Standing ovation
al teatro Ariston di Sanremo per l'attesa esibizione del premio Nobel
Roberto Benigni che ha fatto il suo ingresso in sala in groppa ad un
cavallo bianco, sventolando una bandiera tricolore e ha concluso il suo
lungo e appassionato monologo sulla storia dell'unità d'Italia, durante
il quale non ha risparmiato battute sferzanti sul presidente del
Consiglio, cantando a cappella l'inno di Mameli davanti ad una platea
commossa.
"All'inizio avevo un po' di dubbi ad entrare a cavallo perchè è
un periodo che ai cavalieri non gli dice molto bene", ha esordito il
comico toscano, tuffandosi subito nell'attualità politica, senza
risparmiare battute sul Pd e sul suo leader Bersani. "Morandi è una
persona straordinaria -ha detto, rivolgendosi al conduttore- è una
persona calma, può succedere di tutto intorno a lui ma lui non reagisce
e allora il prossimo festival facciamolo presentare a Bersani", ha
concluso, strappando risate al pubblico.
Pochi secondi e arriva il primo riferimento al caso Ruby: "150 anni che
sono per una nazione? Niente, l'Italia è una minorenne e poi -ha
aggiunto- questa storia delle minorenni è nata proprio a Sanremo con
Gigliola Cinquetti che cantava 'Non ho l'età' e si spacciava per nipote
di Claudio Villa". Ancora sul Ruby gate: "Abbiamo perso tempo a capire
se era la nipote di Mubarak, ma bastava fare una cosa semplicissima,
andare all'anagrafe in Egitto e vedere se Mubarak di cognome fa
Rubacuori". Al presidente del consiglio, di cui non ha mai pronunciato
il cognome, il comico toscano consiglia: "Se non ti piace Rai uno
cambia canale, metti il due -prima di correggersi- Ah no, c'è
Santoro..".
Dopo una prima parte dedicata all'attuale situazione politica del
Paese, Benigni si è addentrato nella parafrasi dell'inno di Mameli -
con accenti appassionati per il sacrificio dei patrioti, molti dei
quali giovanissimi, che hanno fatto l'Italia - ma senza rinunciare a
qualche tuffo nella satira politica come quando ha sottolineato:
"Dobbiamo ringraziare personaggi memorabili come Cavour che è stato il
primo, anzi -si è corretto- il secondo più grande statista degli ultimi
150 anni ma alla fine della carriera fu coinvolto in uno scandaletto:
lo beccarono con la nipote di Metternich".
Prima di concludere la performance cantando, quasi sottovoce, senza
accompagnamento musicale, l'inno d'Italia, nel mirino del premio Nobel
è finito anche il leader della Lega: "Dov'è la vittoria, le porga la
chioma, che schiava di Roma Iddio la creò -ha recita, prima di
rivolgersi direttamente a Bossi che aveva criticato questa strofa-
Umberto, è la vittoria che è schiava di Roma, non l'Italia! Umberto, il
soggetto è la vittoria! L'unità d'Italia è talmente bella che permette
pure a qualcuno di non festeggiarla", ha concluso Benigni passando il
testimone ad un Gianni Morandi con gli occhi lucidi dalla commozione. (TMNews)
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