23 febbraio
2011 - Giornata di bombardamenti. L’aviazione di Gheddafi bombarda le
popolazioni in rivolta della Cirenaica e Giorgio Napolitano sgancia una
bomba, di molta maggiore utilità e legittimità, sul decreto legge,
cosiddetto ‘Milleproroghe’. La notizia arriva in Aula poco prima che il
Governo annunci la richiesta dell’ennesima fiducia. Del resto, dopo che
il decreto era passato al Senato con l’analoga strozzatura della
fiducia, eravamo vicini alla sua decadenza. Fini rientra in Aula per
leggere integralmente la lettera del Capo dello Stato, nella attenzione
e nel silenzio generali. E’ un testo di inusitata nettezza, che si
chiude con un esplicito avvertimento a rispettare, “d’ora in avanti”,
funzioni e richiami della Presidenza della Repubblica. Napolitano
rigetta il decreto “concernente essenzialmente la proroga di alcuni
termini” perchè si è trasformato “sostanzialmente in una sorta di nuova
legge finanziaria dai contenuti più disparati”. “Molte di queste
disposizioni aggiunte in sede di conversione - ribadisce la lettera –
sono estranee all’oggetto, quando non alla stessa materia del decreto,
eterogenee e di assai dubbia coerenza con i princìpi e le norme della
Costituzione”. Governo e maggioranza schiumano rabbia ma incassano il
colpo fingendo tranquillità. Mettersi contro Napolitano di questi
tempi, a parte gli effetti pratici che derivano dall’esercizio dei
poteri del Capo dello Stato, significa mettersi contro l’opinione
pubblica più larga vista la popolarità di cui gode l’orgoglioso
inquilino del Quirinale. Abbozzano e tacciono. Anche noi abbozziamo
senza esultare e tacciamo, per non mettere in imbarazzo il Capo dello
Stato. In effetti, nessuno applaude al termine della lettura della
missiva presidenziale. Di fatto, però, gli argomenti di Napolitano sono
gli stessi appena usati in Aula dal nostro Gruppo per illustrare la
‘Pregiudiziale di costituzionalità’ che abbiamo presentato contro il
decreto e che ci stavamo apprestando a votare.
L’altro bombardamento, quello libico, è assai più drammatico e
insensato. In Transatlantico si sprecano i commenti sulla situazione
nel Paese ‘amico’. Liquidatori, da parte di tutti, i giudizi
sull’intervista di D’Alema a Il Sole 24 ore di domenica. Io ho una
ragione in più per rammaricarmi dell’uscita dalemiana a favore di
Gheddafi. Il 21 gennaio 2009 il Trattato fu ratificato dalla Camera con
413 voti favorevoli 63 contrari e 37 astenuti. Udc e Idv votarono
contro. Il Pd a favore, con una dichiarazione di voto di D’Alema. Io e
molti altri avevamo deciso di votare contro, contravvenendo alle
indicazioni del Gruppo, ma l’ultimo intervento della radicale on.
Bernardini, inaccettabile per la gratuita aggressività nei confronti
dello stesso D’Alema, mi fece propendere per l’astensione: proprio per
non confondere il mio dissenso con gli argomenti della ultras
pannelliana. In quella votazione furono 33 i voti ‘ribelli’ del gruppo:
9 contrari (tra i quali, i 6 radicali) e 24 astenuti. Se l’avessi
saputo… Non che la Bernardini avesse ragione, ma D’Alema aveva proprio
torto a difendere a spada tratta il testo di un trattato mortificante.
Tanto quanto ha torto oggi a confidare che sia Gheddafi stesso a
guidare la transizione verso la democrazia. Non c’è nulla di più
surreale di una realpolitik che ha perso i riferimenti con la realtà. A
chi si lamentava in Transatlantico che l’Italia è stata alla finestra,
osservando da lontano il dramma libico, qualcuno ha fatto osservare che
l’articolo 4 del Trattato prevede la non ingerenza negli affari interni
dei rispettivi Paesi. Tutto sommato, Berlusconi ha ragione a non voler
disturbare l’amico Gheddafi… (deputato bresciano, Perangelo Ferrari)
Angelo
Battiato (inviato speciale a Brescia)
angelo.battiato@istruzione.it