Intervista al senatore Antonio Rusconi, capogruppo PD in
Commissione Cultura e Istruzione, sul 2° Rapporto sulla qualità della
scuola a cura di TuttoScuola.
Senatore Rusconi, la notizia è che il
Sud fa meglio del Nord. Almeno a giudicare dai dati del triennio
2007-2010 che costituiscono il 2° Rapporto sulla qualità della Scuola
pubblicato dalla rivista TuttoScuola. Nonostante alcune forti
criticità, nonostante gli storici ritardi che lo affliggono, c'è
speranza per il nostro Meridione oppure il divario esistente rischia di
essere allargato dalla riforma federale del Paese? (da Pd)
Il sud recupera alcuni indici, uno dei quali è la stabilità dei
docenti, è vero questo, ma perché accade? Per assurdo, perché il sud è
più colpito dai tagli: essendo scomparse le cattedre sono diminuiti i
posti da assegnare, con la conseguenza che risultano più cattedre
assegnate, ma attenzione, solo a docenti di ruolo. La Calabria è
l’esempio migliore di tale fenomeno, con un taglio di oltre il 20% sono
rimasti nelle classi solo i docenti di ruolo e sono andati a casa
quelli precari. Al nord, invece, il fenomeno è diverso ma sempre
negativo: alcune graduatorie sono rimaste esaurite cioè sono stati
chiamati tutti i nominativi disponibili, anche coloro che non hanno la
specializzazione SIS, anche coloro che avevano tentato il concorso come
ripiego rispetto ad altri impieghi.
Maggiore precariato al nord e minore al sud è il risultato solo
apparentemente positivo di una politica fatta di tagli, e non di
progettazione. Sulla riforma della scuola elementare, la Gelmini
affermava in tv che non ci sarebbero stati licenziamenti fra i docenti
di ruolo, ma quelli fra i precari? Questi sono le prime vittime dei
tagli al sistema scolastico, perché messi fuori dall’eliminazione del
numero delle cattedre.
Va ricordato che il Governo Prodi aveva proposto di riaprire e bandire
i concorsi per la scuola pubblica, proprio per evitare che rimanesse
fuori dalle assunzioni il gran numero di docenti precari. In sostanza
non si è stabilizzato, ma si è assunto solo nella misura in cui era
possibile dipendentemente dalla collocazione geografica.
Inoltre la riforma della scuola elementare ha tagliato più al sud che
al nord, per esempio a Milano abbiamo il 91% del tempo pieno, con ovvie
conseguenze anche sociali sulle famiglie e sul lavoro femminile al sud.
Nel rapporto si dice che sono
aumentati i computer, ma poi la metà delle scuole italiane dovrebbero
chiudere perché non sono in regola con le norme di sicurezza. Non è una
delle tante e forti contraddizioni del sistema scolastico?
Non è solo una contraddizione. Dopo l’ennesima tragedia in una scuola,
il crollo del liceo scientifico Darwin di Rivoli nel novembre 2008,
dove perse la vita un ragazzo e molti altri riportarono ferite più o
meno gravi), Guido Bertolaso, allora capo della Protezione Civile,
indicò come somma necessaria per mettere in sicurezza gli edifici
scolastici, 13 miliardi di euro. Il PD aveva proposto l’utilizzo di
fondi a disposizione del ministero dell'Istruzione, fondi per 8
miliardi di euro, proposta presentata nella commissione Istruzione del
Senato e poi riproposta attraverso vari emendamenti alle ultime
finanziarie. Il governo di quei fondi necessari ne promise solo 300
milioni di euro e solo per 100 scuole in tutta Italia.
Giustamente e sottolineo giustamente, lo Stato pretende dal privato la
messa in sicurezza degli ambienti, richiede certificazioni, fa
controlli, mette in atto un pacchetto di misure che servono a garantire
che i locali privati siano sicuri, ma poi è inadempiente con se stesso,
pensiamo solo che oltre la metà delle scuole italiane non potrebbe
aprire i cancelli domani mattina. C’è da un lato la scuola della
lavagna luminosa che mostra con orgoglio la Gelmini in tv e dall’altro
lato la scuola dei calcinacci, quella delle nelle nostre città, quella
dei nostri figli.
