“Carnaluvari
vattinni a Minìu, làssami fari la me quarantana, poi veni Pasquuzza,
cori miu, e ni mangiamu pasta ccu la zafarana”. Mi ricordo quando da
bambino, mia nonna, briosa e piena di vita, mi “faceva ‘i
minaminagghi”, e quando la mia comitiva, felice e spensierata, si
preparava ad accogliere il re Burlone, il giovedì grasso,
immancabilmente, nel salone delle feste della ragazza “pro – tempore”
del nostro amico e noi vestiti di fatina, d’olandesina o di cow boy, a
ballare la samba e il cia cia cia, o quando, una volta, siamo andati in
un veglione a Belpasso, e da lì sbocciarono tanti amori…che spasso, che
divertimento, che nostalgia!
Anche i carnevali della nostra giovinezza, degli anni ’70 e ’80, erano
pieni di allegria e di semplicità, erano giorni felici e leggeri. Anche
noi ricordiamo “‘il dominò”, il mitico abito del nostro carnevale,
indossato da intere generazioni di ragazze misterbianchesi, complice e
galeotto di tante storie d’amore e fiori d’arancio e, anche, di tanti
misteri e tradimenti…
Il dominò, una lunga tunica di raso nero con cappuccio, con lustrini,
pagliuzze e strass luccicanti, con guanti e mascherina nera di pizzo,
“che distribuiva, a destra e a manca, la tenera magia degli occhi”. Il
dominò, indossato dai “babbaluti”, è stato, lungamente, il sogno della
nostra adolescenza. E noi “‘mpicati” al muro del bar “Falana” o in
piazza della Repubblica ad aspettare invano un invito a danza da
un’insolita “babbaluta”, che non arrivava mai.
Ci distraeva spesso, compiaciuti dai profumi e dai sollazzi di
coriandoli, lo scoppiettio di petardi e di “mazze” dei soliti
bontemponi misterbianchesi. Ma sovente le parti si invertivano e noi,
per divertimento o per dileggio, indossavamo il “dominò” della zia e
con maschera e seno finto, andavamo in piazza a cercare i nostri amici,
e con voce in falsetto li invitavamo a ballare, sbeffeggiandoli
segretamente, ma con simpatia.
La sera si andava al veglione del CUP al Cine Trinacria, a “taliari” e
ad ascoltare musica dei Beans e dei Cugini di Campagna, seduti e
annoiati, fino alle prime luci dell’alba sulle poltroncine di legno
della tribuna, che tante volte avevamo occupato per i film, “prosieguo
di prima visione”. La domenica di carnevale era il giorno più bello
dell’anno.
Dopo il tradizionale pranzo con i “maccarruna ccu cincu puttusa”, ci
vestivamo alla rinfusa, cercavamo nell’armadio vecchi vestiti dismessi,
l’abito da sposa della nonna, la borsetta anni ’60, il cappotto
militare dello zio, il cappello Borsalino di nonno Turi, e andavamo,
quasi in processione, dai vicini e dai parenti a scherzare, a mostrare
“ussichi” e collane di salsiccia e a spalmare cannoli di ricotta sul
viso del malcapitato. continua.....
Angelo
Battiato (inviato speciale a Brescia)
angelo.battiato@istruzione.it