''I dati
comunicati dall'Invalsi, secondo cui il 98% delle 24.800 classi delle
scuole secondarie di II grado ha gia' inviato all'istituto i risultati
dei test, dimostrano che la partecipazione alle prove ha riguardato
pressoche' la totalita' degli studenti''.
Lo comunica una nota del Miur spiegando che ''per quanto riguarda le
scuole secondarie di I grado la percentuale e' ancora piu' elevata.
Tutte le voci e le notizie su un presunto rifiuto generale di sostenere
le prove Invalsi sono quindi smentite''. (ASCA)
INVALSI: UIL, malessere insegnanti e'
giustificato
(AGENPARL) - Quella di oggi è la giornata conclusiva delle prove
Invalsi. E’ possibile tracciare - sottolinea il segretario generale
della Uil scuola Massimo Di Menna - un breve bilancio di un’esperienza
che ha determinato un dibattito ampio e ha fatto registrare da parte
degli insegnanti un malessere più che giustificato.
I test e l’Europa
Il primo dato che è possibile rilevare è che le prove, i test, le
verifiche a livello nazionale per rilevare gli standard di
apprendimento si fanno in tutta Europa. sono sostanzialmente tre i tipi
di test nazionali: obbligatori, a campione e facoltativi. E’ la
Danimarca che si colloca al primo posto della classifica europea per
numero di prove con 11 test obbligatori. Malta è al secondo posto con 8
prove obbligatorie alle quali si aggiungo due test facoltativi ed è
l’unico paese in cui i risultati dei test servono a determinare la
promozione. Terzo posto per la Norvegia con 6 test obbligatori.
L’Italia (una prova obbligatoria negli esami di Stato al terzo anno di
istruzione secondaria inferiore e tre prove nella seconda e quinta
classe della scuola primaria, classe prima della secondaria di primo
grado, classe seconda della secondaria di II grado) si trova in una
situazione simile a quella della Francia (dove ad un test obbligatorio
nel primo anno dell’istruzione secondaria inferiore si aggiungono 4
prove a campione e una prova facoltativa.
I test e la burocrazia italiana
Sono almeno le due le criticità che fa rilevare il segretario della Uil
scuola: la prima è legata al sistema utilizzato. La seconda all’utilità
degli esiti. La prima cosa che balza agli occhi è che l’Italia spende
1/5 di quanto spende la Francia – fa notare Di Menna – per il proprio
sistema di valutazione. La seconda è data dal metodo seguito: a
dicembre, dopo la direttiva di luglio, il ministero ha comunicato che
si sarebbero fatti i test, limitandosi ad inviare alle scuole due
circolari. L’amministrazione ha ritenuto di aver svolto il proprio
compito scrivendo due circolari. Il resto scaricato sulle scuole e sui
docenti. Servirebbe modificare radicalmente il ministero: da ruolo
amministrativo a supporto tecnico-professionale alle scuole. Cambiano i
governi e i ministri ma questo aspetto rimane immutato. Una gestione
tutta burocratica – ammonisce Di Menna – nella quale il coinvolgimento
e il supporto all’innovazione (che ha aspetti connessi alla didattica e
alla valutazione degli alunni) è stato decisamente insufficiente. Non
più del 20% delle scuole – continua – ha effettuato azioni
propedeutiche ai test. E’ pesante dover ammettere che in alcune scuole
– insiste Di Menna – la professionalità degli insegnanti è stata
considerata al pari di ‘passa-carte’. Va poi rilevato che alcune
domande dei questionari sono di dubbia utilità.
I test, gli insegnanti e gli stipendi
Per la gran parte degli insegnanti – continua il segretario della Uil
Scuola – si è trattato, in ogni caso, di un momento di verifica, di
attenzione, di impegno. Impegno che è considerato utile per la crescita
dei ragazzi ma senza un adeguato supporto, né coinvolgimento, né
riconoscimento economico. L’Italia – commenta Di Menna – è all’ultimo
posto in Europa per la retribuzione dei docenti di scuola primaria: un
insegnante italiano guadagna 25.160 euro, poco meno della la metà dei
colleghi francesi (43.374 €) che sono i meglio pagati d’Europa. Al
secondo posto i tedeschi (42.052 €) e poi gli inglesi (40.845 €).
Penultimo posto per gli insegnanti italiani di scuola secondaria di
primo grado ((27.100 €) seguiti solo dalla Grecia, dove lo stipendio è
di 21.212 €. Primi i tedeschi che hanno uno stipendio quasi doppio
rispetto agli italiani (48.534 €) e poi gli inglesi (46.231 €) e i
francesi (45.729 €).
I test e le opinioni
Abbiamo assistito alla ‘saga delle dichiarazioni’ - commenta Di Menna -
dagli interventi degli esperti che hanno puntualizzato aspetti, anche
se di opinione diversa, interessanti, anche critici sulla utilità delle
rilevazioni con i test, a quelli dei politici che non hanno resistito
alla tentazione di trasformarsi in neo-pedagogisti-provetti. Siamo in
un mondo al contrario – aggiunge Di Menna - là dove la didattica, il
rapporto docente-studente, dovrebbero essere centrali, la massima
preoccupazione sembra essere quella della verifica del rispetto delle
procedure. La priorità rimane il sostegno alla scuola pubblica.
L’esperienza americana dovrebbe insegnarci qualcosa: quando gli
studenti statunitensi hanno ottenuto risultati negativi si è passati ad
una gestione ‘privatistica’ dell’istruzione. La conclusione è che,
invece di migliorare, gli apprendimenti sono peggiorati ulteriormente.
I test e la loro utilità
A che cosa servono le rilevazioni? E’ una domanda cui va data risposta
– continua Di Menna - perché ci vuole anche un ‘dopo’. Che utilizzo si
fa dei risultati delle rilevazioni, che tipo di interventi si possono
programmare alla luce di tali risultati. Bisogna dare un senso al tutto
altrimenti è solo un aggravio di lavoro – ammonisce Di Menna. Occorre
una rivoluzione galileiana che riporti centralità alla didattica, agli
apprendimenti, alle scuole, alla professionalità degli insegnanti,
all’impegno degli studenti. Come realizzare tale coinvolgimento? Il
ministero affronti ora per il prossimo anno scolastico, aprendo un
confronto con i sindacati rappresentativi degli insegnanti, tutto ciò
che si può fare per correggere gli errori, per supportare scuole e
insegnanti, per semplificare le procedure perché la fase della
rilevazione nazionale degli apprendimenti va portata all’interno della
normale attività didattica. Gli esiti dei test debbono avere una
finalità concreta, per interventi mirati, per innalzare la qualità
nelle situazioni di maggiore criticità definendo, con una ampia
consultazione, la tipologia degli interventi.
E’ del tutto evidente che al di là dell’importanza delle prove
nazionali ciò che conta è rappresentato dalle misure che il Governo
intende prendere a sostegno delle scuole e del personale anche sulla
base dei risultati delle prove. In ogni caso il ruolo degli insegnanti,
il loro coinvolgimento, la loro condivisione, in quanto soggetti
centrali nell’attività didattica, è fuori discussione. E tanto più
prevale, per il modo in cui vengono gestiti, una sorta di “obbligo
fastidioso”, tanto più si ritarda l’innalzamento della qualità del
nostro sistema scolastico, in quanto le risorse per migliorare gli
standard sono gli insegnanti. La Uil insisterà nei confronti del
Governo, terminate le prove, per aprire un vero confronto su tale
aspetto.
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