La
valutazione degli studenti è attualmente oggetto di sperimentazione e
dibattito in Italia. In Inghilterra, un sistema di valutazione basato
in larga parte su prove oggettive esiste da lungo tempo. Cosa comporta
questo per l’insegnante e per lo studente? È veramente auspicabile
basarsi solo sullo “standard”? Che valore assegnare al punto di vista
dell’insegnante?
Premetto che in questo articolo non troverete alcun commento specifico
su come le prove Invalsi sono compilate: onestamente, non ne so
abbastanza. Il mio punto di vista è quello di un insegnante italiano
che, dopo un paio d’anni di precariato in Italia, si è abilitato in
Inghilterra e ha deciso di rimanere a insegnare per un po’ nella
periferia nord-est di Londra, in attesa che in patria tornino tempi
migliori.
Insegna presso la Walthamstow Academy, una scuola del sistema statale
inglese in un'area multietnica e socialmente problematica di Londra.
Due anni di precariato in Italia, abilitazione a York (UK), tre anni di
insegnamento a Londra. Insegnante per vocazione, crede nello scambio di
esperienze e risorse educative a livello europeo. Sogna una scuola
capace di "fare la differenza".
Qui in Inghilterra un meccanismo di
valutazione “oggettiva” è in vigore ormai da decenni. I titoli
di studio sono riconosciuti da organismi indipendenti chiamati “exam
boards”. In molti casi, soprattutto nelle materie più “accademiche”
(Inglese, Matematica, Scienze, Storia etc.) questo riconoscimento si
svolge sulla base di prove oggettive: test
scritti che vengono inviati alla scuola il giorno della prova e
corretti esternamente. Questo focalizza l’insegnamento sui
contenuti di tali prove (che la exam board deve rendere pubblici) e
sulle specifiche abilità richieste per superare quel tipo di esami.
Sgombriamo il campo da un equivoco che mi sembra ancora diffuso in
Italia.
I test Inglesi non sono semplicemente
“quiz” o “risposte multiple” in cui sia possibile affidarsi al caso.
In
un esame “Advanced Level” di Chimica o Biologia (le mie materie), il
grosso delle domande è a risposta aperta e richiede al candidato di
formulare definizioni rigorose, elaborare spiegazioni usando specifiche
relazioni causa-effetto, applicare quello che ha studiato a una
situazione complessa e non familiare che gli viene presentata tramite
un brano o un set di dati, esprimere opinioni su argomenti in cui la
conoscenza del programma non è sufficiente, ma serve una certa cultura
generale e uso del ragionamento.
Il tutto viene svolto in un silenzio di tomba, senza alcuna possibilità
di chiedere chiarimenti al proprio insegnante – che, anzi, deve
lasciare la stanza quando la prova è stata consegnata – e in un tempo
decisamente limitato. Gli elaborati
sono portati via il giorno stesso, corretti anonimamente e sottoposti a
moderazione. Qualche mese dopo, la exam board invia a scuola le buste
chiuse con i risultati.
Tutto bene, allora? Dipende... Indubbiamente questo sistema fa
selezione. Bisogna vedere se fa una selezione “corretta” e “giusta”.
Un paio di mesi fa sono stato a una conferenza tenuta da Paul Black,
studioso di Scienza dell’Educazione. Questo ricercatore è conosciuto in
tutto il Regno Unito per le sue ricerche nel campo della valutazione,
particolarmente sul modo in cui la valutazione influisce sui progressi
futuri dello studente. L’esperto
metteva in dubbio l’efficacia delle prove “oggettive”, non tanto nel
mettere in gioco competenze avanzate (vedi sopra) quanto nel comparare
accuratamente (oggettivamente, appunto) la preparazione di diversi
studenti. Tale comparazione oggettiva – meritocratica! – costituisce,
nel sistema inglese, la ragion d’essere delle prove oggettive. Solo chi
ha A* (il nostro massimo voto) in tutte le materie può fare domanda a
Oxford e Cambridge con qualche speranza di essere preso in
considerazione!
Black sosteneva – dati alla mano – che il giudizio dell’insegnante PUÒ
essere molto più accurato del numero di punti che il ragazzo riesce a
totalizzare in una prova “standardizzata”. Perché allora non utilizzare
questo giudizio come punto di partenza?
