Il dibattito sulla
scuola pubblica è tornato alla ribalta tra dichiarazioni mediatiche e
manifestazioni di piazza. Ma è un dibattito che in realtà richiederebbe
riflessioni più meditate e meglio informate.
Sono due i motivi più rilevanti per affidare allo Stato, invece che a
privati, l'istruzione dei giovani cittadini. In primo luogo, una scuola
pubblica con programmi di studio omogenei si presta meglio a garantire
che tutti i giovani raggiungano un livello minimo di istruzione e di
valori condivisi per poter collaborare tra loro efficacemente, una
volta diventati adulti. In secondo luogo, lo Stato può ridurre il costo
dell'andare a scuola per i meno abbienti, scaricandone una buona parte
sulla fiscalità generale. La collettività ha interesse a farsi carico
di questo costo non solo per motivi di equità, ma anche perché
l'eventuale decisione di non istruirsi a sufficienza, presa da chi non
se lo può permettere, ridurrebbe il capitale umano del paese con
effetti deleteri per
tutti.
Entrambe queste ragioni hanno però contropartite su cui è bene
riflettere. Per esempio, chi deve decidere che cosa e come si insegna
nelle scuole statali che i cittadini devono frequentare? Che ci piaccia
o no, in un sistema democratico l'istruzione pubblica (così come la
televisione pubblica), alla lunga non può che riflettere il colore
della maggioranza che governa il paese. Molti italiani hanno una
visione idilliaca dello Stato come entità super partes, ma l'esperienza
ci dice che lo Stato, e quindi il suo sistema educativo, è espressione
della maggioranza. Lo ha detto Berlusconi in riferimento alla scuola
che non gli piaceva, e lo dirò io quando l'attuale maggioranza avrà
avuto tempo sufficiente per cambiare le cose. Giratela come volete, ma
in un sistema pubblico la minoranza che vuole la scuola gialla prima o
poi finisce col dover accettare il volere della maggioranza che la
vuole blu.
Immagino l'obiezione: lo Stato dovrebbe fare scuole arcobaleno! Ma
anche l'arcobaleno è una scelta cromatica che a qualcuno non piace. E
poi, purtroppo, sembra raro il caso di maggioranze che, al di là delle
dichiarazioni programmatiche, amino davvero la molteplicità dei colori.
Proprio questo dovrebbe far riflettere tutti quelli che invece una tale
scuola multicolore vorrebbero. Il bene dell'istruzione minima per tutti
e della coesione sociale non è assoluto: deve avere un limite
nell'impossibilità di imporre alla minoranza un'istruzione diversa da
quella che essa vorrebbe.
Non sarebbe allora preferibile un sistema in cui lo Stato si limitasse
a indicare i binari entro i quali scuole veramente libere e autonome
potessero decidere come organizzarsi e che cosa insegnare? Come in una
sorta di Carta costituzionale educativa, credo che un consenso ampio
potrebbe emergere su quali debbano essere questi binari, magari più
stretti nella scuola primaria e più ampi in quella terziaria. La novità
di questo modo di procedere sta nell'affermare che non debba essere lo
Stato in prima persona a gestire le scuole, ma che esso possa limitarsi
a certificare quelle che operano all'interno dei binari condivisi.
Rimarrebbe però il secondo problema, ossia assicurare che tutti, anche
i meno abbienti, acquisiscano il livello minimo d'istruzione che la
collettività ritiene opportuno per i suoi membri. Solitamente si
ritiene che conseguire questo obiettivo sia necessario per motivi di
equità oppure perché lo Stato sa meglio dei cittadini quale sia il loro
bene. Ma anche senza ricorrere a questa giustificazione paternalistica,
l'evidenza empirica suggerisce che, entro certi limiti, una maggiore
istruzione aumenta non solo la produttività e il benessere del singolo
cittadino che la consegue ma anche di quelli che gli stanno intorno e
che con lui interagiscono. La collettività ha quindi interesse a
evitare il rischio che i meno abbienti tra i suoi membri non si
istruiscano a sufficienza per difetto di risorse economiche.
A fronte di questo rischio, però, c'è anche il rischio opposto: ossia
offrire a tutti un'istruzione eccessivamente prolungata, poco
qualificata e costosa per lo Stato, che finisce per essere solo un
pezzo di carta con valore legale, ma nessun valore reale. Quindi se è
opportuno assicurare ai meno abbienti la possibilità di istruirsi, non
è detto che la soluzione giusta sia di rendere l'istruzione gratuita e
obbligatoria per tutti fino alla laurea. Non tutti meritano di
diventare dottori e almeno i ricchi potrebbero pagarsi la loro scuola.
Chiediamoci allora, senza preconcetti, se non sia preferibile un
sistema scolastico in cui: il problema distributivo sia risolto
tassando gli abbienti per finanziare voucher con cui i meno abbienti
possano accedere all'istruzione; le scuole abbiano piena autonomia
riguardo alla loro gestione interna e all'offerta formativa, entro
limiti più o meno stretti, da concordare per favorire un livello minimo
di istruzione basilare, di cultura nazionale comune e di coesione
sociale; i cittadini siano liberi di finanziare mediante i voucher, ed
eventualmente le loro risorse personali, le scuole che preferiscono.
In questo sistema nulla vieterebbe, e sarebbe la mia speranza, che
molti cittadini finanziassero scuole arcobaleno, e fossero pochi invece
quelli che preferiscono scuole monocolore. Senza questo sistema,
invece, perché dovrei mandare i miei figli in una scuola pubblica del
colore voluto da una maggioranza in cui non mi riconosco?
(da http://www.ilsole24ore.com)
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