L’insuccesso
scolastico all’inizio della secondaria superiore è spesso vissuto in
maniera drammatica dall’adolescente. All’origine vi stanno molte cause
legate a fattori socio-ambientali di vario genere, ma anche a
difficoltà maturative oggettive proprie dell’età.
Il passaggio dalla media alla secondaria obbliga lo studente a
modificare la propria prestazione cognitiva e ad attivare nuove
capacità di acquisire informazioni dai libri attraverso un metodo di
studio più personalizzato, più ordinato e metodico, rispetto a quello
che gli capita di fare alle scuole dell’obbligo, dove si richiede
all’alunno più ascolto in classe e meno studio a casa. Il risultato è
che al momento dell’impatto con le superiori spesso il giovine studente
possiede -non certo per colpa sua - un’autonomia cognitiva
insufficiente che non gli consente, per esempio, di recepire i
contenuti “non spiegati”, oppure ha una insufficiente autonomia emotiva
affettiva con i nuovi docenti con i quali stenta a relazionarsi
positivamente. Che fare in questi casi?
Di sicuro, l’insegnante non deve lasciarsi andare ad apprezzamenti
negativi e perentori; non bisogna scoraggiare l’alunno, dicendogli
magari che quella non è scuola per lui, che è meglio cambiare indirizzo
o, peggio, che non è portato per lo studio, ecc.ecc.
Questa tipologia di insuccesso apre problemi, oltre che didattici,
soprattutto educativi su cui la scuola-istituzione ha
l’obbligo di riflettere ampiamente.
Un ragazzino quattordicenne, con un giudizio di licenza “ottimo” e un
consiglio di orientamento favorevole alla frequenza di un “liceo”,
che improvvisamente si scoprisse “sceccu” per
un giudizio improvvido, e senza appello, emesso dal suo
insegnante, si disorienta, perde la fiducia in se stesso;
molla tutto e rischia di chiudersi, apatico e muto, dentro
il suo io mortificato!
E’ un errore che la scuola comunità educante non può permettersi
nei riguardi di uno scolaretto in fase di formazione, e che si
trova, per la prima volta, ad armeggiare con programmi e materie di
studio abbastanza complessi, e per lui del tutto nuovi!
Un atteggiamento di tal genere non potrebbe fare altro che accrescere
il divario fra la percezione di sé dell’allievo e la qualità oggettiva
delle prestazioni da lui rese, troncando dolorosamente ogni possibilità
di dialogo e di integrazione positiva!
Ogni essere umano custodisce dentro di sé virtualità creative, capacità
intellettive, interessi e attitudini che è compito precipuo della
scuola fare emergere e valorizzare.
Tommaso d’Aquino scriveva che “ la pace non è virtù ma frutto di
virtù”. Così, parafrasando, - si parva licet componere magnis –
si può ragionevolmente pensare che un risultato scolastico affatto
fallimentare di un alunno,talvolta, non è che il frutto di un
metodo didattico sbagliato, il segnale, ahimé, che qualcosa non va ma
non nell’alunno, bensì nel nostro metodo di insegnamento che non
ha saputo trarre frutto alcuno dal tenero alberello. Qualcosa non
ha funzionato, probabilmente, anche nella “psicologia” del nostro
linguaggio di adulti, nelle nostre strategie comunicative spesso
inadeguate a capire e ad interagire proficuamente con la personalità
dell’allievo-persona, con i suoi problemi e con i processi di crescita
della sua conoscenza in una fase particolarmente difficile,
complessa e problematica come è quella dell’età evolutiva.
Nuccio Palumbo
redazione@aetnanet.org