo uno solo - dice Rossana De
Simone - per me è una tragedia. Qui ci spendiamo tanto,
investiamo tante energie per attirarli a scuola, per trasmettere
messaggi educativi che spesso si scontrano con quelli delle famiglie. E
quando ti accorgi che, nonostante tutti gli sforzi, si perdono, non ti
rassegni facilmente. Ma bisogna sempre insistere e andare avanti.
Insegnare qui è una missione che dà anche tante soddisfazioni".
(da http://palermo.repubblica.it di Claudia Brunetto)
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