Infine a scuola c'è
tornata, ieri mattina. Ingresso secondario, auto consolare, dieci
minuti di anticipo sulla campanella della prima ora. Un lampo bianco da
cui sbucava il brillantino sul naso.
Lo stesso che sberluccica adesso, mentre sta seduta su uno dei tre
divani del soggiorno di casa, con la mamma stretta accanto, il nipotino
che gattona, e il piccolo esercito - si fa per dire, per carità! - che
la circonda davanti ai giornalisti: con noi ci sono un fratello, il
console pachistano a Milano Sayed Muhammad Farooq e tre assistenti, più
i dirigenti locali della Cgil Silvia Spera e Damiano Galletti.
E c'è lei, Jamila, la diciannovenne che da due settimane non
frequentava più l'istituto professionale di Brescia perché «troppo
bella» e perché «promessa in sposa a un parente in Pakistan», secondo
la lettera-denuncia di un
docente.
«Sto benissimo, a scuola sono stati tutti contenti di rivedermi,
si sono anche commossi», racconta con la cadenza del posto, infilando
anche l'intercalare «pota». «È vero, dovevo ritornare in Pakistan...
Per certi motivi così... Non si può dire tutto... Ma poi si è risolto»,
concede sulla sua vicenda che ha fatto scaldare il sottosegretario
Daniela Santanché e l'onorevole Souad Sbai. Fa una buffa tenerezza
nelle sue contraddizioni: la passione per i Teletubbies, pizza, pasta e
torta di mele (che cucina personalmente) e l'ubbidienza mite alle
tradizioni di famiglia («è vero, non posso mai uscire di casa da sola,
a scuola mi accompagna sempre mia mamma e mi viene a riprendere, se non
c'è lei c'è mio fratello; ma è giusto così, siamo pachistani e dobbiamo
vivere da pachistani»).
Desidera più di ogni altra cosa la cittadinanza italiana («per me e i
miei familiari, ormai viviamo qui dal '97, prima stavamo a Monticelli
Brusati») e da grande vorrebbe fare la stilista. Però a una festa di
compleanno non ci può andare («ma non mi interessa, per me andare o no
è uguale») e prende le distanze dalle compagne di scuola della sua
etnia, che sono «pettegole, hanno la doppia faccia e mettono in giro
voci che non sono vere». Chissà. Forse quelle di una sua presunta
simpatia per un ragazzo, o di attenzioni particolari ricevute che,
secondo il prof, avrebbero scatenato la gelosia dei fratelli. Anche se
ora uno di loro chiude la faccenda: «Il docente si è inventato tutto,
ovvio. Invece è vero che nostra sorella doveva tornare in Pakistan con
mamma, non da sola, perché il nonno sta molto male, ma dopo sarebbe
rientrata in Italia». E perché non farla più andare a scuola? «In
attesa di comprare i biglietti avevamo pensato di tenerla a casa. Da
noi funziona così: se c'è un problema ci riuniamo e decidiamo insieme».
Non fa sorridere neanche un po', invece, sentir dire a Jamila che il
suo caso non ha niente a che fare con quello di Hina Saleem, la
conterranea sgozzata dai parenti, proprio qui nel Bresciano, cinque
anni fa. «Non c'entra niente con me. Hina era diventata troppo
occidentale». Troppo? Dunque è giusto che sia morta? «No, non voglio
dire così... Perché poi non è nemmeno giusto che il padre ora sia in
carcere...».
Il punto è mantenere il decoro. Niente mare, sì al lago. «Con la mia
famiglia andiamo qui vicino, al lago d'Iseo. Ma il bagno non lo
facciamo, mica possiamo stare mezze nude a prendere il sole, è la
nostra tradizione».
Col suo piccolo delfino al collo, tre braccialetti al polso sinistro,
l'hijab turchese in testa sopra i pantaloni di cotone a righe e le
infradito nere, sta in silenzio quando parlano gli altri e poi si
scalda e minaccia: «Se non la smettete di venirmi dietro con telecamere
e macchine fotografiche davvero a scuola non ci vado più e vi denuncio
tutti!». Ma ha un tono grave se dice che il giorno più brutto della sua
vita è stato quando è morto il padre, stroncato da un infarto in
fonderia a Monticelli (e l'assicurazione non ha riconosciuto il danno):
«Da quel giorno tutto va male, abbiamo solo problemi...».
Il clima, tutto sommato, è disteso. Alla domanda sull'amore Jamila
risponde che lo sceglierà lei e poi lui parlerà con i genitori per
chiederne il consenso. Sarà un pachistano, figuriamoci se no.
Interviene il console, al momento dei saluti: «Non so che idea vi siate
fatti. Per me è importante che i diritti umani vengano rispettati. E
voi cercate di capire i problemi impliciti nelle altre culture». Sulle
scale, la sindacalista Spera ammette: «Ora questa ragazza sta facendo
due passi indietro. Spero che domani ne faccia quattro avanti».
(di Elvira Serra da http://www.corriere.it/)
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