Mi sono chiesta più
volte in questi giorni perché io non abbia provato l’impulso immediato
di unirmi al coro di indignazione che si è levato contro le frasi
pronunciate da Berlusconi al Congresso dei Cristiano Riformisti Il 26
febbraio 2011 contro la scuola di Stato e i suoi insegnanti , quella
stessa scuola che lui si vanta di avere riformato.
So di non potere tacere oltre, pena il rischio di generare sconcerto in
molti bravi, bravissimi colleghi che si riconoscono nell’ADi e
che si sono sentiti offesi da quelle parole sconsiderate (“i
cittadini non devono essere costretti a mandare i loro figli nella
scuola di Stato dove ci sono degli insegnanti che vogliono inculcare
dei principi che sono il contrario di quelli che i genitori vogliono
inculcare nei loro figli”).
Così, scrupolosamente, ho risentito l’intero discorso, compreso il
commiato, già ascoltato il giorno del misfatto,e chiedo anche a voi di
risentirlo negli spezzoni di video che sotto proponiamo.
Forse come me, riascoltandolo, proverete una sorta di rifiuto a
rincorrere le esternazioni di questo personaggio grottesco, che passa
da uno show all’altro, per poi smentire tutto ciò che ha detto e fatto.
E’ così è stato: dopo l’esibizione dai Cristiano Riformisti, ha
cambiato abito e si è presentato, lo stesso giorno, al Congresso dei
Repubblicani, recitando la parte del laicista. Infine successivamente,
come da copione, ha dichiarato di essere stato frainteso dai soliti
giornali di sinistra.
Ma non solo, il 5 marzo, in un intervento telefonico ad una convention
pdl ad Avezzano ha dichiarato: “Noi abbiamo difeso in modo concreto la
scuola pubblica con la riforma e riteniamo che gli insegnanti abbiano
un ruolo fondamentale nell’educazione dei nostri figli e che però
ricevano uno stipendio assolutamente inadeguato per questo ruolo…”
Quindi agli “inculcatori” non solo attribuisce un ruolo fondamentale,
ma afferma che sono anche mal pagati!
Per tutto questo non ho sentito l’urgenza di intervenire: la più grande
offesa per un attore è smettere di parlare di lui.
Il tempio invaso
Ma torniamo al video del Congresso dei Cristiano Riformisti. Se lo
avete riguardato vi accorgerete che c’è qualcosa che procura
fastidio e disagio, molto più del teatrante. Sono i plaudenti mercanti
del tempio. Uomini e donne, i così detti cristiano riformisti, proni ad
applaudire pur di compiacere l’attore e trarne beneficio. Loro i
paladini della famiglia, una costola del family day, li rivedi
lì, in piedi nel grande applauso finale mentre il commediante li invita
tutti a partecipare al bunga bunga.
E ora immaginiamo che il tempio, la scuola pubblica, non sia
insidiato dai mercanti ma da milioni di studenti.
Che fare? Non possiamo arroccarci a difenderlo così com’è. Come ci ha
detto il grande sociologo François Dubet nel recentissimo seminario
dell’ADi: il tempio è già invaso. Non servono retoriche per salvarlo.
Dobbiamo capire e immaginare quello che, senza dirlo, questi milioni di
sani invasori ci chiedono: una scuola diversa, con altri tempi, spazi e
modi di imparare.
Dobbiamo percorrere altre vie, tutte le vie, compreso il superamento
dello statalismo e l’avvio di forme di gestione più
autenticamente autonome, capaci di costruire una scuola più giusta.
Questa è la finalità che l’ADi tenta di perseguire, cercando anche di
vincere tabù e conservatorismi che sono ancora pesantemente presenti
fra noi insieme ad acritiche difese della scuola pubblica, dimenticando
che pubblica non vuole dire statale.
