“L’accordo del 4 febbraio rappresenta uno
scambio politico per sostenere il governo in difficoltà” è lo
sferzante giudizio di Susanna Camusso, leader della CGIL.
“Non si possono mischiare sindacato e
politica come fa la Cgil” dichiara indignato Bonanni , segretario
della CISL.
Volano schiaffi e
stampelle tra la CGIL da una parte e i sindacati firmatari
dell’ennesimo accordo separato dall’altra.
Il 4 febbraio 2011 è stata firmata un’Intesa per la regolazione
del regime transitorio conseguente al blocco dei contratti
collettivi nazionali. La Cgil voleva metterci dentro anche la
questione del precariato, le elezioni delle RSU nel P.I. e altro
ancora. Letta così, l’Intesa mette qualche pezza alle politiche
contraddittorie del governo d’intervento sul P.I.
Prima nel 2009 i nuovi modelli
contrattuali, poi il decreto Brunetta , poi nel 2010 il blocco
dei contratti e delle anzianità e su tutti i tagli ai
trasferimenti e agli organici nelle amministrazioni pubbliche, a
cominciare dalla scuola.
Tremonti bloccando nel 2010 i contratti, aveva di fatto stoppato la
riforma Brunetta. Bisognava uscire dall’angolo in cui il governo
si era cacciato, non senza qualche rischio per le retribuzioni dei
pubblici. Merito e premi previsti dall’art.19 del dlgs. 150/09 non
dovevano comportare alcun arretramento salariale.
Le tre fasce 25-50-25, in assenza di
rinnovi contrattuali, sarebbero state possibili solo in presenza
di risorse aggiuntive, quello che viene definito “dividendo
d’efficienza” o produttività.
Quanto si riconosce, in assenza di risorse, è un contentino minimo
che fa cantare vittoria ai firmatari e fa insorgere la parte
sindacale contraria.
Certo la tutela dei salari e degli stipendi nel P.I. resta congelata al
31 dicembre del 2010. Non diminuiscono ma neanche crescono nel
triennio. La contropartita è che la riforma Brunetta su premialità
e merito slitta anch’essa in attesa di tempi migliori e
soprattutto di risorse, credendo poco ad aumenti di produttività
significativi nelle condizioni in cui versa tutta la P.A.
Ma chi mischia la politica col sindacato in Italia?
Non c’è da stupirsi che nella
situazione politica attuale, arrivata oramai a un punto grave
di rottura, di non ritorno, di strappi istituzionali, nel pieno di
una pericolosa deriva autoritaria, nessuno può tirarsi più fuori e
men che meno un sindacato confederale, chiunque esso sia. Un
accordo firmato con un governo in affanno o comunque in difficoltà per
le sue politiche e non solo, è oggettivamente una stampella
politica offerta dai sindacati firmatari.
Come il rifiuto alla firma a questo accordo come ad altri accordi con
questo governo è oggettivamente un gesto politico che l’accomuna
all’opposizione politica. Mischiare la politica col sindacato è in
un Paese normale un’anomalia. Ma
da un po’ di tempo l’Italia non è più un Paese normale, con istituzioni
pericolosamente traballanti, dove anche la stessa divisione dei
poteri è rimessa in discussione, l’anomalia dei sindacati
costretti a far politica e a schierarsi, forse è il male minore.
La vera anomalia sappiamo tutti che è altrove e chi la rappresenta.
E a questa anomalia, oggi, c’è chi va in soccorso e chi si
oppone (da ScuolaOggi di Pippo Frisone)
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