Il rapporto di Tuttoscuola,
restituisce in termini numerici il fenomeno della dispersione
scolastica, e non solo nelle regioni meridionali, proprio mentre Europa
2020 chiede all'Italia di ridurre drasticamente questo fenomeno che ha
costi sociali e anche economici pesanti. Senza pretendere di risolvere
tutto con un impossibile colpo di bacchetta magica, cosa si potrebbe
fare per migliorare la situazione?
Intanto è utile capire bene l’entità del fenomeno portato alla luce dal
rapporto di tutto scuola: 190mila ragazzi ogni anno scolastico lasciano
la scuola, una parte di questi, compresa fra 60 e 70mila, si riscrive a
scuole private, ma rimane un numero alto, 120mila giovani che a 16 anni
circa non fa più nulla, non segue più nessun percorso formativo. Questa
è una sconfitta per tutto il Paese. Noi siamo gli unici in Europa (e
sestultimi in una graduatoria dell’abbandono scolastico, peggio di noi
ci sono la Turchia, e Malta per fare un esempio) a ridurre le ore di
inglese e di recupero, a non offrire nessun tipo di misura e intervento
che contenga il fenomeno dell’abbandono scolastico. Io ho insegnato per
16 anni e naturalmente sento costantemente i racconti e le impressioni
dei miei colleghi insegnanti, ebbene sono commenti desolanti.
Da una lettura dei dati del rapporto,
la stabilità del personale docente non è strettamente legata alla
qualità dei risultati ottenuti nelle classi, in termini di voti degli
studenti per esempio. E' indubbio, però, che quello del precariato dei
docenti è un buco del nostro sistema non solo scolastico, ma anche
sociale. Lei cosa pensa al riguardo?
Il problema è che non è entrato un giovane di ruolo nella scuola
italiana, non è stato aperto un concorso, nessun neo laureato (e quindi
giovane) è stato assunto nelle scuole italiane. Il messaggio che arriva
ai giovani è chiaro e grave: la scuola non è un posto di lavoro
rilevante, garantito e valorizzato. Non si aprirà nessun capitolo nuovo
se non attraverso una motivazione importante per i giovani. Se non
facendo passare un messaggio alternativo, con i fatti, non solo a
parole, che quella dell’insegnante è una professione di rilievo perché
gli è affidata la formazione delle nuove generazioni, la qualità
culturale e professionale dei giovani, in una parola del futuro del
Paese.
Che cosa possono e devono fare le
istituzioni per rilanciare il sistema scolastico, per restituirgli la
funzione ed il ruolo di "ascensore sociale" che gli assegna la
Costituzione?
Lo ribadisco: dare un messaggio chiaro nei fatti, che la scuola è una
priorità anche in termini economici, di investimenti, che dal piccolo
al grande comune, le spese per la scuole devono essere al primo posto
rispetto a tutto il resto, fra la scuola e una strada piena di buche,
si deve intervenire prima sulla scuola, poi sulla strada. E’ difficile,
certo, prevede un cambiamento e anche molto coraggio, ma dà un segnale
autentico e concreto.
Questo vale anche in casa nostra, anche nel PD deve essere chiaro e
forte questo messaggio. E poi, come dicevo, è necessario rimotivare i
docenti, valorizzare il loro lavoro: mi spiace per la Gelmini, ma io
credo che la qualità della scuola non la fanno i computer nuovi e le
lavagne luminose, ma gli insegnanti.
Chi è Antonio Rusconi
Antonio Rusconi, anni, è senatore eletto nelle file del Partito
Democratico in Lombardia. E' capogruppo PD in VII Commissione
Istruzione pubblica e Beni culturali, ed è membro del Gruppo di
collaborazione Senato-UNESCO. E' docente di italiano e storia in
un'istituto di Lecco. Per visitare il suo sito, clicca quiSitoVdocente
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Intervista di Milena Grieco
redazione@aetnanet.org