Vorrei citare un solo episodio. Nella mia città, Bologna, le scuole
dell’infanzia comunali sono state un gioiello. Insieme a quelle di
Reggio Emilia e ad altre scuole comunali hanno ispirato gli
Orientamenti del 1991, una delle cose migliori prodotte nella scuola
italiana del dopoguerra. Come noto le scuole comunali sono scuole
paritarie. Ebbene, ora, in mancanza di adeguati finanziamenti statali
(quelli contro cui si scagliano i difensori della scuola statale), i
cittadini bolognesi che manderanno i propri figli alle scuole comunali
dovranno pagare una retta più alta rispetto a chi li iscrive alle
scuole dell’infanzia statali, che però non coprono l’intero fabbisogno.
Ma non solo, alle insegnanti comunali è stata tagliata parte
della retribuzione.
Anche sulla scuola pubblica non statale bisognerà dunque superare
qualche tabù.
La legge 62 /2000 sulla parità: luci e ombre
Bisogna dare atto al ministro Berlinguer del tentativo fatto con la
legge 62/2000 di ridefinire ciò che nel servizio dell’istruzione debba
essere considerato pubblico. Ma quella legge non riuscì a
superare il vincolo “ senza oneri per lo stato”, perché sdoganò come
“pubbliche” anche scuole di tendenza ideologica. Il comma 3
dell’art. 1 così recita:
“3. Alle scuole paritarie private è assicurata piena libertà per quanto
concerne l’orientamento culturale e l’indirizzo pedagogico-didattico.
Tenuto conto del progetto educativo della scuola, l’insegnamento è
improntato ai principi di libertà stabiliti dalla Costituzione
repubblicana. Le scuole paritarie, svolgendo un servizio pubblico,
accolgono chiunque, accettandone il progetto educativo, richieda di
iscriversi, compresi gli alunni e gli studenti con handicap. Il
progetto educativo indica l’eventuale ispirazione di carattere
culturale e religioso. Non sono comunque obbligatorie per gli alunni le
attività extra-curriculari che presuppongono o esigono l’adesione ad
una determinata ideologia o confessione religiosa.
Cito da una relazione del giurista Carlo Marzuoli a un seminario dell’
ADi del lontano 2002:
“Nel nostro sistema costituzionale l’istruzione pubblica deve essere
esercitata in condizioni di neutralità ideologica. L’unico pluralismo
possibile è quello contestuale , perché mette a confronto e dunque
materializza e ricorda l’esistenza del diverso (quanto al
pensiero, ai costumi, ecc.)
Il punto è fuori discussione: la legge, ad esempio, n. 176/1991 (di
esecuzione della convenzione delle Nazioni Unite sui Diritti
dell’Infanzia, New York 1989) è chiarissima, anche se un po’
semplicistica: “gli Stati parti convengono che l’educazione del
fanciullo deve avere come finalità: (…) b) di inculcare al fanciullo il
rispetto dei diritti dell’uomo e delle libertà fondamentali e dei
principi consacrati nella Carta delle Nazioni Unite”. Il pluralismo si
può avere solo se ogni insegnante può operare in condizione di libertà
(di insegnamento). Da questo punto di vista possiamo dire che la
libertà di insegnamento è strumento per il servizio di istruzione
pubblica.””
E ancora:
““Quando, in materia, si parla di tendenza, occorre distinguere
fra tendenza di tipo “ideologico” e autonomia tecnico-scientifica e
culturale. Per quanto possa in concreto essere difficile, la
separazione deve essere comunque fatta (…) é ovvio che la tendenza e
l’autonomia tecnico-scientifica-culturale sono indispensabili: si
tratta proprio di ciò che si vuole sviluppare attraverso la
libertà di insegnamento, e dunque è benvenuta. Il problema
si pone per la tendenza ideologica: questa è incompatibile con la
libertà di insegnamento e dunque contrasta con l’essenza del servizio
di istruzione pubblica. (…) eliminiamo pure una barriera
(l’assoluta generalizzata necessarietà della ” statualità “) e largo a
chi ha interesse. Ma senza barare; carte eguali per tutti,
altrimenti, non di libertà si tratterebbe, bensì di privilegio;
e, oggi, le carte eguali per tutti, con la legge n. 62/2000, non vi
sono.”
