Scommettere
sul successo formativo degli studenti e su una crescita intelligente
basata su un’economia della conoscenza e dell’innovazione, come
sollecita l’Europa, significa innanzitutto puntare ad una nuova
professionalità dei docenti. Chi opera nel settore educativo sa bene
infatti che qualsiasi riforma, anche la più ambiziosa, può risultare
inefficace se a realizzarla non ci sono docenti capaci di operare i
mutamenti che i cambi di paradigma richiedono. Ed è per questo che ad
ogni Legislatura ricorre, con sempre maggiore urgenza, il tema della
formazione iniziale ed in servizio dei docenti e soprattutto quello del
reclutamento.
Come è noto, nella Legislatura in corso si è legiferato sulla
formazione iniziale completando e rafforzando la formazione
universitaria dei docenti che fino a qualche anno fa è stata portata
avanti dalle Siss. Un intervento opportuno e di grande spessore che,
una volta a regime, rilancerà, sul piano professionale, la figura del
docente della scuola italiana.
Rimando al dibattito favorito da Ilsussidiario.net per gli
approfondimenti sulla nuova formazione iniziale. Mi interessa
sviluppare, al contrario, ciò che manca ancora alla costruzione della
nuova generazione di docenti: le modalità di un reclutamento degli
stessi coerente con la formazione iniziale prospettata dalle nuove
norme. Reclutamento che non può certamente avvenire attraverso la
modalità dei concorsi, così come, davvero inaspettatamente dal mio
punto di vista, ha auspicato il consigliere Max Bruschi proprio da
queste pagine.
Proporre una determinata modalità di reclutamento dei docenti implica
che si abbia, prima, un’idea del profilo professionale, visto che
reclutare vuol dire, in primo luogo, accertarsi che il candidato
all’insegnamento disponga delle competenze-chiave necessarie per
l’esercizio della sua professione. In giro per il mondo sono stati
compilati o dai governi o da associazioni professionali di docenti
molti cataloghi delle competenze-chiave, che costituiscono, ad opinione
degli estensori, le tessere essenziali e necessarie del profilo
professionale. Così il National Board for Professional Teaching
Standards, Nbpts (Associazione professionale indipendente americana) ne
elenca cinque, il ministero francese dell’Educazione ben dieci,
l’Unione europea più o meno lo stesso numero, altri numeri forniscono
gli Svizzeri, i Giapponesi, i Finlandesi ecc. La Conferenza del
febbraio 2005 dedicata dal ministero dell’Istruzione italiano ai dati
Ocse-Pisa ne elencava tre. Si può sensatamente sostenere che questa
oscillazione dipenda più dalla decisione di entrare molto o poco nei
dettagli che dalla sostanza.
Il core della professione si può sintetizzare agevolmente nelle cinque
competenze-chiave del Nbpts: 1. possesso del sapere disciplinare e
neuro-psico-pedagogico; 2. capacità di mediazione didattica; 3. doti e
abilità di relazione con i ragazzi e con l’ambiente; 4. capacità di far
parte di una comunità tecnico-professionale; 5. capacità di
autoriflessione e autocomprensione professionale e di autocollocazione
nel mondo.
“Competenze-chiave” significa che se ne manca anche solo una, il
profilo professionale del candidato non è completo; in questo caso il
candidato perciò non è idoneo alla professione. L’acquisizione delle
competenze-chiave per insegnare avviene attraverso itinerari diversi, e
l’accertamento del possesso delle medesime da parte del candidato si
realizza con procedure e strumenti coerenti con l’oggetto.
La prima competenza è quella della conoscenza della disciplina, della
didattica della disciplina e delle scienze necessarie per comprendere
natura e dinamiche evolutive delle persone sedute nei banchi. È
l’università che la fornisce, e pertanto è l’università che ne
certifica il possesso attraverso esami e laurea. Quanto alle competenze
numero 2, 3 e 4, si acquisiscono sul campo, cioè nelle scuole,
attraverso forme di tirocinio e di praticantato. È, del resto, quanto
prevede il nuovo Regolamento per la formazione del personale docente.
La n. 5 la forniscono processi di formazione, di aggiornamento
culturale, di autoformazione e, soprattutto, l’esperienza concreta di
uomo, di cittadino e di professionista.
