Come ogni anno, da quando l’Istituto Nazionale di Valutazione del
Sistema di Istruzione è comparso sulla scena, all’atto della
somministrazione agli alunni, delle verifiche degli apprendimenti dallo
stesso Istituto predisposte, nel mondo della scuola si scatenano
polemiche tendenti più che a mettere in discussione la congruità nel
merito delle stesse ad affermare il ruolo e il coinvolgimento delle
istituzioni scolastiche nella somministrazione stessa.
La valutazione spaventa. La valutazione esterna spaventa più di quella
interna. La paura di possibili ricadute negative sui docenti i cui
alunni non abbiano fornito buona prova di sé nelle verifiche, chiude il
cerchio delle reazioni suscitate dal sistema di valutazione.
Queste allora le domande: può l’istituzione scolastica impedire lo
svolgimento delle prove INVALSI? Sono queste obbligatorie? O possono
queste invece svolgersi solo se le istituzioni scolastiche lo abbiano
permesso? E, in questo caso, quali organi avrebbero la relativa
competenza decisionale?
Gli artt. 3 L. 28 marzo 2003, n°53 (norma di delega) e 3 D.Lgs. 19
novembre 2004, n° n. 286 (norma delegata) attribuiscono all’INVALSI la
competenza amministrativa ad effettuare, tra l’altro, “verifiche
periodiche e sistematiche sulle conoscenze e abilità degli studenti”.
Tali verifiche sono strumentali al “progressivo miglioramento ed
armonizzazione della qualità del sistema d’istruzione” (come emerge
dall’art. 3, lett. b) L. n. 53/2003.) Esse si distinguono nettamente
dalle verifiche strumentali alla “valutazione periodica e annuale degli
apprendimenti e del comportamento degli studenti”, che lo stesso art.
3, lett. a) L. n. 53/2003 (poi ripreso sul punto dal D.Lgs. n. 59/2004)
assegna alla competenza amministrativa dei “docenti delle istituzioni
d’istruzione e formazione frequentate”.
È significativo notare come i due differenti tipi di valutazione da
svolgere entrambe sugli studenti (degli apprendimenti e del
comportamento, da un lato e delle conoscenze e abilità, dall’altro
lato) siano distinti espressamente (per finalità e per “chi” se ne
occupa) all’interno di una medesima disposizione legislativa.
La valutazione (delle conoscenze e abilità degli studenti) operata
dall’INVALSI e la valutazione (degli apprendimenti e del comportamento)
operata dai docenti hanno finalità differenti, sebbene condividano la
finalità ultima di elevare il “prodotto” apprendimento. Tale funzione
(quella di valutazione delle conoscenze e abilità degli studenti quale
elemento rilevante per la valutazione della qualità del sistema
d’istruzione) è prevista per la prima volta (ed attribuita all’INVALSI)
solo con la riforma del 2003 (L. n. 53/2003 e d.lgs. n. 286/2004).
L’art. 3 D.Lgs. n. 286/2004, nell’attuare la delega della ricordata L.
n. 53/2003, amplia il quadro delle competenze dell’Istituto nazionale
per la valutazione del sistema dell'istruzione, dopo averlo
ribattezzato come Istituto Nazionale per la valutazione del sistema
educativo d’istruzione e di formazione (INVALSI).
L'Istituto: “a) effettua verifiche periodiche e sistematiche sulle
conoscenze e abilità degli studenti e sulla qualità complessiva
dell'offerta formativa delle istituzioni d’istruzione e d’istruzione e
formazione professionale, anche nel contesto dell'apprendimento
permanente. Per la formazione professionale le verifiche concernono
esclusivamente i livelli essenziali di prestazione e sono effettuate
tenuto conto degli altri soggetti istituzionali che già operano a
livello nazionale nel settore della valutazione delle politiche
nazionali finalizzate allo sviluppo delle risorse umane;
1997, n. 281. Le relazioni riferiscono sui risultati e possono
segnalare indicatori ritenuti utili al miglioramento della qualità
complessiva del Sistema”.
Nessuna disposizione normativa attribuisce invece all’INVALSI un potere
d’intervento sulle istituzioni scolastiche o sui docenti i cui allievi
abbiano ottenuto risultati più scadenti: la “restituzione dei
risultati” alle istituzioni scolastiche (“i dati
rilevati...appartengono esclusivamente alla singola scuola alla quale
verranno restituiti nel modo più disaggregato possibile, cioè secondo
la distribuzione delle risposte domanda per domanda”: così la “lettera
di adesione” al Sistema Nazionale di Valutazione del febbraio 2009),
costituisce passaggio necessario ad ogni processo valutativo ed ha lo
scopo di stimolazione della discussione interna sui risultati, al fine
di individuare i punti di forza e di debolezza, di migliorarne
l’efficienza o di consolidare i risultati raggiunti, ecc.
Sotto il profilo formale, la competenza dell’INVALSI a distribuire agli
studenti test per la verifica delle conoscenze e abilità degli stessi
deriva dalla legge e, cioè, correttamente dall’unica fonte normativa
che (in base alla Costituzione: art. 97, 1° comma) ha la “forza”
giuridica di creare gli enti e le loro funzioni, gli organi e le loro
competenze (riserva relativa di legge).
