Decreto sviluppo:
norma interpretativa o innovativa?
E’ quanto ci si chiede ad una prima lettura del decreto approvato dal
Consiglio dei Ministri nella seduta del 5 maggio 2011.
Mi riferisco in particolare all’art. 9, comma 19, del d.l., che - nel
rafforzare il divieto di trasformazione dei contratti da tempo
determinato a tempo indeterminato in attuazione dell’accordo quadro
europeo in subiecta materia - introduce un’interpretazione autentica
della legge 124/99 (art. 4, comma 14-bis).
Sarà utile riportare il testo della norma “interpretata":
14-bis. I contratti a tempo determinato stipulati per il conferimento
delle supplenze previste dai commi 1, 2 e 3, in quanto necessari per
garantire la costante erogazione del servizio scolastico ed educativo,
possono trasformarsi in rapporti di lavoro a tempo indeterminato solo nel caso di immissione in ruolo, ai
sensi delle disposizioni vigenti e sulla base delle graduatorie
previste dalla presente legge e dall'articolo 1, comma 605, lettera c),
della legge 27 dicembre 2006, n.296, e successive
modificazioni».
Secondo
la norma interpretativa, invece,
19. Il comma 14-bis dell’articolo 4 della legge 3 maggio 1999, n. 124
si interpreta nel senso che i contratti a tempo determinato stipulati
per il conferimento delle supplenze del personale docente e
Amministrativo, Tecnico ed Ausiliario (ATA), in quanto necessari per garantire la
costante erogazione del servizio scolastico ed educativo, non possono
in alcun caso trasformarsi in rapporti di lavoro a tempo indeterminato,
né consentire la maturazione di anzianità utile ai fini retributivi
prima della immissione in ruolo, da attuarsi, sulla base delle
graduatorie previste dalle disposizioni vigenti, esclusivamente su
posti vacanti e disponibili, previa procedura autorizzatoria di cui
all’articolo 39, comma 3-bis, della legge 27 dicembre 1997, n. 449 e
successive modificazioni.
Come si vede, l’inciso relativo alla questione del non riconoscimento
dell’anzianità maturata è del tutto estraneo sia al testo che ad ogni
possibile interpretazione del medesimo.
Si tratta, dunque, con ogni evidenza,
di norma innovativa, piuttosto che interpretativa e - in quanto tale -
non suscettibile di applicazione retroattiva.
La giurisprudenza ha da tempo chiarito che perché una norma possa
definirsi di interpretazione autentica, non è sufficiente la sua
autoqualificazione.
“Affinché una norma interpretativa, e
quindi retroattiva, possa essere considerata costituzionalmente
legittima, è necessario che la stessa si limiti a chiarire la portata
applicativa di una disposizione precedente, che non integri il precetto
di quest’ultima e, infine, che non adotti un’opzione ermeneutica non
desumibile dall’ordinaria esegesi della stessa” (C.d.S., sez. V, 2
luglio 2002, n. 3612); “l’efficacia retroattiva della legge di
interpretazione autentica è soggetta al limite del rispetto del
principio dell’affidamento dei consociati nella certezza
dell’ordinamento giuridico, con la conseguenza dell’illegittimità
costituzionale di una disposizione interpretativa che indichi una
soluzione ermeneutica non prevedibile rispetto a quella affermatasi
nella prassi (Corte Costituzionale 27 novembre 2000, n. 525)”.
(Consiglio di Stato - n. 872/2005).
La recente sentenza della Corte Costituzionale sulla vexata quaestio
dell’inserimento “a pettine” (n. 41 del 7 febbraio 2001) è tornata
sulla questione, ricordando che “per quanto attiene alle norme che
pretendono di avere natura meramente interpretativa, la palese
erroneità di tale auto-qualificazione (ove queste non si limitino ad
assegnare alla disposizione interpretata un significato già in essa
contenuto e riconoscibile come una delle possibili letture del testo
originario), potrà costituire un indice di manifesta irragionevolezza
(ex plurimis, sentenze n. 234 del 2007, n. 274 del 2006).
“Dal raffronto dei due testi normativi
deve escludersi il carattere interpretativo dell'art. 1, comma 4-ter,
del d.l. n. 134 del 2009, in quanto esso non individua alcuno dei
contenuti normativi plausibilmente ricavabili dalla disposizione
oggetto dell'asserita interpretazione”.
“La norma impugnata ha, dunque, una portata innovativa con carattere
retroattivo, benché si proponga quale strumento di interpretazione
autentica”.
Come si ricorderà, la Suprema Corte, su tali basi, ha decretato
l’illegittimità costituzionale della legge per manifesta
irragionevolezza.
E’ facile immaginare, pertanto, che
l’introduzione della norma citata - lungi dal risolvere la questione
del precariato - è destinata ad alimentare ulteriore contenzioso.
Avvocato Francesco
Orecchioni
http://www.dirittoscolastico.it/