Che poi la procedura di riconoscimento finale della laurea magistrale
abbia finito per consegnare alle università un ruolo debordante nel
giudizio finale è noto. Tuttavia, si spera che il buon senso prevalga,
al di là delle procedure formali, e che le università tengano conto del
giudizio che proviene dal campo di esercizio e di acquisizione, quello
appunto delle scuole. Il possesso delle competenze 2-3-4 è accertato
dal tutor o insegnante esperto - che segue passo passo l’esperienza
scolastica del candidato - attraverso l’osservazione diretta, i
colloqui, i giudizi dei colleghi, dei genitori, dei ragazzi. La laurea
magistrale è la risultante dei giudizi delle università e delle scuole.
L’ipotesi di tornare al concorso come modalità di selezione del
personale docente, che fu a suo tempo caldeggiata dal ministro Fioroni
- che si fece affidare una delega - e mai realizzata, presenta non
poche controindicazioni, tutte peraltro, che sconfessano le scelte fin
qui operate dal ministro Gelmini.
La prima è che il concorso è in grado di accertare, attraverso prove
scritte e orali, eventualmente solo il possesso della prima competenza.
E lì si ferma. Chi ha fatto a suo tempo i concorsi di abilitazione e di
ruolo può testimoniarlo direttamente. Il concorso conferma che si
conoscono i contenuti disciplinari da insegnare, ma nulla dice circa
l’effettiva capacità didattica, relazionale, ecc. posseduta dal
candidato. Sostenere che il concorso garantirebbe il reclutamento di
qualità suona pertanto affermazione audace e improvvida assai. A meno
che...
A meno che si abbia in mente l’antico insegnante gentiliano, di cui si
ha una confessata nostalgia, e che è stato l’insegnante della nostra
adolescenza (donde, forse, la nostalgia!). Vi sono poi tutte le altre
controindicazioni, che riguardano i tempi biblici di svolgimento di
mega-concorsi, l’ingestibilità organizzativa, e soprattutto il
carattere di quasi-sanatorie, se vengono “riservati”.
È giunto, al contrario, il momento di puntare su una moderna e
riconosciuta professionalità dei docenti che deve essere costruita
attraverso la formazione iniziale universitaria e successivamente
valutata, ricondotta al merito, sostenuta e premiata dalle scuole
autonome che devono poter responsabilmente entrare nel circuito della
gestione delle risorse umane (oggi gestita burocraticamente e
centralmente attraverso punteggi e contenziosi) per garantire quel
valore aggiunto che solo docenti preparati e qualificati sanno dare ad
ogni singola scuola.
Ovviamente, sappiamo bene che le nuove norme non potranno ignorare i
diritti acquisiti dei docenti precari o dei docenti non abilitati in
servizio nelle scuole, ma proprio per questo, accanto alle assunzioni
programmate o da autorizzare, è opportuno prevedere altri e più
professionali canali di reclutamento per i docenti che si formeranno
secondo i nuovi percorsi universitari. Penso ad Albi regionali per gli
abilitati post-formazione universitaria e a procedure di assunzione da
parte di reti di scuole, in grado di valutare per ogni scuola il
docente migliore.
Sappiamo che non sarà facile, ma abbiamo il dovere di provare a
formulare ipotesi innovative e più internazionali, prima di ricadere
nella trappola delle formule già sperimentate e ampiamente
fallimentari, ma soprattutto non più coerenti con le selezioni già
previste nelle diverse fasi della prolungata preparazione universitaria
per l’accesso all’abilitazione.
he il ministro Gelmini sia attenta a nuove modalità di reclutamento è
noto, visto che in più occasioni pubbliche ha fatto riferimento
esplicito alla volontà di superare i vecchi schemi burocratici ed
introdurre sistemi basati sul merito che prevedano valutazione continua
e possibilità di carriera.
Credo, dunque, che il dibattito sul reclutamento debba abbandonare la
sbrigativa formula del concorso e concentrarsi su come introdurre anche
nel nostro Paese modalità maggiormente in sintonia con
l’autodeterminazione delle scuole autonome e che si coniughi con una
nuova e riconosciuta professionalità dei docenti, nel senso di
realizzare una comparazione bilaterale fra l’intero percorso di studi,
di ricerca e professionale del docente aspirante e la proposta
formativa di ciascuna scuola.
In questa direzione intendo spendermi sia come esponente della
maggioranza, ma soprattutto come Presidente della Commissione Cultura
della Camera. (da www.ilsussidiario.net di Valentina
Aprea)
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