Spettabile
prof.ssa,
anche oggi entrando in classe e chiudendo la porta Lei ha sbarrato la
vista del sole, della vita, della libertà. È entrata col suo solito
vestito che sa di antico, la borsa appesantita di ricordi, il passo
lento ed enigmatico, la tristezza del volto esangue, le labbra stizzite
di rinuncia e di rivincita. Ma dov’è l’entusiasmo didattico di cui
parla Edgar Morin, grazie al quale voi insegnanti dovreste formare
“teste ben fatte?”. Ma l’ha letto questo libro, Lei che mi rimprovera
di non leggere libri?
Lei riesce a leggere ancora libri in mezzo alle liste della spesa e ai
rendiconti di condominio cui la costringono la modestia del suo
stipendio e la perdita del prestigio sociale che è causa
dell’elaborazione di un lutto che si rinnova giorno per giorno? Ma ha
mai lottato, veramente, prof.ssa, contro l’ingiustizia, è mai scesa in
piazza, ha gridato con veemenza contro l’immiserimento della sua
condizione sociale? O la sua condizione sociale è borghese, e non Le è
convenuto metterla in pericolo con azioni rivoluzionarie? O ha avuto
paura di dovere rendere conto ai suoi superiori di azioni goliardiche
degne soltanto del popolo e non di una nobile professione? Neanche si è
seduta alla sua cattedra che già mi sento osservato, guardato,
esplorato, indagato, predestinato. Perché ce l’ha con me? Perché
citando il mio cognome, le numerose rughe che circondano la sua bocca
si muovono con un’espressione di stomachevole irritazione, e il suo
naso aquilino sembra assumere l’aspetto di un ago pronto a pungere e
gli occhi nascosti da occhiali a triplo spessore per correggere le sue
patologie visive, sembrano voler sottolineare i difetti del mio fisico
e della mia personalità, per farmi diventare un “nuddu mmiscatu con
nniente”, e lo sguardo esprime una commiserazione commista ad un’ironia
mal celata? Non ci somiglio a suo figlio, vero prof.ssa? Lui è
certamente un bel ragazzo borghese che frequenta un liceo del centro,
con jeans alla moda, magliette firmate, la sua stanzetta arredata con
televisore, lettore cd, sistema wireless per internet. Quante volte lo
ha aiutato a fare i compiti, quanti suggerimenti gli ha dato, quanti
consigli, quante telefonate ha fatto ai suoi colleghi per
giustificargli la stanchezza della domenica e quanti aiuti generosi ha
trovato ed usato al momento giusto quand’era in difficoltà? Mio padre
torna a casa la sera stanco morto, dopo un lavoro faticoso di muratore
e mia madre accudisce, giorno per giorno, i miei numerosi fratelli, con
una sofferenza nel volto che nasce dall’impossibilità di accontentare
le nostre richieste. Non ricordo più, adesso che ho quindici anni,
quando mi ha preso in braccio l’ultima volta e spesso quando non se ne
accorge, la guardo e sento lo struggente desiderio di un suo bacio. Si
lo so, mi distraggo alle sue noiose lezioni. Si, sono stato e sono a
volte sgarbato, volgare, chiacchierone, menefreghista, disinteressato.
Ma, Lei, prof.ssa, quante volte ha messo in pratica gli articoli 4,5,6
del D. P. R 275/99, quante volte ha fatto un insegnamento
individualizzato che mi facesse sentire il suo affetto, la sua stima,
il desiderio di farmi uscire dal mio ghetto, che mi dimostrasse che
l’allievo, qualunque allievo, è veramente, il perno, il centro, il
nucleo dell’avventura del sapere? Quante volte ha distribuito, come
dice la legge, in modo differenziato e geometrico le sue risorse
didattiche al fine di fare diventare la scuola “un mondo di giustizia”?
Le sue abitudini eternamente uguali(due voti a tutti i costi,
ricevimenti sonnolenti, pagelle intermedie con i non classificati,
silenzio perenne ai collegi, assenze strategiche, giorno libero sempre
uguale) hanno incartapecorito la sua espressione, e quel nero forzato
dei capelli non riesce a cancellare il bianco dell’anima, non segno di
candore, né di trasparenza, né di bontà, ma di una severità rigida e
sistematica che conduce, anche quest’anno, alla mia sonora e immeritata
bocciatura, perché la sua valutazione non terrà in minimo conto la mia
biografia cognitiva, anche se la legge dice il contrario. E dire che,
nonostante tutto, non riesco neppure ad odiarla ed esercita su di me un
fascino che non riesco a definire, a capire. Angelo e diavolo, acqua
chiara e fiume torbido, speranza e maledizione. Sono appena nato come
studente e già capisco di essere un perdente, capisco che preferisce
perdermi piuttosto che curarsi di me. Addio.
Gaetano
Bonaccorso
gbonaccorso@alice.it (da ASASI)