La scuola è ancora
uno dei pochi luoghi in Italia dove si riesce a coniugare correttamente
il verbo integrare con naturalezza e intelligenza. Uno spazio “unico”
dove stanno insieme ragazzi di diverse nazionalità e culture, dove
convivono serenamente etnie e religioni diverse. E non per “regole
imposte” e calate dall’alto, o per mera organizzazione, ma perché nella
scuola abita, semplicemente, la gioventù, lo stupore e l’innocenza dei
giovani, la loro forza e la determinazione, la loro spinta
rivoluzionaria e la delicatezza. Perché i giovani vivono la diversità
come ricchezza, come occasione di crescita e di arricchimento
reciproco, e non come un problema “imposto dalla storia” o come
“tsunami umano”. Nella mia classe, ad esempio, vedo con emozione una
spigliata ragazza d’origine marocchina che fa la corte ad un ragazzotto
timido lombardo, un ragazzo albanese, tra i più bravi della classe ed
una ragazza indiana, attenta ed educata, e non esistono diversità di
colori e di bandiere e del verde “leghista”…nemmeno l’ombra!
D’altronde, anche in sala docenti, si vede un insegnante siciliano che
racconta dei sentieri etnei della Valle del Bove al collega montanaro
bresciano, innamorato delle sue Alpi Retiche e della Val Camonica.
Per questo, alla recente storia di Jamila, la ragazza d’origine
pakistana, saltata agli onori della cronaca locale bresciana, qualche
giorno fa, e diventata ormai un caso nazionale, perché costretta dai
suoi familiari a restare a casa perché “troppo bella”, preferisco
raccontare, invece, le storie, semplici e normali, di Hanu, di Riger,
di Joan, dei ragazzi della mia classe, altrettanto belli ed educati,
che studiano e sognano “in italiano”.
Ma è la dimensione dell’emigrazione che deve essere riconsiderata,
della condizione del migrante per lavoro, per una vita migliore, per un
futuro diverso. Bisogna ridisegnare i termini dell’integrazione e della
solidarietà, rimodulare le leggi e la morale, ridefinire i confini
etici della nostra società. E l’Europa e le organizzazioni
internazionali non possono solo vietare, imporre sanzioni ed embarghi,
o peggio, sganciare bombe ed esportare odio in cambio di “democrazia”.
Occorre un vero salto di civiltà, un diverso ordine internazionale, una
nuova stagione di cooperazione e di sviluppo internazionale.
Per questo occorre, più politica, più cultura, più istruzione. Altro
che tagli!
"Come si può capire chi è il migrante se non si è mai saliti su di un
treno di notte, attraversando, stazioni dopo stazioni, la città della
speranza? – Mi ricorda il mio caro collega, Antonio Ferrieri – Il
viaggio fisico evoca, inequivocabilmente, un viaggio interiore in cui
la storia si in-scrive nel suo divenire. Realismo sfacciato,
esposizione orizzontale ai sfregi, senza ripari, senza rinunce. La
geografia della miseria è un’onda minacciosa che corre veloce ai piedi
scalzi dei popoli che la fuggono. Eppure, anche noi un giorno fuggimmo,
ma la memoria storica è una legna che va sempre arsa. Ma è inutile
parlare di ciò che fummo, l’estensione del nostro sguardo ha una
proiezione frontale, fa luce solo sul davanti. – Prosegue Ferrieri –
Non esistono culture inferiori o superiori rispetto ad altre. Non
esistono culture d’avanguardia e culture terzomondiste. La natura ci ha
voluti diversi, non per punirci, ma per valorizzare, nell’incontro, la
specificità di ognuno".
"Migrare – ci ricorda Armando Gnisci, nel suo libro, “Creolizzare
l’Europa” – è il gesto trascendente dell’esaltazione di sé, contro la
zavorra discendente della disperazione. Il migrante, per questo, ha
diritto al rispetto più alto. Il migrante si procura e si rimette in
gioco un nuovo destino, facendo così in modo da non diventare un
dannato della sua terra. Ecco perché migrare è l’atto estremo della
dignità e del coraggio. Egli si sta giocando, in ogni attimo, la vita,
davanti ai nostri occhi, di noi che non ci giochiamo niente se non
qualche imprevisto, in un viaggio turistico".
Negli anni settanta, Antonello Venditti, cantava, “a mezzogiorno,
finita la scuola, Nietzsche e Marx si davano la mano”, adesso, invece,
siamo noi che parliamo di letteratura con gli arabi e compriamo la
pizza dagli indiani, mentre, Odino va a spasso con Zeus e il dio Thor
fa l’amore con Venere, nel mondo incantato di Asgard. E nelle nostre
aule scolastiche, il cinese e il rumeno parlano bresciano e studiano i
verbi irregolari e la storia d’Italia.
Così va il mondo, anche quassù, nella bassa padana ed è questa la più
bella lezione di vita che Hanu, Riger e Joan, mi danno ogni mattina.
Angelo
Battiato (inviato speciale a Brescia)
angelo.battiato@istruzione.it