Primo
colloquio, a ridosso della chiusura del primo quadrimestre. Due in
Latino e due in Greco! La docente non ha dubbi: Signora, suo
figlio non è portato per lo studio di queste materie, non capisce
nulla, non ragiona! Le consiglio di ritirarlo. Non è scuola per lui!
Siamo in una quarta ginnasiale. Sono trascorsi poco più di quattro mesi
dall’inizio dell’anno scolastico; la severa docente ha potuto dedicare
– diciamo al netto - due decine di ore di
lezioni, parimenti suddivise tra le materie di cui
sopra.
Di sicuro un solo dato certo, e sconcertante: siamo ancora agli albori
di un percorso umano e culturale, certo lungo e faticoso ma
affascinante, e di già il ragazzino quattordicenne, “ottimo” alla
Scuola Media, assapora il succo amaro dell’insuccesso, si sente
improvvisamente “sceccu”, disorientato, mortificato, avvilito,
già stressato prima di iniziare; distrutto e demotivato per quel
giudizio improvvido, perentorio e senza appello emesso dalla sua
insegnante. Ha perso fiducia in se stesso il ragazzino: vuole mollare
tutto, non mangia, ha gli incubi notturni; intristito, di pessimo
umore, non ha voglia di nulla; è diventato apatico, e anche
irascibile, ribelle; e chiuso nel suo io mortificato!
Tommaso d’Aquino scriveva che “ la pace non è virtù ma frutto di
virtù”. Così, parafrasando, - si parva licet componere magnis -
possiamo ragionevolmente pensare che un risultato scolastico
totalmente fallimentare di un alunno, spesso non è che il
frutto di un metodo didattico sbagliato, male impostato e peggio
proposto. Il segnale che qualcosa non va, non nell’alunno, ahimé, ma
nel docente, nella“psicologia” del suo linguaggio”, e nelle sue
strategie didattiche inadeguate ad interagire proficuamente con
l’allievo e con i processi di crescita della sua conoscenza in una fase
particolarmente difficile e problematica dell’età evolutiva.
Nuccio Palumbo
redazione@aetnanet.org