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Costume e società: La festa di San Giuseppe in molti paesi della nostra Sicilia

Redazione
La festa di San Giuseppe mi fa ricordare un libro, “Il giorno che fui Gesù”, di Fortunato Pasqualino, sfogliato per caso, tant’anni fa, in una sala docenti, fredda e buia, di una scuola d’un antico paese dell’entroterra siciliano. L’autore raccontava come nel suo paese d’origine, Butera (En), si celebrava la festa di San Giuseppe. “La mattina della festa veniva scelto il ragazzo più povero del paese e gli si diceva: “Tu per oggi sei Gesù!...Capite!?…Per un giorno Gesù! Vi immaginate essere il figlio di Dio per un giorno! Poteva andare dappertutto, chiedere qualunque cosa e, soprattutto, essere ospite d’onore in tutte le case a pranzo e a cena! Ma solo per un giorno!”.
Un libro, così piacevole e coinvolgente, che alla fine lo lessi d’un solo fiato. Una storia, soprattutto, sincera e fantastica, che mi suscitò tanta emozione e curiosità da approfondire le tradizioni e il culto di una ricorrenza religiosa tra le più popolari e amate dell’isola.
La festa di San Giuseppe, celebrata in molti paesi della Sicilia, ha origini antiche, che risalgono alle divinità pagane. Il 19 marzo, infatti, è la vigilia dell’equinozio di primavera, giorno di svolgimento dei baccanali, i riti dionisiaci volti alla propiziazione della fertilità, caratterizzati da un’estrema licenziosità da parte del popolo festante.
Nella tradizione popolare San Giuseppe, oltre ad essere il patrono dei falegnami e degli artigiani, è, anche, il protettore delle orfani, delle ragazze nubili e, soprattutto, dei poveri, per questo c’è anche l’usanza di preparare un ricco pranzo offerto ai bisognosi e agli orfani del vicinato (“i vicineddi” o “virgineddi”). Ma la festa di San Giuseppe in Italia, come in vari paesi del mondo, è anche la festa del papà, importata dall’America, dove venne istituita ai primi del Novecento.
La festa viene preceduta in quasi tutti i paesi siciliani da un Novenario, dove i fedeli pregano per San Giuseppe, uomo giusto, protettore della famiglia, degli ammalati e dei poveri, dispensatore di grazie e di provvidenza.
Le celebrazioni religiose per il Patriarca Giuseppe si svolgono in Sicilia, soprattutto, nel Calatino, nell’ennese, nel nisseno, con antichi riti di grande devozione e suggestione. La tradizione più importante della festa è il “banchetto” che viene chiamato, a secondo dei paesi, in vari modi: cena, ammitu, artaru, tavulata, e anche il giorno della svolgimento, a volte, può variare.
Le “Tavole di San Giuseppe” vengono organizzate da famiglie devote in segno di ringraziamento al Santo per una grazia ricevuta e richiede la collaborazione dei parenti ed amici che si prodigheranno anche per la preparazione delle pietanze che le adornano.
La preparazione della Tavola, che avviene nei cortili e piazze del paese o, anche, all’interno delle case, consiste nell’edificazione di una cappelletta utilizzando come materiale il legno o il ferro; la struttura, poi, viene ricoperta da rami di mirto o di alloro, simboli agresti, con significato propiziatorio, e decorata con arance, limoni e piccole forme di pane, legati tra loro con delle cordicelle. All’interno della cappella viene preparato l’altarino, disposto a forma di scala di 3 – 4 gradini lunghi circa 3 – 4 metri ed una grande tavola alla base, il tutto ricoperto con tovaglie di lino finissimo e ricamate. Tutto l’altare viene illuminato con lumini, vasi di fiori, piatti con germogli, brocche d’acqua e di vino, simboli religiosi e al suo centro viene posto un grande quadro che raffigura la Sacra Famiglia e ai lati un bastone fiorito e del pane, cucciddati e altre forme. Sulla tavola viene messo il cibo salato, mentre sugli scalini dolci e altro.
L’uso di imbandire mense su altari allestiti per l’occasione è diffuso in tutto il Mediterraneo e risale fin dalle epoche antiche.
