Dopo alcuni
anni di distacco all’università, lo scorso novembre sono tornato in
cattedra al liceo scientifico dove sono di ruolo come docente di
Italiano e latino. Si tratta di un istituto di provincia, di ottima
tradizione, frequentato da studenti per lo più seri e motivati, seguiti
da insegnanti preparati e capaci di svolgere bene il proprio lavoro. Ho
trovato però una situazione molto diversa da quella che avevo lasciato
prima della parentesi universitaria. C’è un diffuso senso di sfiducia e
di rassegnazione da parte del corpo docente, oggetto di uno svilimento
professionale che deriva anche (ma non solo) dalla mancanza dei dovuti
riconoscimenti economici. Questo purtroppo demotiva anche i più bravi.
Gli scatti di anzianità sono stati bloccati. Nella scuola dove insegno,
all’inizio dell’anno scolastico mancavano i soldi per preventivare i
corsi di recupero (quelli attivati dalla scuola per gli studenti con
gravi insufficienze in una o più materie). Così il collegio docenti,
pur di fornire i corsi, ha deliberato di ridurre il compenso orario per
questo tipo di docenza del 30% rispetto al già magro tariffario
ministeriale. Mi piacerebbe sapere quale altra categoria professionale
decide di decurtarsi la remunerazione del 30%: qui siamo molto oltre il
“modello Marchionne”. Inoltre, quando manca un insegnante, non ci sono
i soldi per le ore di supplenza: quando lo si sa in anticipo le classi
vengono fatte entrare dopo o uscire prima; diversamente c’è sempre
qualche collega che offre gratuitamente un’ora di insegnamento (un’ora
che, se non potrà essere recuperata nel corso dell’anno scolastico,
andrà persa).
Insomma, la scuola continua a funzionare grazie alla buona volontà, al
senso di responsabilità e – diciamo pure – al volontariato degli
insegnanti. Ma la loro pazienza non è inesauribile. Che cosa
succederebbe se da domani tutti i docenti decidessero di fornire
soltanto quelle prestazioni previste dal loro contratto di lavoro? Un
rigido attenersi al mansionario, con la stessa rigidità con cui il
ministro Brunetta esige che operino i pubblici dipendenti. In molti
casi la scuola si bloccherebbe.
Forse non sarebbe una cattiva idea. Così il re sarebbe nudo.
Emergerebbero, attraverso l’inevitabile disservizio, le condizioni ai
limiti della sopravvivenza (e della decenza) in cui versano le scuole
italiane. Sarebbe finalmente chiaro a tutti come la cosiddetta “riforma
Gelmini” altro non è che un maldestro tentativo di tagliare i costi a
scapito della qualità e del futuro delle nuove generazioni.
(da L'Unità di roberto carnero)
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