Perché è un giudizio soggettivo, risponderebbero molti inglesi, e come
tale sottoposto a influenze di vario genere. Per ovviare a questo Black
suggerisce che l’insegnante raccolga “prove” (elaborati di vario genere
prodotti dallo studente) a sostegno del suo giudizio. Successivamente,
gli insegnanti della stessa scuola e di diverse scuole dovrebbero
confrontare e moderare il loro giudizio secondo criteri di verifica
validi per tutti. Questa cosa mi ricorda irresistibilmente la
commissione di un esame di maturità...
Insegnare in Inghilterra mi dà spesso la sensazione di trovarmi
nell’estremo opposto. Qui si valuta
in modo assolutamente “oggettivo” e ci si pone il problema di rischiare
un po’ di “soggettività” per guadagnarci in accuratezza della
valutazione e in efficacia del feedback. L’Italia è esattamente
dall’altra parte dello spettro.
Cosa ne penso io? A volte vorrei un po’ più di libertà
nell’identificare i contenuti da trattare e il modo in cui valutarli.
D’altra parte, quando insegnavo in Italia mi sentivo molto abbandonato
a me stesso nel fissare i criteri di valutazione e nell’applicarli. A
volte avevo l’impressione che i voti che davo riflettessero
semplicemente il mio convincimento soggettivo, facilmente influenzabile
– lo ammetto senza problemi – da un insieme di fattori: l’atteggiamento
e l’impegno del ragazzo, la sua abilità comunicativa etc. Non parliamo
poi del rischio di disparità di trattamento fra diverse scuole o
diverse aree del Paese. Di fronte a questo mi sembra molto utile poter
fare riferimento a un set di criteri condivisi da tutti.
C’è un altro vantaggio delle prove “oggettive” che però dipende molto
da come sono utilizzate. Se gli standard richiesti nella prova sono
seri, questo sistema dà modo di insegnare la propria materia in modo
molto approfondito di fronte a ragazzi decisamente più motivati che in
Italia. L’esame stesso non è un rito
stanco che si limiti a sancire quello che è stato l’andamento
scolastico del ragazzo negli anni precedenti. Un voto più alto si
traduce in più ampie possibilità di scelta e migliori prospettive di
vita.
Questo fatto responsabilizza molto di più i ragazzi e il loro
insegnante. Alcuni ragazzi che sono stati miei alunni l’anno scorso,
provenienti da un background decisamente svantaggiato, per aver
studiato con serietà e motivazione, adesso sono in alcune delle
università migliori del Regno Unito. Mi ricordo, esattamente un anno fa
prima dei loro esami finali, il loro impegno e il mio impegno (diciamo
anche uno stress pazzesco!) perché questo fosse possibile. Se ripenso
alla classe di maturità della prima scuola dove ho insegnato in Italia,
il contrasto è stridente. Quei ragazzi erano ottime persone, alcuni
erano particolarmente intelligenti dal punto di vista scolastico e con
qualcuno sono ancora in contatto e in amicizia. Tuttavia, il sistema li incoraggiava a
impegnarsi poco, nella consapevolezza che il loro impegno non avrebbe
fatto grande differenza.
C’è da dire, però, che non tutte le prove inglesi sono “di alto
profilo”. Il titolo di GCSE, che viene rilasciato a sedici anni sulla
base di esami separati per materie, tende a diventare di anno in anno
più semplice, almeno nella mia materia. Dietro a questo ci sono le
pressioni dei governi in carica, ciascuno dei quali vuole poter dire
che, sotto la sua amministrazione, i risultati medi su scala nazionale
sono migliorati. Alcuni ne fanno addirittura una questione di equità
sociale: dare un voto buono o ottimo a più persone aiuterebbe a colmare
il gap fra i diversi background di censo, culturali, etnici etc.
Il fatto è che, abbassando il livello
di queste prove intermedie, si rende ancora più arduo il salto con il
livello successivo. In questo modo si avvantaggiano gli alunni di
scuole private elitarie che possono permettersi di insegnare “al di là”
del programma, preparando i ragazzi per gli esami che contano davvero.
Nella conferenza di cui sopra, qualcuno degli intervenuti argomentava
che la scuola non può farsi carico di tutte le ingiustizie sociali.
Vero, ma magari non può neanche lavarsene completamente le mani.
(di Marco Martinelli da Educazionepuntozero)
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