Ma non è una
cosa seria. L’insegnamento delle lingue regionali pur avendo la nobile
finalità del recupero di una romantica identità culturale, ha pure
bisogno di docenti in grado di farlo e con titoli documentabili. E non
solo, ma quando insegnarlo? Come corso curricolare, sfruttando il 20%
dell’orario settimanale, o inserirlo come attività aggiuntiva con i
soli ragazzi che ne farebbero richiesta? Impossibile è aggiungere due
ore nel piano complessivo delle lezioni per via della rigidità della
cosiddetta riforma Gelmini. Ma in ogni caso, dove trovare
professori seriamente preparati? E’ vero che tutti (o forse no?)
conoscono la parlata locale e la storia regionale (o forse no?), ma è
anche vero che, relativamente alla lingua, migliaia di termini col
tempo sono andati perduti, sia perché l’economia è cambiata, da
agricola a industriale, e sia perché la lingua in sé è fatto dinamico e
quindi soggetta a mutazioni e cambiamenti. E allora quale lingua
dialettale insegnare? Tranne che si prevedano corsi universitari
specialistici e il ministero assegni classi di concorso e abilitazioni
relative, perché altrimenti l’insegnamento del dialetto diventa non più
istruzione seria ma altro, un modo per sprecare i fondi e per
consentire a qualche docente raffazzone di integrare il magro
stipendio. Fra l'altro se viene scelto di usare il 20% (per esempio: su
4 ore di italiano un’ora di dialetto) dell’orario curricolare, quanti
docenti abilitati, o comunque con titoli certificabili, occorrono? Se
poi lo si vuole insegnare in orario extrascolastico quanti ragazzi e
per quante ore a settimana vi parteciperebbero? Diciamo la metà su una
media di 600? E gli altri? E inoltre: chi ne verifica, certificandoli,
i risultati degli alunni?E se si aggiungono due ore alle ore
curricolari, magari sforzando la legge di riforma, sarà questa materia
oggetto di esami di stato e di valutazione? Ma non si capisce
neanche cosa si intenda dire che lo studio della lingua e della
cultura siciliana potrà essere effettuato a costo zero. In altri
termini si prenderanno docenti e si metteranno in cattedra, senza
neanche spendere una lira per aggiornali: e quali? Quelli di lettere?
Ma costoro, nel piano di studi universitari e nella conseguente
abilitazione, hanno mai approfondito la lingua e la cultura siciliana,
così come è richiesto dal disegno di legge? Il punto è allora se
implementare uno studio serio o se andare alla garibaldina, nel senso
di iniziare la traversata e in base a come finisce l'approdo sarà in
seguito raccontato?
Pasquale
Almirante - La Sicilia del 22 maggio 2011