Il dibattito che si
è aperto su queste pagine a proposito di precariato e reclutamento si
arricchisce ora della notizia di un piano triennale di assunzioni in
ruolo (2011-2013). Sindacati, politica e amministrazione sono in
fermento su tutti i punti che riguardano il personale docente (e più in
generale tutto il comparto scolastico). Se la manovra che si sta
aprendo prelude ad una strategia nuova che intende valorizzare i
compiti che il docente si assume, per vocazione e scelta professionale,
quando entra nella scuola, lo si saprà nel prossimo periodo. È
imprescindibile nell’immediato riflettere sul fatto che le due maggiori
aspettative in campo, anziché comporsi, minacciano di scontrarsi
mettendo a rischio l’intera operazione.
Il primo elemento di tensione è rappresentato dall’esercito dei
precari che ambiscono al posto fisso e che sono inseriti nelle
graduatorie provinciali ad esaurimento. Secondo i dati ministeriali
2009/2010 i docenti a tempo determinato, comprendenti i supplenti
annuali, i supplenti temporanei e gli insegnanti di religione a tempo
determinato, sono oltre 190mila.
La seconda forza è rappresentata da tutti coloro che, avendo già
maturato i requisiti, aspirano all’abilitazione, senza la quale oggi in
Italia non è possibile esercitare la professione docente: si tratta di altre 200mila persone,
tra laureati in discipline attinenti l’insegnamento e docenti non
abilitati che insegnano senza abilitazione (anche da alcuni anni).
Ora, le graduatorie permanenti degli
abilitati sono state dichiarate ad esaurimento (quindi teoricamente
chiuse), mentre sul versante del percorso abilitante dei nuovi docenti,
dopo la chiusura delle SSIS avvenuta nel 2008, ancora non è attuativo
il regolamento sulla formazione iniziale.
In teoria i diritti degli uni e quelli degli altri non dovrebbero
entrare in conflitto: il sistema è in grado di assorbire circa 20/30 mila docenti nuovi per anno
scolastico (anche di più, come dimostreremo più avanti e come
hanno concordato governo e sindacati) per
cui tanti potrebbero essere gli ingressi in ruolo nel 2011/2012 e
altrettanti i nuovi abilitati che concluderebbero il loro
percorso iniziale di ingresso nella professione, non tanto per
inserirsi nelle graduatorie permanenti (che sono e devono restare ad
esaurimento), quanto per mettersi in pista nel sistema pubblico di
istruzione (statale e non statale) e far valere in vario modo il titolo
acquisito.
Le cose purtroppo non stanno così e il
conflitto è latente. Lo prova il caso delle cosiddette
immissioni “a pettine”, riguardanti i docenti che all’atto
dell’aggiornamento delle graduatorie, previsto dalla legge e ormai
imminente, chiedono di occupare nella graduatoria ad esaurimento la
posizione che loro spetta in base al punteggio maturato, senza code. La
volontà della Corte costituzionale di salvare un diritto (alla mobilità
da una provincia all’altra) ne mette di fatto a repentaglio altri due:
quello di coloro che nel frattempo sono stati nominati in ruolo nel
2009/2010 sulla base di graduatorie che ora dovranno essere rifatte e,
di riflesso, quello di coloro che attendono ancora di abilitarsi.
Si attende a breve l’uscita del decreto sull’aggiornamento delle
graduatorie che dovrebbe sancire, pur con alcune misure restrittive, la
possibilità di inserimento “a pettine” in una provincia diversa da
quella di iscrizione. Le restrizioni rilevanti concernerebbero
l’aggiornamento delle graduatorie, che diverrebbe triennale, e
l’obbligo per i nuovi immessi in ruolo di permanere sul posto per
almeno 5 anni. La Cgil si oppone ad
ogni mediazione e con lo sciopero del 6 maggio chiede, tra le altre
cose, la stabilizzazione di tutto il personale precario (100mila
persone). In pratica una “mission impossible”.
