Gli
interventi più recenti sul sistema scolastico si vanno sedimentando
nella coscienza collettiva e, ormai definitivamente, hanno assunto
l’identità di sintesi di “Riforma della scuola Gelmini”, con la quale,
da un lato si ricorda il nome dell’attuale Ministro, attore degli
interventi, dall’altro si definisce, il complesso degli interventi,
come “Riforma della scuola”.
In realtà, più esattamente, si dovrebbe parlare di riforma dei
curricoli che, come è noto, sono stati abbondantemente modificati per
tutti gli indirizzi e hanno prodotto risultati importanti per il
contenimento della spesa pubblica e, secondo i punti di vista,
l’esplosione degli esuberi del personale e la stagione dei
licenziamenti (non assunzioni-riassunzioni) di massa più pesante che
sia stata mai operata dalla Pubblica Amministrazione in Italia.
Ovviamente la modifica dei curricoli su cui già nelle scuole si lavora
da due anni, ha determinato e continuerà a determinare cambiamenti
significativi di ordine didattico, che sono in costruzione poiché la
riforma procede a regime e, su questi risulta prematura ogni forma di
giudizio, in quanto sono molto legati, anche alla qualità del lavoro
che le singole scuole saranno in grado di realizzare. Ma perché dunque
la riforma può essere definita soltanto riforma dei curricoli e non
della scuola? La risposta è semplice: È vero che i curricoli sono la
parte strutturale più significativa dell’ordinamento scolastico, ma è
altrettanto vero che nell’architettura di una riforma totale del
sistema - scuola, non può essere ignorato l’aspetto organizzativo e
funzionale che è svolto dagli Organi collegiali. E negli interventi di
riforma del Ministro Gelmini, di Organi Collegiali non si parla, tanto
che, sono sopravvissuti quelli dei Decreti delegati del ‘74.
Ora, o questa è una grave disattenzione, oppure il Ministro ritiene che
gli Organi collegiali pensati e “regolamentati” nel ‘74, risultino
adeguati e funzionali anche oggi, a distanza di quasi quaranta anni,
nelle scuole dell’autonomia.
Ma le cose non stanno così. E ciascuno degli Organi collegiali mostra
interamente la propria età e rivela una quantità di difetti di
funzionamento, dei quali alcuni dovuti a un “peccato originale”, altri
acquisiti nel tempo, per la totale assenza di interventi normativi ma
anche per i cambiamenti che si sono prodotti nella società.
Consideriamo, ad esempio, il Collegio dei Docenti, Di per sé, il
Collegio contiene il limite della dimensione assembleare che mal si
concilia con i compiti delicati e fondamentali che è chiamato ad
espletare in relazione alla programmazione e progettazione del lavoro
scolastico e delle conseguenti responsabilità circa le scadenze
valutative e, ancora di più, relativamente ai criteri di valutazione
del rendimento e dei processi di maturazione degli studenti.
In sostanza il Collegio, per questa sua natura assembleare, al di là
del valore e della qualità dei singoli docenti che lo compongono,
finisce con l’essere un organo assolutamente improduttivo a fronte dei
suoi compiti istituzionali. Se poi si aggiunge che nel corso degli
anni, i processi di razionalizzazione, sia verticale sia orizzontale
hanno realizzato situazioni a dir poco, di clamorosa contraddizione,
(si pensi ai Collegi degli Istituti Comprensivi - razionalizzazione
verticale - o ai Collegi delle Scuole secondarie di 2° grado,
aggregate, nonostante la profonda diversità di indirizzo. Esempio: un
Liceo e un Professionale) si comprende come un Organo collegiale già
improduttivo possa essersi trasformato, anche in un soggetto inutile
che, solo con il paziente lavoro di organizzazione dei Dirigenti, è
riuscito almeno a non essere dannoso.
Considerazioni del genere possono essere fatte anche per altri Organi
Collegiali, come i Consigli di Classe e i Consigli di Istituto.
Ma in questi casi entrano in gioco le componenti elettive, cioè
Studenti e Genitori. Chi non ha vissuto il rito annuale e desolante
delle elezioni scolastiche? I Genitori ormai non vengono quasi più a
votare e, per le cariche per le quali è richiesto, non sono più
disponibili a candidarsi. Le scuole devono, letteralmente, inseguirle
le persone, per chiedere loro il favore di candidarsi e si può
diventare Presidente del Consiglio d’Istituto, davvero, con un pugno di
voti. Possono bastarne, di voti, anche una ventina, pari ad una
percentuale dell’1 % degli aventi diritto al voto, in una scuola di
mille alunni!
D’altra parte, per eleggere i rappresentanti dei Genitori nei Consigli
di Classe, le percentuali dei votanti sono davvero umilianti e si può
essere eletti anche con un solo voto, quello che il Genitore votante da
a se stesso e, quando neanche questo è possibile, si procede, caso
davvero unico, alla individuazione dei rappresentanti per sorteggio.
Si accetta così, la finzione più spudorata e si fa di tutto per non
prendere atto del sostanziale e storico fallimento dell’idea di
partecipazione democratica dei Decreti delegati del ‘74.
Ce ne stanno di altre ragioni per parlare di fallimento, ma sicuramente
quella più clamorosa è data proprio dalla assoluta mancanza di
interesse dei Genitori nel rito, chiamiamolo elettorale, della scuola.
Eppure ci sono Associazioni di Genitori e Organizzazioni di famiglie
che propongono nuove forme di partecipazione e reclamano il diritto ad
un ruolo responsabile ed attivo nei processi di maturazione e di
formazione dei figli. Ma nessuno pone mano alla formula partecipativa
ancora in vigore nella scuola e,sinceramente, non si capisce perché.
C’è poi la questione degli Studenti che in alcuni ordini di scuole
affiancano i Genitori negli Organi Collegiali. Fra gli Studenti la
partecipazione, se non altro al voto, appare più significativa anche
perché, preceduta in genere da assemblee di classe, assemblea di
istituto, tutte effettuate in coincidenza dell’orario delle lezioni.
Inutile dire che se l’obiettivo di questi rituali vuole essere la
crescita della cultura della democrazia partecipata e
l’intensificazione del legame con la propria scuola, della quale si
condivide la responsabilità dell’azione di governo, tale obiettivo
risulta miseramente fallito, perché la fase preparatoria e quella
elettorale, di norma, producono esperienze di autogestione e/o di
occupazione, nonostante tutto che queste esperienze implicano. Pure,
anche fra i ragazzi cresce un bisogno nuovo di partecipazione effettiva
e democratica, ma nessuno raccoglie tale bisogno, nessuno che abbia il
potere di dare nuove regole alle scuole e alle persone che vi lavorano
o che vi studiano o che comunque ne sono soggetti attivi.
Se non si lavora su questi aspetti organizzativi delle istituzioni
scolastiche, davvero non si può parlare di riforma e qualunque modifica
dei curricoli è destinata a uscire sconfitta dal confronto con
l’architettura complessiva del sistema che, forse non è modificata, per
dirla con malizia, perché così non funziona e, per qualcuno, meno
funziona e meglio è.
Giuseppe Capilli
gi.capilli@libero.it