All’interno degli altari vengono deposte le varie pietanze, predisposte, rigorosamente, per tre porzioni (la Sacra Famiglia), preparate, meticolosamente, a casa propria, è, infatti, assolutamente proibito comprare il cibo pronto.
Si incomincia a preparare il cibo quattro giorni prima. Si dispone l’arancia amara su un piattino, condita con sale e pepe, serve a spezzare il digiuno dei protagonisti. Si preparano due primi: tre palline di riso, ricotta, uova e formaggio, poi della pasta con sugo di maiale. I secondi: pesce (baccalà e merluzzo fritto) e verdura (patate, carciofi, cipolle, e altro). Vengono confezionati anche i dolci tipici siciliani (pagnuccata, giurgiulena, torrone, torte e altro). 
La famiglia che predispone l’altare invita tre persone bisognose del paese, che arrivano nelle case alle ore 12.00. Vengono usate le posate più preziose della casa. Per primo viene servita l’arancia amara, poi i primi e i secondi. Vengono divisi i piatti in tre o quattro parti. Quando viene diviso in tre parti, il cibo va solo agli ospiti,  mentre quando viene diviso in quattro, la rimanente porzione rimane alla famiglia, che la offre, successivamente, a parenti e familiari.
Per preparare ogni pane serve circa dai tre ai cinque chili di farina. La padrona prima di andare a letto spalma del sale su del pane, se la mattina dopo, trova un’impronta sul pane, la grazia si avvererà. I simboli della festa di San Giuseppe sono il pane che rappresenta la prosperità, il bastone che rappresenta l’obbedienza, la lampada ad olio che rappresenta la Divina Provvidenza, il vino è segno della benedizione di Dio, l’acqua è il simbolo della grazia, le arance e i limoni simboleggiano i dolori, le arance dolci vogliono simboleggiare che non bisogna giudicare, gli ortaggi sono l’omaggio della terra, i fiori annunziano l’arrivo della primavera.
Il banchetto viene consumato all’aperto in spazi pubblici o in appositi palchi allestiti nelle piazze riccamente ornate di rami di alloro, palme e rami di cedro. Le tre persone che rappresentano la Sacra Famiglia, dopo aver partecipato alla Santa Messa, si recano nell’abitazione dove sono state invitate a rappresentare i “Santi”. Dopo aver recitato una breve preghiera, San Giuseppe sbuccerà un’arancia e ne distribuirà dei pezzi a Gesù Bambino e alla Madonna accompagnati da pezzi di pane benedetto per poi continuare con le altre pietanze.
Alla fine della cerimonia, la tavolata verrà aperta a quanti vorranno degustare le pietanze tipiche della festa e svuoteranno i gradini della Tavolata, tranne l’ultimo che viene riservato alle pietanze che verranno date ai “Santi”.
Il rito del “pranzo”, nasce dalle vicende evangeliche, San Giuseppe e Maria, da poveri si videro negare un rifugio per il parto, ma anche quando furono costretti a fuggire in Egitto e a vivere clandestinamente, ed ecco, quindi, che i devoti, in segno di carità cristiana, vogliono dare simbolicamente accoglienza e ristoro alla Sacra Famiglia.
Secondo un’antica tradizione, la vigilia della festa, in tutte le tavole viene posta una ciotola con l’acqua e una saliera, dove l’indomani mattina verrà trovata l’impronta delle dita di San Giuseppe che nella notte è passato a benedirla.
La sera, dopo la Messa, ha inizio la processione del Santo che viene portato sul fercolo per le vie principali del paese. Infine, dopo la raccolta delle offerte per i poveri, in tanti paesi, per mezzo di un’asta pubblica, l’ultima immagine di questa straordinaria festa, in molti centri siciliani, è l’accensione notturna dei falò, come segno di accoglienza, d’ospitalità e di illuminazione del “cammino della nostra vita”.

Angelo Battiato (inviato speciale a Brescia)
angelo.battiato@istruzione.it








Postato il Sabato, 19 marzo 2011 ore 08:00:00 CET di Angelo Battiato
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