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Precariato: Fosche nubi nere: l’incerto destino dei precari della scuola

Rassegna stampa
Si addensano fosche nubi nere sui precari della scuola. Dopo il decreto legge sullo sviluppo, la diatriba sui posti per l’immissione in ruolo e il decreto ministeriale di aggiornamento delle graduatorie. Si era tanto discusso di pettine e di code, di chi l’avrebbe spuntata sull’ipotesi di “riapertura” delle province, la lega o i sessanta parlamentari del sud, i meridionali meridionali o i meridionali trapiantati al nord. La Gelmini e il suo Ministero sono riusciti nell’impresa impossibile di scontentare tutti. Infatti, si può cambiare provincia, portandosi il proprio punteggio, ma si rimane nella nuova graduatoria per tre anni.  
  E, se si ha la fortuna di passare di ruolo, la permanenza minima nella provincia è di altri cinque anni. Chi non voleva la riapertura delle province ora teme l’assalto dall’esterno, magari non massiccio, ma sufficiente a contendergli la supplenza e, di sicuro, a soffiargli il ruolo. Chi era pronto a spostarsi, armi e bagagli, al nord, lasciando prole e coniuge, ora teme sgomento un trasferimento in pratica definitivo. I ricorsi al giudice dei mesi scorsi e quelli futuri sono sterilizzati: il supplente è una professione talmente precaria e contingente che si può fare per sempre, come si evince da un comma poco commentato del decreto Sviluppo. I posti per le immissioni in ruolo sono, pare, sessantacinquemila, in un anno o forse in tre. Lo sapremo dopo le elezioni.
Il prossimo anno scolastico avremo la terza dolorosissima tranche di tagli, e già sono all’orizzonte manovre e contenimenti di spese. Si troverà il modo di affollare ulteriormente le classi, togliere qualche altro pezzo all’offerta formativa, fare a meno degli insegnanti di sostegno o, peggio, formare di nuovo le classi differenziali. La prova generale l’hanno fatta durante le prove Invalsi. Al netto di tagli e soprannumero del personale, nonostante i pensionamenti, non ci saranno che pochissimi posti per i supplenti e per le immissioni in ruolo. E qualche sindacato rivendicherà il grande risultato di veder coperti dai precari tutti i posti disponibili e vacanti: poche centinaia in tutta Italia, isole comprese! La nuova emergenza della scuola saranno gli esuberi del personale di ruolo: vedremo docenti riconvertiti su altri insegnamenti, contro la loro volontà; docenti, d’ufficio, spostati di sede, forse pure di provincia e regione; personale Ata utilizzato in compiti sempre più impropri. Si troverà il modo di spostarli in altre amministrazioni pubbliche, poi magari in società miste. Verrà il triste momento in cui si parlerà di cassa integrazione e infine di licenziamento. Tutta l’operazione avverrà parallelamente all’impoverimento sempre maggiore della scuola pubblica. Ridotte le ore, tolti i laboratori, eliminate le inutili compresenze, nonostante tale adeguamento ai parametri scandinavi (!), la scuola italiana non funzionerà più: questo sarà il cruccio del ministro, stupito come quel tizio che si lamentava perché il suo asino era morto proprio quando aveva imparato a non mangiare.
Che fine faranno i precari della scuola? È presto detto: faranno la fine che stanno facendo per esempio in Campania. L’anno prossimo ci saranno mille nuovi posti di ruolo e milletrecento tagli, più i posti in meno per via dell’applicazione della cosiddetta riforma, per via delle classi più affollate, per via di più handicappati nella stessa classe. Lavoreranno tanti precari in meno fra quelli che non avranno il coraggio e la possibilità di andarsene. Dovranno sperare nel decreto salvaprecari, nel sussidio di disoccupazione, nei progetti della regione, della serie “lavori socialmente utili”. Ma con quali prospettive? Il sistema scolastico nel nostro paese è stato costruito facendo affidamento sui precari, sui lavoratori annuali. In teoria sarebbe semplice capire le esigenze di organico delle scuole e provvedervi. E invece c’è l’organico di diritto, che è teorico, poi quello di fatto, per adeguarlo al numero degli alunni, e ancora deroghe per il sostegno, posti per combattere la dispersione o per altri progetti, infine la necessità specifica della scuola di sostituire gli assenti. Nessuna paura: ci sono i supplenti. Li chiamiamo quando ci servono, poi li licenziamo. Per anni, per generazioni, i docenti hanno pagato questo scotto per passare di ruolo. Ora la situazione è cambiata. Per esigenze di bilancio, che pure ci sono, si è cominciato a tagliare posti e a fissare tetti. Quando la Moratti e la Gelmini, insieme con Tremonti, hanno scoperto che i tagli decisi venivano vanificati dalle esigenze delle scuole che continuavano ad aver bisogno dei supplenti, hanno deciso di modificare le esigenze delle scuole. Le loro cosiddette riforme hanno avuto quest’unico obiettivo: svuotare di significato tempo pieno, tempo prolungato, laboratori, lingue straniere, materie professionali, integrazione dei diversamente abili, lasciando i simulacri di tali istituti, e contemporaneamente svuotare le scuole di docenti e ata. Naturalmente quelli precari, quelli annuali, quelli usa e getta. Altro che ruolo. Ma siccome il sistema di scuola adottato su loro si regge, con la loro uscita crolla anche la scuola. Senza i posti e le funzioni svolte oggi dai precari la scuola muore, così come l’asino che non mangia non per altro muore. Lo capisce, signor Ministro?(da ScuolaOggi di Franco Buccino)

redazione@aetnanet.org








Postato il Martedì, 17 maggio 2011 ore 10:00:00 CEST di Pasquale Almirante
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