Lettere in redazione
Spettabile redazione di AETNANET
Mi presento: sono un’insegnante
rimasta sgomenta, offesa e stupita per un articolo postato sulla vostra
pagina il 05/06/’11 alle ore 12:55 circa le invalidità civili concesse
al Sud. Vorrei, con questo mio “sfogo”, far capire ai lettori
che in tutte le cose c’è sempre il risvolto della medaglia. Capisco le
motivazioni che hanno spinto la redazione a postare l’articolo in
questione. So che purtroppo è
una realtà e un grave problema quello dei falsi invalidi, ma mi
dispiace veder puntato il dito contro chi realmente soffre. Tra le
migliaia di persone che hanno ottenuto la 104 con la compiacenza di
medici poco seri, ci sono tante altre
persone per le quali la 104 è un’amara realtà.
Purtroppo, tra breve, io farò parte di quella grande schiera di persone
giudicate nell’articolo «sanissime con invalidità che si sacrificano
per il loro lavoro tanto da “camuffare” la loro invalidità fino a non
poterle distinguere dalle persone sane» e che, nonostante le
innumerevoli sofferenze, con grande stoicismo, continuano a rimanere
aggrappate al proprio lavoro invece di (questo lo si legge tra le righe
dell’articolo incriminato) restare a casa a soffrire (e morire
nell’anima prima che nel corpo), invece di lasciare libero un posto di
lavoro per chi sta bene. Ho deciso quindi, nel mio piccolo, di far
capire agli innumerevoli lettori qual è il punto di vista interno alla
suddetta situazione.
Faccio parte dell’enorme schiera di precari che ogni anno lotta per un
posto di lavoro…
Per inciso, insegnare per me è una grande passione e non un ripiego
come, devo ammetterlo, per molti altri. Ho 38 anni, quindi
“giovanissima collega”, e fino a due mesi fa godevo di ottima salute e
lavoravo serenamente e felicemente con i miei alunni adorati. Ho
lottato contro la loro diffidenza iniziale perché, per l’ennesima
volta, hanno dovuto adattarsi ad una nuova insegnante, con un nuovo
metodo di lavoro, con nuovi obiettivi e con un carattere ben diverso da
quello dei colleghi che mi hanno preceduto (così vuole purtroppo il
nostro “stimato” ministro che non si decide a garantire la continuità
didattica). Ho dovuto far capire l’importanza dello studio della
seconda lingua. Ho dovuto farmi conoscere per essere accettata nella
mia “esuberanza” e per condividere con la scolaresca la grande passione
per il mio lavoro e per la disciplina che insegno. Tutto questo fino a
due mesi fa, appunto!
Andando dal dermatologo per una semplice e stupida verruca al dito,
vengo improvvisamente catapultata in una realtà che, Vi assicuro, non
avrei voluto conoscere. Mi diagnosticano un melanoma maligno a crescita
verticale nella regione scapolare dx.
Capirete bene il mio stupore e il mio sgomento dinanzi a tali parole…
Infondo io mi sento bene, non mi reputo malata e non mi immedesimo con
il ricordo di mio nonno o di mio zio morti per tumori al cervello. Il
mio aspetto non è come il loro. Io sono sempre stata una persona
solare, allegra, sana, spensierata ma responsabile. Una mamma che adora
i suoi figli, una moglie che ama alla follia il proprio marito,
un’insegnante appassionata che crede in ciò che fa. Come dicevo, non mi
sento una persona malata, cupa, con gli occhi spenti, privi di
speranza. A quanto pare però gli esami ai quali mi sono dovuta
sottoporre dicono diversamente. E non è bello sentirsi dire che è
meglio andare via dalla propria città per curarsi, data la mia giovane
età!!! Avete mai provato a fare degli esami specialistici???
