Nelle
“questio medioevalis” era importante e fondamentale prima di
iniziare a discutere su un argomento o una tesi fare la “explicatio
terminorum”. Oggi c’è da parte della maggioranza politica un abuso
dell’aggettivo “epocale”, tanto da farlo diventare logoro, banale,
retorico, fumoso, antipatico, fuorviante…
Tutti i dizionari ci avvertono che, questo aggettivo derivato, è
relativo a una determinata epoca, capace di caratterizzarla come una
svolta, una riforma, una, una sfida epocale. Di importanza tale da
segnare la fine o l'inizio di un'epoca: mutamento, avvenimento
rivoluzione epocale. Questo è l’uso corrente, la “lectio facilis”
utilizzata dagli imbonitori. Il significato vero e genuiono dei
termini è sempre quello etimologico che va alla radice.
Epocale deriva dal sostantivo greco “Epochè” e sta per sospensione,
interruzione, fermata, arresto. I filosofi dallo Stoicismo ad Husserl
hanno teorizzato l’importanza metodologica dell’epochè: a volte
sospensione del conoscere oppure strada maestra della fenomenologia. La
riforma epocale di Gelmini (povero avvocato!) sospende, interrompe,
ferma, arresta, congela… la scuola. Il ministro parla come in un
trailer, quelli in cui si annunciano film che faranno epoca, che perciò
sono imperdibili o eccezionali. Se fossi Mariastella ringrazierei la
legge Casati 1859), la legge Coppino (1877), i siciliani Vittorio
Emanuele Orlando (1904) e Giovanni Gentile (1923), la riforma del 1962,
il senatore Brocca, Luigi Berlinguer e persino la Moratti… Il palazzo
della scuola unitaria è come un cantiere sempre aperto!
Appartengo alla Classe 1947, anno di sospensione epocale, nasco
quando non c’era più la monarchia né la dittatura e stavano costituendo
la Repubblica italiana. Festeggerò il 150.mo compleanno dell’Italia
unificata. Il 17 marzo di quest’anno inizierà ufficialmente il 150.mo
dell’unità e quel giorno sarà una festa nazionale epocale proprio
perché sospenderà il sentire unitario degli Italiani. Già tre ministri
del governo si sono dissociati: “Non c’è nulla da festeggiare. Quando
ci sarà il Federalismo, allora festeggeremo”. Vent’anni fa Franco
Battiato ce la cantava già chiaro e tondo: “Povera patria! Schiacciata
dagli abusi del potere di gente infame, che non sa cos'è il pudore, si
credono potenti e gli va bene quello che fanno; e tutto gli appartiene.
Tra i governanti, quanti perfetti e inutili buffoni! Questo paese è
devastato dal dolore (…)”.
La domanda è: che cosa devo festeggiare? Semplice. La nascita, l’arrivo
“epocale”, il passaggio dalla gestazione (troppo, troppo lunga nel
tempo) al taglio del cordone ombelicale, dalla dipendenza assoluta a
una vita autonoma, il passaggio dal buio alla luce. 150 anni sono tanti
ma per uno stato unitario, come recita Benigni, sono pochi. L’Italia è
una Nazione “bambina”… minorenne. Abituati da secoli alle divisioni e
frammentazioni siamo tentati dalle separazioni e disunioni federali. Ne
abbiamo passati anni terribili e i “Fratelli d’Italia” ci possiamo
permettere persino la libertà di festeggiare o no i primi vagiti della
madre comune.
Ho fatto qualche calcolo, e mi sono dato i numeri. Tra la fine
dell’unità dell’Impero romano e il 1861 ci sono voluti 1385 anni cioè
505.525 giorni, 12.132.600 ore, 727.956.000 minuti !!! Il Parlamento
italiano ha impiegato 9 anni per raggiungere Roma nel 1871, lasciando
la sabauda Torino e dopo una sosta quinquennale a Firenze. Si sono
succeduti 4 re in 85 anni, (uno di loro affiancato e guidato da un duce
con la “M” maiuscola per un ventennio); siamo andati tutti a votare al
Referendum del 2 giugno del 46 e poi 16 volte per le politiche: Dinanzi
a 11 presidenti hanno giurato 62 governi repubblicani in 65 anni!
Ci hanno scomunicato e perdonato, oltre Tevere, 11 papi da Pio IX a
Benedetto XVI. Abbiamo vissuto la “notte” della Repubblica, dello
stragismo e “conviviamo” con la Mafia, una sottocultura violenta e
inumana che ha brindato alla morte dei valori. Siamo arrivati tante
volte in ritardo coi tempi della Storia: gli Stati europei vivevano la
seconda industrializzazione e noi iniziavamo la prima; abbiamo raccolto
le briciole degli altri per la nostra avventura coloniale africana a
fine 800; gli inglesi mozzarono la testa a Carlo I nel 1649 e la
ghigliottina rimandò al creatore Luigi XVI nel 1792 mentre noi abbiamo
assassinato il “re buono” all’alba del XX secolo, a Monza con 3 spari;
sia nella prima guerra mondiale che nella seconda siamo “interventi”
dopo un anno dall’inizio. Una decina di disastrosi terremoti da Messina
a L’Aquila e tante ricorrenti alluvioni hanno unito i cuori e le mani
di un popolo di santi, navigatori, di eroi e di… calciatori: 4 volte
abbiamo portato a casa la coppa del mondo. Abbiamo avuto 6 scrittori
insigniti del Nobel per la Letteratura, alla media di uno ogni 20 anni.
Abbiamo regalato all’umanità doni straordinari: il telefono e la radio.
E siamo cresciuti seduti davanti alla TV.
Mi guidano ancora i numeri nell’analisi del Tempo da quando sventola il
tricolore: divido i 150 anni a metà e mi trovo al 1936 con due
contraddizioni: diventiamo un Impero con la conquista di Etiopia ma
affrontiamo in Spagna la nostra prima guerra civile fornendo aiuti
fascisti al duce locale “F.F.” ma partendo anche volontari a
fianco della “izquierda”: italiani contro italiani a uccidere o morire
“disuniti a coorte” nella terra del Cervantes.
Husserl propone di "mettere tra parentesi" cioè sospendere il
giudizio, su tutto ciò che si conosce, arrivando a non poter
mettere tra parentesi se stessi come coscienza.
Brindo all’Italia perché quest’anno 150.mo sia una “epochè”: quella
sospensione che rende capaci di raggiungere le massime profondità
culturali, le sole capaci di rendere possibili i mutamenti radicali
dell’umanità.
E…scusate la retorica dello stile. Buona festa a Tutti!
Giovanni
Sicali
giovannisicali@gmail.com