La colpa
di tutto questo trambusto sarebbe, ovviamente, di quelle organizzazioni
sindacali (Cgil, Usb, Cisal ed altre) che non hanno firmato il testo
predisposto da Brunetta e non certo di un accordo di cui praticamente
nessuno ha capito la presunta bontà, tranne un Presidente del Consiglio
in piena crisi bunga bunga.
Dall'altra parte, mettetevi nei panni
di uno dei 3,5 milioni di dipendenti pubblici, al quale era stato
spiegato poco più di sei mesi fa che il suo stipendio (base ed
accessorio) sarebbe rimasto bloccato per tre anni (in realtà,
quattro), senza che Cisl e Uil abbiano mosso anche solo mezzo dito, e
ora si sente dire che Cisl e Uil hanno realizzato una grande conquista,
firmando un accordo che "impedisce la diminuzione dello stipendio".
Ammetterete che quel lavoratore, per lo meno, rimane un po' perplesso e
disorientato.
Ma cosa c'è scritto -e cosa non c'è scritto- in quella paginetta
di accordo? Anzitutto, c'è una dichiarazione di condivisione piena da
parte dei firmatari del decreto legislativo n. 150/2009, meglio
conosciuto come "riforma Brunetta",
compreso il suo famigerato articolo 19, secondo il quale in ogni ente
il 25% dei dipendenti è da considerarsi a priori e a prescindere come
di "merito basso" e dunque da privare completamente del salario
accessorio.
Ma subito dopo aver affermato questo, si passa al comma 2. e 3., dove
si dice che l'applicazione dell'articolo 19 non deve portare ad una
diminuzione della retribuzione complessiva e pertanto dovrà essere finanziato
"esclusivamente" da risorse aggiuntive (che però Tremonti allo stato
non mette a disposizione).
Chiaro? La storiella dello stipendio bloccato, ma che non si riduce,
sparso a piene mani da Governo e sindacati complici fino a ieri, non
era affatto vera. Anzi, applicando la riforma Brunetta in tutte le sue
parti subito, come avevano detto da sempre i sindacati indipendenti dal
governo, ci sarebbero stati dei tagli drastici per una parte
significativa di lavoratori pubblici, a prescindere dal merito,
beninteso. E questo in pieno clima pre-elettorale. Ecco quindi la
ragione per cui Bonanni e Brunetta si sono dati una mano.
Tuttavia, non è vero comunque che non ci saranno perdite salariali in
questi anni di blocco delle retribuzioni e della contrattazione, alla
faccia di quello che raccontano i sindacati complici. Anzitutto, la
riforma Brunetta, con l'attiva collaborazione di Cisl e Uil e, molte
volte, anche della Cgil, ha già provocato nel 2010 la ridefinizione in
senso peggiorativo dei sistemi premianti in molti enti. E, soprattutto,
per il solo effetto del blocco delle retribuzioni ci sarà mediamente un
perdita in termini di potere d'acquisto di circa 1.600 euro per
dipendente, secondo le stime più caute della Cgil.
A quanto c'è scritto nell'intesa del 4 febbraio, va però aggiunto anche
quello che non c'è scritto, quello che drammaticamente manca. Anzitutto
manca un qualsiasi accenno ai tanti precari e alle tante precarie che
popolano la pubblica amministrazione e che spesso garantiscono il
funzionamento dei servizi, ma ai quali viene negata una prospettiva di
stabilizzazione e che ora rischiano il posto di lavoro. E non è
soltanto questione di equità e giustizia, ma anche di efficienza dei
servizi, considerato che la stretta sul pubblico impiego, contenuta
nella legge n. 122 del 30 luglio 2010 (ex dl 78/2010), prevede altresì
il blocco del turn over, per cui nei prossimi due anni su 300mila
uscite potranno essere fatte al massimo 60mila assunzioni.
Infine, arriviamo al silenzio più assordante in quella intesa: nemmeno
una parola sulle elezioni dei rappresentanti sindacali (Rsu)! Infatti,
in tutto il pubblico impiego le Rsu sono scadute a novembre dell'anno
scorso, ma non state convocate ancora nuove elezioni, a causa
principalmente del veto di Bonanni. Alla luce di questo fatto le
considerazioni della Cisl, per cui l'accordo "dà più voce ai
rappresentanti dei lavoratori", suonano davvero come una presa per i
fondelli.
Ma proprio con la vicenda del mancato rinnovo delle Rsu si chiude il
cerchio con quanto Cisl e Uil fanno nel resto del mondo del lavoro. A
Mirafiori l'accordo separato tra Marchionne e Bonanni & Co.,
infatti, ha abolito tout court le elezioni dei rappresentanti dei
lavoratori.
In altre parole, non siamo di fronte a tante storie diverse, ma a
diversi episodi della medesima storia. Ecco perché non è giustificabile
che si continui, da parte della Cgil, ad eludere il tema dello sciopero
generale e che si punti invece, ancora una volta, a un semplice
sciopero di categoria, come quello del pubblico impiego proclamato per
il 25 marzo prossimo. (da http://www.paneacqua.eu)
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