Viviamo in un mondo pieno di contraddizioni. C’è un’urgenza reale, ma
vai in una struttura pubblica e dopo aver aspettato 3 ore, con la morte
nel cuore, ti dicono candidamente che il professor “tal dei tali” non
può riceverti neanche un secondino se non hai un santo protettore ed è
meglio chiamare per un consulto privato. Una telefonata e il consulto
privato (di dieci minuti cronometrati) arriva nell’arco di due giorni
con la modica cifra di 250 € (non fatturati). Attenzione! Parliamo
dello stesso professor “tal dei tali” che non poteva ricevermi in
ospedale perché quel giorno si era, malauguratamente, alzato dal lato
sbagliato del letto (cito testuali parole del capo sala che mi ha
“dovuto” ricevere in quanto mi sono intrufolata in reparto
approfittando della porta aperta). Non contenti della diagnosi e del
percorso che mi si prospettava davanti, il mio medico mi mette in
contatto con un altro professor “tal dei tali” che scende appositamente
per me da un rinomato Centro Oncologico del Nord, data la mia giovane
età. Altro consulto privato e altri 250 € (nuovamente non
fatturati)!!!Continuiamo…
Primo accertamento da fare, prima del ricovero, è la scintigrafia
ossea, parole per me assolutamente sconosciute fino a quel momento.
Adesso so che serve per verificare la presenza di metastasi nello
scheletro. Vado e chiedo di prenotare l’esame d’urgenza in quanto mi è
stato richiesto dal Centro. D’urgenza e con la richiesta del mio medico
la possono prenotare a fine luglio. Parliamo sempre d’urgenza!!! Quando
sottolineo educatamente che mi serve d’urgenza, la signora in
accettazione mi risponde alquanto indispettita -“Signora, d’urgenza a
pagamento”-, Io ribadisco -“Ok, non ha importanza. Quando?”- Ancora la
signora dell’accettazione -“ Signora, con 132,90 €, lunedì può andarle
bene?”-. Con la morte nel cuore e grata al signore di potermi
permettere “l’urgenza a pagamento” accetto e torno dal mio medico il
quale, nel frattempo, ha avviato la richiesta per l’invalidità civile e
mi consegna il cartaceo del documento. Auguro sinceramente a tutti di
non provare mai la sensazione che ho provato io in quel momento. Io non
amo molto le borse e non ci tengo nulla se non il portafogli, le chiavi
e il cellulare. Quanto potrà pesare?… circa mezzo kilo se aggiungiamo
la bottiglietta d’acqua per i bambini. Bene…, appena metto in borsa
quei fogli, la mia borsa è diventata rovente, di fuoco, pesantissima.
Mi sono sentita il peso di tutto il mondo dentro quella borsa. La
portavo a fatica e, appena arrivata a casa, l’ho buttata a terra per
riprenderla solo dopo due giorni. Mi sono sentita malata, persa,
svuotata di tutte le forze… io che sono sempre stata una persona forte
e decisa. Le lacrime, anche adesso che scrivo con rabbia ed
indignazione, mi scendevano da sole e non potevo -non posso-
permettermi il lusso di farmi vedere dai miei figli in quelle
condizioni. Sono piccoli. Come si fa a dire a dei bambini che la loro
mamma, giovane e sana, è ammalata? Chi avrebbe cuore e forza di farlo?
Come si fa a dire ai genitori che la loro figlia deve ricoverarsi per
un tumore, sebbene preso in tempo.
La cosa che mi fa più male in questa situazione è dover guardare mio
padre e fingere una serenità che non c’è. Come potevo dirgli che sua
figlia ha un melanoma, quando mio padre si è visto morire tra le
braccia suo padre e suo fratello per un tumore al cervello? Lui che non
mi ha mai telefonato, ha sempre pensato a lavorare, consapevole che i
suoi figli sono in gamba e che fanno la loro strada con orgoglio, con
correttezza e fieri dei valori che hanno ricevuto in famiglia. Adesso,
saputo della mia condizione, mi chiama ogni giorno per sapere come sto,
come vanno i punti, se mi fa male il braccio, se ho bisogno che mamma
rimanga con me, lasciando lui solo a casa a badare a se stesso.