Nessuna norma attribuisce questa competenza (diversa essendo la
valutazione periodica dell’apprendimento e del comportamento degli
studenti spettante ai docenti) alle istituzioni scolastiche. Né
conseguentemente agli organi amministrativi (organi collegiali e
dirigente scolastico) che tali istituzioni compongono né al personale
docente a titolo “individuale”.
Nessuna norma attribuisce “frazioni” di questa competenza né alcun
“ruolo” amministrativo alle istituzioni scolastiche i cui studenti
siano coinvolti nelle verifiche in questione.
Detto in altre parole, la legge non attribuisce alle istituzioni
scolastiche (e dunque agli organi amministrativi di queste o al suo
personale docente) un ruolo decisionale in materia.
Lo scopo della norma è invece quello di prevedere che soggetti diversi
(INVALSI, istituzioni scolastiche, enti locali) interessati alla
qualità del sistema formativo coordino le “rispettive competenze in
materia di valutazione dell’offerta formativa”. Dove “concorrere” e
“coordinare” da un lato non significa cogestire un’attività valutativa
ordinaria (possibilità esclusa dalla riserva delle “rispettivi ambiti
di competenza” contenuta nella disposizione), ma gestirla autonomamente
per condividerne i risultati e dove l’oggetto del coordinamento è
l’“offerta formativa”.
La collaborazione richiesta alle istituzioni scolastiche può essere di
tipo meramente materiale nei limiti delle determinazioni variamente
adottate dall’INVALSI: distribuzione dei test, vigilanza durante lo
svolgimento, raccolta e spedizione, ecc. Nel corso degli anni,
peraltro, l’INVALSI ha ridotto le attività richieste in proposito alle
istituzioni scolastiche, ad esempio affidando, in tutto o parzialmente,
l’attività di somministrazione dei test e di vigilanza durante lo
svolgimento della prova non ai docenti in servizio presso le scuola, ma
personale esterno.
L’INVALSI potrebbe, volendolo, “scavalcare” completamente le
istituzioni scolastiche nella realizzazione della propria funzione
istituzionale, decidendo di somministrare le prove in un “luogo”
diverso dalle sedi e dai plessi scolastici: una simile scelta sarebbe
più “complicata” dal punto di vista organizzativo e certamente più
costosa, ma sarebbe compatibile con la normativa sopra ricordata.
È metodologicamente scorretta, sul piano giuridico, l’impostazione
della questione in termini di uso di discrezionalità da parte degli
organi dell’istituzione scolastica: la questione, se affrontata in seno
di collegio dei docenti, non dovrebbe essere proposta all’ordine del
giorno né successivamente gestita come se quell’organo avesse un potere
deliberativo in proposito. Gli organi pubblici, in particolare quelli
collegiali, in tanto legittimamente si occupano di temi e ne discutono
collegialmente in quanto abbiano (recte in quanto la legge assegni) una
competenza amministrativa in materia ed un connesso ruolo. Al di fuori
di tale presupposto, ogni decisione assunta sarà inficiata da
incompetenza (quale vizio di legittimità dell’atto amministrativo) e
così le azioni ulteriori che a tale decisione conseguissero. D’altro
canto, la mera discussione del tema senza attivazione della funzione
deliberativa è parimenti rischiosa: non in termini di legittimità
dell’atto, quanto in termini di corretta ed efficace gestione delle
risorse umane (dovere facente capo al dirigente scolastico), essendo
che il tempo trascorso per la partecipazione agli organi collegiali
rientra fra i doveri di servizio “quantificati” dalla contrattazione
collettiva (art. 29, 3° comma, CCNL Comparto Scuola 29 novembre 2007) e
che tale partecipazione si suppone funzionale al potere deliberativo
dell’organo.
La valutazione è sul piano legislativo un elemento dell’organizzazione
pubblica che tocca il tema della qualità dei servizi, ivi inclusi
quelli resi nel sistema scolastico (artt. 2, 4, 25, 45 D.Lgs. n.
165/2001; D.Lgs. n 286/1999): essa misura oggetti diversi, il
personale, sotto il profilo della qualità delle prestazioni, e le
strutture, in relazione agli obiettivi assegnati così come i risultati,
dall’efficienza al soddisfacimento dell’utenza.
Si potrà dunque discutere sul “quo modo” della valutazione (peraltro,
solo nelle sedi a ciò deputate), ma non certamente sulla funzione
svolta dall’INVALSI, nel misurare il “prodotto” della formazione.
È auspicabile (oltre che ora imposto a chiare lettere dalla stessa
legge) che si possa passare dalla valutazione della “qualità
complessiva del sistema educativo” alla valutazione di ciò che è ad
essa strumentale, in termini di prestazioni professionali del personale
docente e dei dirigenti scolastici, ciascuno nell’ambito della
specificità delle rispettive competenze. Ciò è tanto più necessario,
ove si ponga mente che l’Italia è l’unico paese europeo, assieme alla
Romania ed alla Lettonia, a non avere attivato alcuna modalità di
valutazione né individuale né collettiva degli insegnanti.
Laura Paolucci (Avvocato dello Stato)