E’ un problema dunque tuttora irrisolto. E noi crediamo che debba
essere risolto e che si debba in un nuovo contesto superare anche il
vincolo “senza oneri per lo Stato”.
D’altra parte perché nessuno degli oppositori al finanziamento della
scuola non statale non ha mai detto una parola contro i finanziamenti
agli enti privati che impartiscono la istruzione-formazione
professionale? Qual è la differenza? Forse perché evocando il lavoro
non è considerata istruttiva, formativa ed educativa? O forse perché le
Regioni, pur essendo parte della Nazione sono diverse dallo Stato? Ma
gli studenti sono sempre italiani, o no? E ancora, perché una Regione
come l’Emilia Romagna, da sempre a governo di sinistra, ha promulgato
una legge in cui prevede addirittura che a impartire
l’istruzione-formazione professionale siano anche organismi privati a
fine di lucro finanziati dalla Regione? (“1. Gli organismi pubblici e
privati erogatori di servizi di formazione professionale, aventi o meno
scopo di lucro, devono essere accreditati dalla Regione al fine di
beneficiare di finanziamenti pubblici. Detti organismi devono avere
quale attività prevalente la formazione professionale” Comma 1 Art. 33
legge regionale 30 giugno 2003, n. 12, invariato nel Testo coordinato
con le modifiche apportate dalla L.R. 23 luglio 2010 n. 7).
Come si vede le condizioni sono mature per un serio ripensamento delle
forme dell’istruzione pubblica e del suo finanziamento.
Finalità della scuola e funzione docente
Tutto questo porta con sé un altro problema fondamentale: qual è nel
XXI secolo la finalità dell’istruzione pubblica e quale
conseguentemente la funzione docente? E’ sufficiente oggi citare la
Costituzione per avere chiare le finalità che la scuola deve perseguire
e che gli insegnanti devono rispettare? Noi crediamo che per quanto
fondante, essa non sia più sufficiente a definire oggi le finalità
dell’istruzione.
Solo per fare un esempio, crediamo che il principio espresso dall’art.
34 secondo cui “I capaci e meritevoli, anche se privi di mezzi, hanno
diritto di raggiungere i gradi più alti degli studi”, sia da
considerare limitativo, una sorta di “egualitarismo meritocratico” che
è stato messo in discussione da più avanzate ed adeguate teorie
dell’equità, come esaminammo in modo approfondito nel seminario
internazionale dell’ADi “L’equità nella tormenta delle riforme
scolastiche” .
Si tratta allora di approfondire l’elaborazione e cercare di arrivare a
sintesi condivise che riescano a tratteggiare un plausibile scenario
verso il quale avanzare. Compito arduo, poichè ci troviamo sbalzati da
una modernità definita e vincolata da legami nazionali, territoriali,
solidi e duraturi a una modernità fatta di legami mutevoli e fragili,
che racchiude in sé gli effetti della globalizzazione, del nomadismo,
delle reti virtuali; una modernità caratterizzata dalla
multiculturalità e dalla complessità.
Ma ora per concludere, ritorniamo molto più modestamente da dove siamo
partiti. Deve la scuola inculcare solo principi che siano in sintonia
con la famiglia? La nostra risposta è no. E’ del tutto evidente che gli
insegnanti devono ricercare tutti i possibili contatti con le famiglie,
per procedere con un’educazione il più possibile condivisa, ma deve
essere altrettanto chiaro che le famiglie possono anche trasmettere
disvalori, egoismi, opportunismi, xenofobia, discriminazioni di vario
tipo, e che la scuola non solo non può seguirle, ma deve fondarsi su
propri principi, finalità e valori, che possono anche essere in
contrasto con quelli espressi dalla famiglia.
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