Nonostante questo i
risultati sono rimasti al di sotto delle aspettative. Il numero dei
giovani apprendisti è cresciuto in modo significativo nel
decennio 1998-2008 (fino a raggiungere 644.500 unità) poi la
crescita si è fermata
Eppure tutte le buone pratiche europee, Germania, Austria, Francia
in testa, dimostrano che, soprattutto in periodo di crisi,
l’apprendistato è uno dei più efficaci strumenti di politica attiva del
lavoro per i giovani. Per questo è positiva la ripresa di
attenzione sul tema segnalata dall’accordo siglato fra governo e parti
sociali, tanto più in quanto raggiunto unitariamente dalle
maggiori confederazioni, e dalla proposta governativa di Testo Unico,
ora all’esame delle stesse parti sociali.
C’è da augurarsi che tali iniziative servano effettivamente allo scopo
dichiarato.
Va condiviso l’intento di razionalizzazione della materia
che in questi anni è stata oggetto di frammentazioni
normative e di sovrapposizioni di competenza fra Stato, regioni e
contrattazione collettiva, che hanno ostacolato la diffusione
dell’istituto.
Alcuni contenuti della proposta di Testo unico vanno approfonditi e
altri aggiustati tenendo conto delle osservazioni che stanno
provenendo dalle parti sociali e dai partiti.
Segnalo qualche aspetto di particolare rilievo. Anzitutto serve un
effettivo intreccio fra formazione e lavoro che costituisce la
ragione d’essere dell’apprendistato e il motivo delle
agevolazioni contributive (e retributive) ad esso riconosciute.
Per questo è importante che la formazione sia congrua, nella sua
quantità e qualità alle professionalità che si vogliono
promuovere e al tipo di apprendistato adottato. E’ utile che si
combinino formazione interna ed esterna all’azienda, superando
contrapposizioni rigide.
Ma per questo gli standard formativi devono essere rigorosamente
definiti e certificati per entrambe le forme. L’offerta formativa delle
regioni è stata per lo più inadeguata e diseguale.
Quanto alla formazione aziendale andrebbero specificati i caratteri
necessari perché l’azienda possa attuarla in modo efficace (i criteri
sono presenti nelle guidelines europee).
Nell’apprendistato professionalizzante la formazione su tematiche
trasversali e di base (40 ore per il 1° anno e 24 per il 2°) è
probabilmente troppo ridotta, perché tale formazione di base è
importante anche per gli specialisti al fine di affrontare le
complessità dei sistemi produttivi moderni.
Per lo stesso motivo andrebbero riconsiderati i limiti temporali
dell’apprendistato. Sei anni sono troppi per qualunque percorso
formativo; si prestano a coprire prolungamenti del contratto
ingiustificati o giustificati solo dalla riduzione del costo del lavoro.
Affinchè l’intreccio studio-lavoro sia effettivo, è ragionevolmente
necessaria una durata minima del contratto, anche qui al fine di
evitare apprendistati fittizi.
L’apprendistato professionalizzante è decisivo per favorire una buona
transizione fra scuola e lavoro, combinando esperienze teoriche e
lavorative. L’apprendistato per la qualifica serve invece al
recupero di deficit formativi di base. Per questo richiede ancora
più attente combinazioni fra formazione di base e specifiche.
Penso che sia sbagliato riportare a 15 anni l’età di avvio: tutti i
paesi stanno alzando l’obbligo scolastico per rispondere alle esigenze
del mondo produttivo e sociale. Inoltre la nostra scuola non può
abbassare le soglie di età perché non è in grado al suo interno
di recuperare la depressione scolastica: deve attrezzarsi a farlo
aggiornando i suoi metodi e contenuti.
Il successo dell’apprendistato si misura, oltre che dai suoi contenuti,
dalla sua capacità di favorire una effettiva inserzione dei giovani nel
mondo del lavoro, oggi più che mai urgente.
Per questo servirebbe, come chiesto anche dal sindacato, una attenta
previsione delle professionalità richieste dal mercato del lavoro
per le quali formare gli apprendisti e sarebbe opportuna una
incentivazione per le imprese che assumono i giovani apprendisti : ad
es. la conferma di contributi ridotti al 10 % invece che al 33% per un
certo periodo (1 anno).
Infine il Testo Unico deve superare la confusione di competenze fra i
vari interlocutori; Stato, regioni, parti sociali, che ha finora
ostacolato la diffusione dell’apprendistato. Si tratta di raccordare
gli standard professionali previsti dai contratti collettivi con i
profili formativi, per i quali la competenza è delle regioni, come
affermato dalla Corte Costituzionale ancora di recente,
(decisione 176 del 15 maggio 2010); e quindi occorre armonizzare
il sistema delle professionalità e degli standard su base nazionale.
L’art. 6 punto 3 del Testo Unico affida il compito a un tavolo per il
Repertorio delle professioni presso il Ministero del lavoro. Questo è
uno snodo cruciale.
L’obiettivo non potrà essere raggiunto senza un accordo quadro fra
tutti gli interlocutori che definisca regole e procedure condivise:
quello che si attende da anni. (da
http://www.professioni-imprese24.ilsole24ore.com)
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