E come cambia l’espressione degli occhi di chi ti guarda sapendo perché
ho due enormi medicazioni alla spalla e all’ascella dx. Ti guardano con
compassione, come se la tua fine fosse già segnata. Ti compatiscono,
cercano di darti conforto in un momento delicato della tua vita quando
non sanno minimamente cosa passa per la testa in questi momenti e
l’unica cosa che riescono a dire è semplicemente “auguri”. Ma “auguri”
di che?. Per una persona vitale e dinamica come sono io, questi
atteggiamenti sono un’offesa. Un’offesa alla mia dignità, alla mia
sensibilità, alla mia intelligenza, alla mia condizione.
D’urgenza parto per il Centro Oncologico prescelto, dove vengo
sottoposta all’intervento per la resezione della ferita e al linfonodo
sentinella (anche questi termini per me fino a questo momento assurdi e
privi di significato). Pochi sanno come ci si sente quando ti danno un
camice e ti sdraiano su una barella per condurti in sala operatoria.
Ribadisco, io mi sento bene, non mi sento malata…, ma in
quell’occasione ho realizzato la condizione di malata oncologica. E’
tremendo! Ti senti piccola, indifesa, fragile…, nuda con la tua anima e
il tuo corpo affidati a persone che non conosci e che non ti conoscono,
ma ti devono operare e in un secondo non esiste più intimità personale.
Speri solo che quel chirurgo che ti guarda sia bravo, che l’anestesia
che ti hanno fatto faccia subito effetto per non sentirli parlare di
ciò che faranno durante il loro tempo libero, come se io non fossi
stata lì. Per loro è la normalità, per me era la prima volta.
Ci tengo a sottolineare che, proprio perché amo il mio lavoro, appena
saputo dell’imminente ricovero, ho fatto di tutto per completare il mio
programma a scuola, soprattutto quello delle terze in previsione
dell’esame.
Non amo molto il mondo di internet, ma essendo in malattia in attesa
del referto del nuovo esame istologico, ho acceso il mio computer e mi
sono imbattuta sull’articolo riguardante le false invalidità civili.
Leggendolo, mi sono sentita additata per una situazione che di certo
non ho voluto io. Preferirei essere l’ultima in graduatoria che
scavalcare i miei colleghi con questo “espediente”.
Ma, dai costi che ho esposto (a proposito il viaggio della speranza mi
è costato 1750,00€) capirete bene che, i diritti che mi garantirebbe
l’eventuale invalidità civile, mi servono per pagare le cure necessarie
e per non far mancare nulla ai miei figli in casi estremi. Mi dispiace
per i colleghi che scavalcherei. In questo oceano di squali che ci ha
fatto diventare il sistema, anch’io mi sono seccata in passato vedendo
gente che mi superava per reali o presunte 104, ma sarò ben felice di
“camuffarmi” per andare a scuola e non far capire a COLLEGHI POCO
SENSIBILI, la tragedia che vivo in casa e soprattutto nel mio cuore.
Non è giusto che una mamma di 38 anni si ammali, non è giusto che i
miei figli non possano abbracciarmi in questo momento perché potrebbero
farmi male alle ferite, non è giusto che una giovane donna dovrà
“sfoggiare” due cicatrici che saranno il marchio indelebile della
patologia subita. Non è giusto! E’ tutto ciò che riesco a dire in
questo momento.
Come ho già detto, capisco le motivazioni che hanno portato la
redazione a denunciare una situazione tanto grave, ma c’è anche
un’altra spietata realtà. La 104, per chi realmente ne avrebbe diritto,
rappresenta una speranza. Una speranza di veder tutelato il proprio
diritto al lavoro, il proprio diritto ad una vita, per quanto
possibile, normale, senza dover dare giustificazioni a nessuno. La
sofferenza che ci aspetta è già un grande fardello da portare sulle
spalle, non ci possono negare anche la dignità del lavoro che ci fa
sentire utili in un momento in cui ci sentiamo totalmente inutili e di
peso per i nostri cari. Ben venga dover andare a scuola “camuffata”…
fiera e orgogliosa però di essere viva! (Lettera firmata)