No ai test Invalsi.
Le prove nazionali di matematica e italiano sbarcano per la prima volta
alle superiori (sono in calendario il 10 maggio per le classi seconde)
ed è subito protesta: decine di collegi docenti in tutta Italia stanno
prendendo posizione per boicottarli. I prof che dicono no non credono
nel test come strumento di valutazione, ne contestano l’obbligatorietà
e non vogliono che i risultati dei quiz siano usati per dare le
“pagelle” agli insegnanti e premiare chi ha gli alunni più brillanti.
Il rischio, dicono, «è che le scuole diventino palestre per allenarsi
ai questionari se ci sono in palio la palma del prof migliore e una
integrazione in busta
paga».
In alcuni istituti è già partito il “niet”: non parteciperanno alle
prove i licei De Chirico e Malpighi di Roma. Sulla stessa scia si sta
muovendo un ginnasio storico della Capitale, il Mamiani: gli insegnanti
in un documento si scagliano contro i test «che sono un buon metodo per
prendere la patente di guida, ma non per valutare i ragazzi». Da Nord a
Sud fioccano le delibere. Gli insegnanti puntano il dito contro la
circolare del ministero dello scorso dicembre che parla di
obbligatorietà delle prove: «Ma una circolare non è una legge e non c’è
norma che preveda questo obbligo». Un punto su cui poggia anche la
campagna anti-test dei Cobas. «E’ ormai chiaro- spiega il portavoce
Piero Bernocchi- che il ministero vuole agganciare i premi per gli
insegnanti ai risultati dei questionari. Così si rischia che la scuola
italiana diventi una palestra per allenarsi ai quiz. Per noi i test non
sono obbligatori e faremo diffide ai presidi che non consentono ai
collegi docenti di decidere liberamente se partecipare o meno».
Fra l’11 e il 13 maggio ci saranno le prove di italiano e matematica
alla primaria e alle medie. Qui la situazione è più tranquilla: i
questionari nazionali sono stati introdotti da qualche anno e, in
qualche misura, digeriti. Anche se non mancano scuole contrarie. Alle
superiori le prove Invalsi sbarcano per la prima volta il 10 maggio fra
i malumori. I professori del Mamiani di Roma li definiscono dei
«telequiz» con cui si vogliono «dividere e gerarchizzare gli
insegnanti». Non collaboreranno alle prove i docenti dell’istituto
Almeyda di Palermo, quelli dell’Allegretti di Vignola e del Da Vinci di
Firenze. A Bologna, al liceo Sabin, i docenti faranno fare i test, ma
non li correggeranno: per gli insegnanti, dicono, c’è solo lavoro in
più ma nessuna integrazione in busta paga. «Non c’è un euro - conferma
la Flc Cgil - per retribuire i professori che somministrano e
correggono le prove». All’Invalsi sanno bene che c’è fermento. Ma il
loro compito, dicono, è solo quello di «inviare i materiali a tutte le
scuole e i garanti della qualità dello svolgimento dei test negli
istituti scelti per far parte del campione che serve per costruire il
dato nazionale. Noi speriamo solo che le scuole capiscano che questi
dati sono utili in primis a loro per potersi confrontare e per poter
apportare miglioramenti alla didattica». La palla passa al ministero da
cui fanno sapere che le delibere dei collegi contro i test sono «di
dubbia legittimità perché la valutazione esterna è prevista per legge
ben prima della circolare di dicembre, in particolare bisogna risalire
alla legge 53 della Moratti del 2004». Dal Miur assicurano di non voler
fare il «muro contro muro», ma «la situazione andrà chiarita. (da Il
Messaggero)
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