Da alcuni anni la
scuola statale italiana vive sotto lo scacco della pseudo-riforma
Gelmini, grazie anche allo smarrito immobilismo del personale
scolastico. Tuttavia, attorno all’idea che non esista riforma che possa
passare attraverso un taglio orizzontale di risorse, si sono riuniti
(virtualmente) diversi lavoratori della scuola pubblica (docenti
precari e non, personale ATA) costituendo il gruppo spontaneo su
Facebook: “NO CONGELAMENTO – SI TRASFERIMENTI – NO TAGLI”; gruppo che,
in pochi giorni dalla sua creazione, ha registrato quasi mille
iscritti. L’obiettivo del movimento è quello di riportare al centro del
dibattito il patrimonio dell’istruzione statale italiana, che attua la
Costituzione perché promuove la libertà delle donne e degli uomini.
Una riforma reale del sistema dell’istruzione doveva essere pensata
affrontando i nodi critici di tale complesso sistema e partendo
dall’esperienza dei quei lavoratori (docenti, dirigenti, ATA) che
conoscono le esigenze effettive dei ragazzi, del territorio, gli
sprechi reali e i punti di forza delle istituzioni scolastiche. Di
contro, in Italia, il campo dell’istruzione è divenuto il settore
prediletto per il recupero di fondi attraverso una politica sartoriale
del “taglia e non cuci”, sottraendo fondi (8 miliardi) e personale
(132.000 posti di insegnanti e personale ATA nel
triennio).
Quale scuola può essere definita di “qualità” quando è costretta a
RINUNCIARE ALL’INSEGNANTE SPECIALISTA DI INGLESE, nella primaria, a
fronte di esigenze di bilancio? Quando TAGLIA L’UNICA ORA DI
INFORMATICA nella scuola secondaria di primo grado? Quando costringe
gli studenti a essere SUDDIVISI TRA LE ALTRE CLASSI per la mancata
sostituzione dell’insegnante assente, impedendo il regolare svolgimento
della didattica? Quando RIDUCE le ore di “scuola”?
Assicurare un’istruzione statale di “qualità”, capace di garantire la
libertà e l’eguaglianza dei cittadini e tale da rimuovere tutti quegli
impedimenti che possono ostacolare il pieno sviluppo della persona
umana e l’effettiva partecipazione di tutti i lavoratori
all’organizzazione politica, economica e sociale del Paese (art. 3),
vuol dire, ad esempio, sostegno a province e comuni per mantenere e
potenziare i servizi necessari per garantire il TEMPO SCUOLA (tempo
pieno e prolungato) e modularlo in base alle reali necessità del
territorio, tenendo in considerazione anche l’alto tasso di dispersione
scolastica, fattore di criticità del Mezzogiorno. Vuol dire
ripristinare e valorizzazione le COMPRESENZE, occasione di inclusione,
collegialità e condivisione del lavoro educativo e didattico,
soprattutto nei contesti problematici. La razionalizzazione economica,
infatti, ha penalizzato paradossalmente proprio le aree difficili,
quelle zone di periferia geografica e culturale dove manca tutto, dalla
biblioteca a internet, dove l’incontro tra le due agenzie formative
(scuola e famiglia) è ridotta a mera utopia.
“Qualità” vuol dire anche riqualificazione e rifunzionalizzazione degli
edifici scolastici, affrontando il problema “non risolto” della
sicurezza, elemento che ha pesanti ricadute sull’incolumità degli
alunni all’interno delle aule (spazi ridotti e classi pollaio) e che
comporta una inevitabile rinuncia alle didattiche laboratoriali. Eppure
è sempre più evidente che agli studenti non può bastare la lezione
frontale e l’apprendimento sequenziale. Cresciuti, nell’epoca della
televisione e della multimedialità, la net-generetion manifesta
apprendimenti di tipo globale e simultanei, e solo una didattica
laboratoriale e individualizzata può assecondare la molteplicità delle
esigenze del percorso formativo. Ma come attuare ciò SENZA DOCENTI?
Infatti tutti gli elementi della pseudo-riforma hanno un unico
denominatore: la mortificazione della professione docente.
L’insegnante, con una professionalità e delle competenze acquisite,
lungo il percorso formativo e professionale, competenze necessarie per
una didattica appropriata ed efficace, è stato trasformato in
“fastidiosa eccedenza”, in apparenza riconosciuto ma inutile; è stato
ridotto al ruolo di babysitter in classi pollaio dove qualunque
proposito-necessità di piano di apprendimento individualizzato diventa
una chimera.
In una situazione così complessa, partendo da un necessario ripristino
di tutte le risorse umane necessarie al fine di stabilizzare e rendere
più funzionali gli assetti scolastici, la priorità di un Governo
responsabile dovrebbe essere non quella di assicurarsi un insegnante
del nord, del sud o di tale regione, ma un insegnante preparato, con
esperienza, capace e desideroso di affrontare sempre nuove sfide.
Regionalizzare le graduatorie, bloccare la libera circolazione di
professionisti all’interno del territorio nazionale con il solo scopo
di tutelare la “possibilità di lavoro” dei docenti residenti in loco,
vuol dire, in un’ottica realmente miope e distorta, non valutarne la
“qualità” ma RIDURRE IL MESTIERE DOCENTE AD AMMORTIZZATORE SOCIALE
all’interno di una realtà in forte crisi economica.
Nel percorso di questa “riforma-tagliola”, che si innesta su una
evidente equivoco sui termini “qualità” e “merito”, qualunque disegno
di legge volto a regionalizzare le graduatorie diviene, quindi, ultimo
scarso e contraddittorio obiettivo della “missione politica” della
nostra ministra Gelmini che nel giugno 2008 aveva affermato che “la
scuola deve smettere di essere un ammortizzatore sociale e uno
stipendificio”!
Paola Biscoglio per il gruppo: NO CONGELAMENTO – SI TRASFERIMENTI – NO
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Paola Biscoglio