Ben diversa la posizione della Uil Scuola che, tramite il segretario
nazionale Di Menna, propone l’immissione in ruolo sui posti vacanti e
l’avvio di nuovi concorsi per le graduatorie esaurite. In qualche modo,
questa linea riprende quella avanzata da Max Bruschi, per cui si renderebbe necessario aprire una
fase concorsuale altamente selettiva per una platea costituita
esclusivamente dal personale abilitato, la maggior parte del quale si
presume inserito in una qualche graduatoria. L’effetto in tal
modo ottenuto sarebbe quello di mettere a concorso dei posti realmente
vacanti (il 50% di quelli disponibili), lasciando in appannaggio allo
scivolamento in ruolo dalle graduatorie il restante 50%. Soluzione
utile forse a sgretolare la monoliticità delle graduatorie ad
esaurimento, ma che penalizza pesantemente i giovani neolaureati in
attesa di entrare nella scuola.
La proposta dell’avvio di una fase concorsuale non è da scartare a
priori, purché siano chiare alcune condizioni previe che
consentirebbero di superare i limiti entro i quali essa è circoscritta,
definiti appunto dall’obiettivo di concentrarsi solo sulle graduatorie
degli abilitati per progressivamente depotenziarle. Se il ministro Gelmini indicava in un lasso
di tempo di 7/8 anni il periodo necessario ad avere ragione del
precariato “regolare”, si può presumere che lo stadio concorsuale lo
possa accorciare di due, massimo tre anni.
Nel frattempo, da oggi allo svuotamento totale delle
graduatorie, chi volesse abilitarsi dovrebbe attendere. Ecco perché la
proposta di Bruschi (concorso per gli abilitati), nel caso venisse
attuata, rischierebbe di mettere ancora in stand by il regolamento
sulla formazione iniziale, pur in presenza del primo decreto
applicativo (n.139, emanato il 4 aprile), attualmente in esame presso
la Corte dei Conti.
Bisogna invece studiare una misura
che, evitando inadeguate scorciatoie ope legis, contemperi nello stesso
tempo assorbimento del precariato e percorso abilitante. In che modo?
1. Anzitutto, come da alcune parti è stato fatto presente, una parte
dei posti che vengono assegnati dagli uffici dell’amministrazione in
organico di fatto, dopo il termine delle iscrizioni, potrebbe essere
messa a disposizione da subito in organico di diritto. Se la
disponibilità dei posti in organico di fatto fosse limitata al solo 10%
(anche riducendo significativamente i passaggi di ruolo e di cattedra),
il numero dei posti da mettere a ruolo
salirebbe di circa 10/12mila posti: si arriverebbe a 30/40mila cattedre
disponibili per l’anno prossimo. Di queste, come da norma, il 50%
resterebbe disponibile per le graduatorie ad esaurimento, mentre alle
altre forme di assunzione andrebbero le altre 40mila cattedre.
2. Quali altre forme di immissione in ruolo per l’immediato, in attesa
che vadano a regime le nuove lauree magistrali per l’insegnamento?
Sicuramente non sanatorie spicciole, ma forme concorsuali, che tengano
conto, anzitutto, del fatto che il Tirocinio Formativo Attivo (TFA)
transitorio, consistente di un percorso di studi e di verifica
attitudinale, con prova di accesso impegnativa (tre prove) ed esame di
valenza accademica conclusivo, è già di fatto un concorso vero e
proprio.
Nulla vieterebbe di pensare allora al
“secondo” 50% distribuito in questo modo: da una parte, prova
concorsuale riservata per l’immissione in ruolo nelle cattedre delle
classi di concorso esaurite (un terzo delle graduatorie risultano
esaurite: un numero davvero consistente), magari utilizzando una forma
concorsuale simile a quella del TFA così come individuata per coloro
che sono in servizio; dall’altra, assimilazione in via eccezionale del
TFA ad una prova che porti ad un rapporto a tempo indeterminato nella
specifica cattedra per la quale è stato effettuato il percorso.
In quest’ultimo caso, tuttavia, il concorso potrebbe essere bandito
dalla scuola autonoma stessa o da reti di scuole, nelle quali il
candidato abilitato si impegna a restare per un certo numero di anni
(almeno cinque).
Niente di nuovo sotto il sole: esiste già l’esempio delle scuole
Rinascita-Livi di Milano, il cui organico funzionale è reclutato per
convocazione dalla scuola tra i docenti abilitati che hanno svolto il
tirocinio presso l’istituto e stabilizzato sulla cattedra dopo un anno
di utilizzo. Risolvere i problemi è meno complicato di quanto sembra,
basta tenere conto dell’esistente e di tutti i fattori in gioco.
(di Fabrizio Foschi da www.ilsussidiario.net)
redazione@aetnanet.org